NarraVita
«Mi son polesan»
La storia di Mario Bavaro esule da Pola ad 11 anni
giovedì 12 febbraio 2015
23.49
Il magone che sale su fino a tramutarsi in lacrime, al sol pensiero di quella infanzia lontana e di quell'adolescenza spezzata. Il "Giorno del Ricordo", a margine della lettura scenica "Il volo" a cura del Collettivo Polartis, ha regalato a Giovinazzo un momento di vita vera, una testimonianza destinata a restare nella piccola grande storia cittadina. Protagonista Mario Bavaro, oggi anziano signore, un tempo felice ragazzino nato dalle nozze di un giovinazzese e di una abitante di Pola.
Pola, oggi Pula secondo la pronuncia croata, è una delle città svuotate dalla furia slava post-bellica. Svuotata di italiani e di italianità. Svuotata anche della storia secolare dei suoi abitanti e dei suoi monumenti. Mario era tra quelli che furono costretti ad andar via, perché italiani, appunto, sulla motonave "Toscana", piena zeppa di povere masserizie. Via da casa, via dall'infanzia, via dalla propria terra. Mario, col suo accento che ancora tradisce le origini giuliano-dalmate ha raccontato: «In quel periodo si aveva tanta paura. Bussavano alle case e portavano via gli uomini. Solo perché eravamo italiani. Ed avevo paura per il mio papà: prima o poi sarebbe toccato a lui. Poi ci dissero che potevamo scegliere: andare via o restare e diventare slavi». Ma la sua famiglia si sentiva italiana e con altri 350.000 istriani e dalmati lasciò quelle zone care. Via su una nave «piena de gente ghe l'era disperata». Mario si commuove ancora e ricorda con un sorriso le galline portate sul piroscafo per sfamarsi, perché il tutto era diventato niente e col niente non si sopravvive.
La semplicità dei suoi gesti è seconda solo a quella dei suoi ricordi della permanenza in «baracche della Marina Militare Italiana, dove…dai…si stava anche ben». Poi l'arrivo a Giovinazzo, da dove è ripartito per tutta la vita, con un lavoro che lo ha portato all'estero per diverso tempo. Due sere fa ciò che tante volte aveva voluto dimenticare è tornato a galla: «son felice per questa bella rappresentazione ("Il volo", ndr). Mai a Giovinazzo si era fatto qualcosa di simile. Grazie a tutti voi!». La foto in bianco e nero la tengono in mano gli attori: sono sua madre e sua sorella. Tanti anni fa, come lui le ricorda ai tempi di Pola, quando c'era una famiglia serena e si facevano progetti per una vita migliore dopo la guerra. Ed invece no, a lui e a tanti altri è stato strappato via un pezzo di cuore e gettato in quelle foibe. Strappati come fiori al terreno natio.
Oggi ritorna forte la voglia di ricordare, non più soli, ma con tutto un Paese che inizia a fare i conti con i propri errori. Oggi Mario, nella sua città d'adozione, è tornato a poter gridare forte con orgoglio «mi son polesan!».
Pola, oggi Pula secondo la pronuncia croata, è una delle città svuotate dalla furia slava post-bellica. Svuotata di italiani e di italianità. Svuotata anche della storia secolare dei suoi abitanti e dei suoi monumenti. Mario era tra quelli che furono costretti ad andar via, perché italiani, appunto, sulla motonave "Toscana", piena zeppa di povere masserizie. Via da casa, via dall'infanzia, via dalla propria terra. Mario, col suo accento che ancora tradisce le origini giuliano-dalmate ha raccontato: «In quel periodo si aveva tanta paura. Bussavano alle case e portavano via gli uomini. Solo perché eravamo italiani. Ed avevo paura per il mio papà: prima o poi sarebbe toccato a lui. Poi ci dissero che potevamo scegliere: andare via o restare e diventare slavi». Ma la sua famiglia si sentiva italiana e con altri 350.000 istriani e dalmati lasciò quelle zone care. Via su una nave «piena de gente ghe l'era disperata». Mario si commuove ancora e ricorda con un sorriso le galline portate sul piroscafo per sfamarsi, perché il tutto era diventato niente e col niente non si sopravvive.
La semplicità dei suoi gesti è seconda solo a quella dei suoi ricordi della permanenza in «baracche della Marina Militare Italiana, dove…dai…si stava anche ben». Poi l'arrivo a Giovinazzo, da dove è ripartito per tutta la vita, con un lavoro che lo ha portato all'estero per diverso tempo. Due sere fa ciò che tante volte aveva voluto dimenticare è tornato a galla: «son felice per questa bella rappresentazione ("Il volo", ndr). Mai a Giovinazzo si era fatto qualcosa di simile. Grazie a tutti voi!». La foto in bianco e nero la tengono in mano gli attori: sono sua madre e sua sorella. Tanti anni fa, come lui le ricorda ai tempi di Pola, quando c'era una famiglia serena e si facevano progetti per una vita migliore dopo la guerra. Ed invece no, a lui e a tanti altri è stato strappato via un pezzo di cuore e gettato in quelle foibe. Strappati come fiori al terreno natio.
Oggi ritorna forte la voglia di ricordare, non più soli, ma con tutto un Paese che inizia a fare i conti con i propri errori. Oggi Mario, nella sua città d'adozione, è tornato a poter gridare forte con orgoglio «mi son polesan!».