NarraVita
Con gli occhi di Vincenzo Mottola
Il nostro ricordo dell'uomo e dell'artista della fotografia
mercoledì 26 agosto 2015
03.00
La nave è salpata. Non la vedremo più, come ha ricordato suo nipote Giovanni dall'altare, ma la nave c'è e viaggia verso altri porti. Non la vedremo più noi, ma la vedranno arrivare altri.
Vincenzo Mottola se ne è andato due giorni fa e sembra una vita fa. Due giorni senza il suo sorriso benevolo, che ha lasciato il posto alle tante lacrime versate dalle centinaia di amici ai suoi funerali, celebrati ieri presso la parrocchia Immacolata.
Se ne è andato un artista della fotografia, oltre che un padre ed un nonno premuroso. Se ne è andato senza troppi rumori, evitando quelle luci della ribalta che, da sempre, non ha amato, non per finto pudore, ma perché non si sentiva un protagonista del suo tempo. Da quel lontano 1958, quando aprì il suo studio fotografico in piazza Sant'Agostino, scattando «molte foto per i passaporti», come lui stesso ha raccontato nel libro fotografico realizzato per celebrare i 50 anni di attività, di tempo ne è trascorso. È cambiato il nostro Paese ed è cambiata anche Giovinazzo.
Lui, l'omino arrivato dalla Bari del secondo dopoguerra insieme alla sua compagna di una vita, Margherita, si era fatto ben volere dai suoi nuovi concittadini, spesso chiusi e diffidenti, ancora oggi, verso chi viene da fuori. E sì che quella era un'Italia che si accontentava di poco ed in quel poco lui era già tanto. Con i suoi scatti a scrutare un mondo semplice che solo 50 anni dopo avrebbe messo in mostra, in una rassegna tutt'oggi indimenticata, prima presso la chiesa del Carmine e poi in sala San Felice.
Visti con gli occhi di Vincenzo Mottola, quel mondo, quei volti, quei panorami, quegli scorci della città vecchia che sapevano di antico, a tratti di arcaico, hanno iniziato a parlare alla gente ed a conquistarla. In tanti hanno imparato a far foto da lui ed in tanti hanno anche imparato che scattar foto come le sue era impossibile.
Ma Vincenzo non lo faceva pesare, col suo carattere aperto e gioviale. Non lo faceva pesare e forse non lo sapeva. Non si è mai reso conto di aver tracciato una strada percorsa poi con successo da altri, figli e genero su tutti. Sapeva che non si fa il fotografo, ma si è fotografi, e che quegli scatti possono essere arte. Lo aveva capito mezzo secolo fa, quando coglieva particolari significativi dove altri non vedevano nulla. Don Saverio Bavaro, Renato Guttoso, lo scultore Adolfo Rollo e la pittrice Giuseppina Pansini si sono fatti fotografare da lui, solo per citarne alcuni.
Lui che, col suo bianco e nero, ha raccontato le Feste Patronali, i grandi momenti di vita cittadina, come l'inaugurazione del campo sportivo "Raffaele Depergola", i Cortei Storici che si snodavano dall'agro sino in città o le varie celebrazioni di quartiere di cui Giovinazzo è cornice tutto l'anno. Lui che aveva compreso la bellezza del borgo antico quando tutti lo avevano abbandonato, che aveva saputo offrire prospettive nuove di piazza Vittorio Emanuele II e che aveva immortalato la bellezza di Giovinazzo come nessun nativo giovinazzese aveva mai saputo fare. Lui, che era divenuto col tempo uno del posto ed amava questa cittadina di un amore silenzioso ma passionale, non c'è più.
Ieri l'ultimo saluto al maestro, al mago della macchina fotografica, allo scatto d'autore realizzato con pochi mezzi. Da lassù guarderà quelle strade, quelle chiese, quei vicoli e quel mare e si interrogherà, ne siamo certi, se sia il caso di scattarla, dall'alto, un'altra fotografia. Di quelle sue, di quelle che nessuno ha mai capito come facesse a scattare, di quelle immortali.
