Il Commento
Non si può morire a 21 anni
Le nostre riflessioni ad una settimana dall’omicidio di Gaetano Spera
mercoledì 1 aprile 2015
02.30
L'area a verde, voluta, oltre un secolo fa, dal nostro concittadino Giuseppe Palombella è da sempre stata simbolo dell'aggregazione e della socializzazione, ma anche della decadenza di questa città. Per anni alla ribalta della cronaca locale per lo spaccio al minuto di sostanze stupefacenti, rappresenta il meglio e il peggio che questa cittadina può offrire.
Esattamente una settimana fa Giovinazzo, con le sue mille contraddizioni, è tornata a fare notizia, richiamando l'attenzione dei media regionali e nazionali. Cronaca nera, purtroppo, di nuovo. La mattina il più grande polmone verde della città pullula di pensionati, di passanti, di signore di rientro dalla spesa, di bambini che, all'uscita da scuola, si divertono e giocano sulle giostre. Poi, al calar del sole, improvvisamente tutto scompare. Le loro voci lasciano il posto allo squallore di un variopinto brulichio di attività illecite e ad un assordante silenzio.
E questo silenzio, il 25 marzo scorso, è stato lacerato dall'odio, dal sangue. Il sangue di un ragazzo, Gaetano Spera, di soli 21 anni, sfinito a colpi di pistola nel corso di un agguato dai contorni tetri. Una giovane icona degli innumerevoli volti di questa città, un figlio di una Giovinazzo difficile, in un territorio (quello intorno al capoluogo) problematico e omertoso. Sì, quella reticenza di cui abbiamo dovuto ascoltare in tivù di chi forse ha visto, ma non dice nulla. Quella che fa male a chi Giovinazzo la vive, ma che, purtroppo, è evidente. Evidente come la paura che è tornata a farsi sentire nelle strade e l'indifferenza in cui è piombata l'intera città.
Ma ciò che dovrebbe far riflettere maggiormente è l'età: un ragazzo di soli 21 anni, la terra di mezzo. E quella terra è fatta per essere attraversata, percorsa dall'inizio alla fine, partendo dai bambini che eravamo fino a divenire gli uomini che saremo. La vita di Gaetano Spera è finita all'alba del ventiduesimo anno di vita (li avrebbe compiuti il 21 aprile prossimo), quando la sua direzione non era stata ancora presa e l'orizzonte era solo un'idea, mai una certezza. In mezzo un disagio giovanile e non solo, che in questo periodo storico sembra toccare senza distinzioni ogni angolo dell'Italia, ma che a Giovinazzo (non più un'oasi felice o un'area di scarso interesse per la criminalità) necessita di un'analisi più profonda e soprattutto di azioni mirate.
Ciò che è accaduto il 25 marzo scorso non deve essere usato da nessuno, in nessuna circostanza, come uno spot. I giovani di quella Giovinazzo difficile non sono persone di cui ci si possa ricordare solo dopo un episodio di cotanta gravità, ma ragazzi che, con il lavoro di tutti, possono trasformarsi da un problema a infinite risorse. Questo grande cambiamento culturale richiede, però, un impegno ed una determinazione che in troppe occasioni recenti sono mancati. Sì, perché se davvero la verità sarà quella che sembra delinearsi, l'omicidio di vico I corso Principe Amedeo sarà stato un omicidio motivato dall'odio, dalla vendetta. E l'odio genera solo altro odio.
Ed è per spezzare questa catena che noi chiediamo a chiunque abbia visto di parlare e a chiunque abbia agito di consegnarsi alle forze dell'ordine. Ma soprattutto chiediamo che, quando il circo mediatico avrà di nuovo lasciato le nostre strade, quando si spegneranno i riflettori per toccare con mano la realtà, non si torni all'indifferenza ma ci si interroghi e si agisca. Lo facciano le Istituzioni, la Rete Scolastica e i religiosi, i movimenti associativi ed i partiti politici, ovvero tutti coloro i quali anche stavolta hanno preferito non esprimersi sull'accaduto, portando nella coscienza individuale e collettiva il peso di una giovane vita inghiottita per sempre dal buco nero di un viaggio di sola andata.
Si agisca anche e soprattutto per fare in modo che mai più per le nostre strade si possa morire a 21 anni, quando la vita dovrebbe essere ancora tutta un libro da scrivere.
Esattamente una settimana fa Giovinazzo, con le sue mille contraddizioni, è tornata a fare notizia, richiamando l'attenzione dei media regionali e nazionali. Cronaca nera, purtroppo, di nuovo. La mattina il più grande polmone verde della città pullula di pensionati, di passanti, di signore di rientro dalla spesa, di bambini che, all'uscita da scuola, si divertono e giocano sulle giostre. Poi, al calar del sole, improvvisamente tutto scompare. Le loro voci lasciano il posto allo squallore di un variopinto brulichio di attività illecite e ad un assordante silenzio.
E questo silenzio, il 25 marzo scorso, è stato lacerato dall'odio, dal sangue. Il sangue di un ragazzo, Gaetano Spera, di soli 21 anni, sfinito a colpi di pistola nel corso di un agguato dai contorni tetri. Una giovane icona degli innumerevoli volti di questa città, un figlio di una Giovinazzo difficile, in un territorio (quello intorno al capoluogo) problematico e omertoso. Sì, quella reticenza di cui abbiamo dovuto ascoltare in tivù di chi forse ha visto, ma non dice nulla. Quella che fa male a chi Giovinazzo la vive, ma che, purtroppo, è evidente. Evidente come la paura che è tornata a farsi sentire nelle strade e l'indifferenza in cui è piombata l'intera città.
Ma ciò che dovrebbe far riflettere maggiormente è l'età: un ragazzo di soli 21 anni, la terra di mezzo. E quella terra è fatta per essere attraversata, percorsa dall'inizio alla fine, partendo dai bambini che eravamo fino a divenire gli uomini che saremo. La vita di Gaetano Spera è finita all'alba del ventiduesimo anno di vita (li avrebbe compiuti il 21 aprile prossimo), quando la sua direzione non era stata ancora presa e l'orizzonte era solo un'idea, mai una certezza. In mezzo un disagio giovanile e non solo, che in questo periodo storico sembra toccare senza distinzioni ogni angolo dell'Italia, ma che a Giovinazzo (non più un'oasi felice o un'area di scarso interesse per la criminalità) necessita di un'analisi più profonda e soprattutto di azioni mirate.
Ciò che è accaduto il 25 marzo scorso non deve essere usato da nessuno, in nessuna circostanza, come uno spot. I giovani di quella Giovinazzo difficile non sono persone di cui ci si possa ricordare solo dopo un episodio di cotanta gravità, ma ragazzi che, con il lavoro di tutti, possono trasformarsi da un problema a infinite risorse. Questo grande cambiamento culturale richiede, però, un impegno ed una determinazione che in troppe occasioni recenti sono mancati. Sì, perché se davvero la verità sarà quella che sembra delinearsi, l'omicidio di vico I corso Principe Amedeo sarà stato un omicidio motivato dall'odio, dalla vendetta. E l'odio genera solo altro odio.
Ed è per spezzare questa catena che noi chiediamo a chiunque abbia visto di parlare e a chiunque abbia agito di consegnarsi alle forze dell'ordine. Ma soprattutto chiediamo che, quando il circo mediatico avrà di nuovo lasciato le nostre strade, quando si spegneranno i riflettori per toccare con mano la realtà, non si torni all'indifferenza ma ci si interroghi e si agisca. Lo facciano le Istituzioni, la Rete Scolastica e i religiosi, i movimenti associativi ed i partiti politici, ovvero tutti coloro i quali anche stavolta hanno preferito non esprimersi sull'accaduto, portando nella coscienza individuale e collettiva il peso di una giovane vita inghiottita per sempre dal buco nero di un viaggio di sola andata.
Si agisca anche e soprattutto per fare in modo che mai più per le nostre strade si possa morire a 21 anni, quando la vita dovrebbe essere ancora tutta un libro da scrivere.