Mancherà a moglie, figli, nipoti e parenti. Ma mancherà a Giovinazzo tutta l'uomo mite e l'estro del professionista.
La nave è salpata, fortunati quelli che la vedranno arrivare nel nuovo porto in cui approderà.
Vincenzo Mottola se ne è andato due giorni fa e sembra una vita fa. Due giorni senza il suo sorriso benevolo, che ha lasciato il posto alle tante lacrime versate dalle centinaia di amici ai suoi funerali, celebrati ieri presso la parrocchia Immacolata.
Se ne è andato un artista della fotografia, oltre che un padre ed un nonno premuroso. Se ne è andato senza troppi rumori, evitando quelle luci della ribalta che, da sempre, non ha amato, non per finto pudore, ma perché non si sentiva un protagonista del suo tempo. Da quel lontano 1958, quando aprì il suo studio fotografico in piazza Sant'Agostino, scattando «molte foto per i passaporti», come lui stesso ha raccontato nel libro fotografico realizzato per celebrare i 50 anni di attività, di tempo ne è trascorso. È cambiato il nostro Paese ed è cambiata anche Giovinazzo.
Lui, l'omino arrivato dalla Bari del secondo dopoguerra insieme alla sua compagna di una vita, Margherita, si era fatto ben volere dai suoi nuovi concittadini, spesso chiusi e diffidenti, ancora oggi, verso chi viene da fuori. E sì che quella era un'Italia che si accontentava di poco ed in quel poco lui era già tanto. Con i suoi scatti a scrutare un mondo semplice che solo 50 anni dopo avrebbe messo in mostra, in una rassegna tutt'oggi indimenticata, prima presso la chiesa del Carmine e poi in sala San Felice.
Visti con gli occhi di Vincenzo Mottola, quel mondo, quei volti, quei panorami, quegli scorci della città vecchia che sapevano di antico, a tratti di arcaico, hanno iniziato a parlare alla gente ed a conquistarla. In tanti hanno imparato a far foto da lui ed in tanti hanno anche imparato che scattar foto come le sue era impossibile.
Ma Vincenzo non lo faceva pesare, col suo carattere aperto e gioviale. Non lo faceva pesare e forse non lo sapeva. Non si è mai reso conto di aver tracciato una strada percorsa poi con successo da altri, figli e genero su tutti. Sapeva che non si fa il fotografo, ma si è fotografi, e che quegli scatti possono essere arte. Lo aveva capito mezzo secolo fa, quando coglieva particolari significativi dove altri non vedevano nulla. Don Saverio Bavaro, Renato Guttoso, lo scultore Adolfo Rollo e la pittrice Giuseppina Pansini si sono fatti fotografare da lui, solo per citarne alcuni.
Lui che, col suo bianco e nero, ha raccontato le Feste Patronali, i grandi momenti di vita cittadina, come l'inaugurazione del campo sportivo "Raffaele Depergola", i Cortei Storici che si snodavano dall'agro sino in città o le varie celebrazioni di quartiere di cui Giovinazzo è cornice tutto l'anno. Lui che aveva compreso la bellezza del borgo antico quando tutti lo avevano abbandonato, che aveva saputo offrire prospettive nuove di piazza Vittorio Emanuele II e che aveva immortalato la bellezza di Giovinazzo come nessun nativo giovinazzese aveva mai saputo fare. Lui, che era divenuto col tempo uno del posto ed amava questa cittadina di un amore silenzioso ma passionale, non c'è più.
Ieri l'ultimo saluto al maestro, al mago della macchina fotografica, allo scatto d'autore realizzato con pochi mezzi. Da lassù guarderà quelle strade, quelle chiese, quei vicoli e quel mare e si interrogherà, ne siamo certi, se sia il caso di scattarla, dall'alto, un'altra fotografia. Di quelle sue, di quelle che nessuno ha mai capito come facesse a scattare, di quelle immortali.
Mancherà a moglie, figli, nipoti e parenti. Ma mancherà a Giovinazzo tutta l'uomo mite e l'estro del professionista.
La nave è salpata, fortunati quelli che la vedranno arrivare nel nuovo porto in cui approderà.