Il Commento
Il coraggio di Gerardo e Giuseppe
Ieri sera presentato il libro "Acciaierie e Ferriere Pugliesi: una identità perduta?"
domenica 6 dicembre 2015
1.25
La prima parola che viene in mente è "grazie".
Grazie al coraggio di due cittadini che non dimenticano e che hanno in comune la voglia di raccontare storie vere, che riguardano le persone, il loro modo di essere e di vivere. Due persone che hanno sempre lavorato in silenzio, dietro le quinte, con la volontà vera di far parlare i protagonisti di un'epoca che non tornerà mai più.
Gerardo Nardò e Giuseppe Dagostino hanno presentato ieri sera il loro libro-inchiesta "Acciaierie e Ferriere Pugliesi: una identità perduta?", in una chiesetta di San Giovanni Battista in cui si sono ritrovati molti ex dipendenti delle AFP. La serata era inserita nel percorso "Ricucire la memoria", portato avanti dall'Arciconfraternita di Maria SS del Carmine da alcuni anni, all'interno dell'ennesimo appuntamento con la rassegna "Librincittà". A moderarla c'era Filippo D'Attolico, Direttore responsabile del mensile "in Città", giunto al suo ultimo numero cartaceo e che presto diverrà approfondimento on line.
Il grazie a Gerardo e Giuseppe deve essere collettivo, per un libro che ricuce davvero lo strappo col passato, creato da 32 anni di oblio più o meno voluto da una classe dirigente (senza distinzioni di colori) incapace di dare un volto ad un'area industriale dismessa, fantasma di se stessa prima ancora che delle storie di cui è stata teatro.
Il loro merito è lo stesso di un accademico o di uno storico? No, il loro merito è diversissimo, quello cioè di essere andati (forse inconsapevolmente) oltre la ricerca semplice, l'inchiesta fine a se stessa, prettamente giornalistica. Hanno fatto diventare libro degli articoli di giornale, perché quegli articoli raccontavano storie, che tanti blasonati autori non hanno saputo raccontare.
Si sono "sporcati le mani" andando casa per casa a raccogliere testimonianze di chi le Ferriere le ha vissute, nel bene e nel male, negli anni d'oro e nel periodo della decadenza, da dirigente o da ultimo degli operai. Hanno saputo, in buona sostanza, descrivere quasi 50 anni di storia di una parte importante di Giovinazzo, che poi è la stessa storia delle loro famiglie. Hanno saputo dare parola a chi parola non ne ha mai avuta ed hanno fotografato, senza paraocchi ideologici di sorta, una realtà per quella che era.
E poi hanno fatto, taccuino alla mano, qualcosa che nessuno è riuscito ancora a fare: hanno cioè scoperchiato verità taciute, hanno individuato nuove visioni sulle responsabilità del declino di quella che fu una delle più floride aziende siderurgiche del Mezzogiorno. E lo hanno fatto come farebbe un bravo giornalista, anche se loro giornalisti non si definiranno mai: sono arrivati a quelle verità scavando nelle storie e nelle parole della gente semplice che lì, in quei capannoni, ci ha lavorato.
Il bello del giornalismo, non vogliamo sembrare presuntuosi, è proprio la capacità, dati oggettivi alla mano, di far valere la forza della verità, quella taciuta, a volte per calcolo, da qualcuno. Non ditelo però a Gerardo e Giuseppe, loro si scherniranno, proprio per quella loro innata idiosincrasia con l'apparire.
Merito all'Arciconfraternita del Carmine ed al mensile "in Città" per aver creduto nel loro lavoro, pulito, autentico, senza filtri e soprattutto senza pretese di esaustività. Hanno fatto il lavoro del reporter e poi lo hanno racchiuso in un libro. Un bel libro. Punto.
Un testo che tanti giovinazzesi dovrebbero leggere, conoscere, perché in quelle pagine c'è non solo la Giovinazzo che fu, ma si trovano risposte a quello che oggi Giovinazzo è diventata.
Grazie, quindi, a Gerardo e Giuseppe, cronisti e scrittori inconsapevoli ed inconsapevolmente bravi.
Grazie al coraggio di due cittadini che non dimenticano e che hanno in comune la voglia di raccontare storie vere, che riguardano le persone, il loro modo di essere e di vivere. Due persone che hanno sempre lavorato in silenzio, dietro le quinte, con la volontà vera di far parlare i protagonisti di un'epoca che non tornerà mai più.
Gerardo Nardò e Giuseppe Dagostino hanno presentato ieri sera il loro libro-inchiesta "Acciaierie e Ferriere Pugliesi: una identità perduta?", in una chiesetta di San Giovanni Battista in cui si sono ritrovati molti ex dipendenti delle AFP. La serata era inserita nel percorso "Ricucire la memoria", portato avanti dall'Arciconfraternita di Maria SS del Carmine da alcuni anni, all'interno dell'ennesimo appuntamento con la rassegna "Librincittà". A moderarla c'era Filippo D'Attolico, Direttore responsabile del mensile "in Città", giunto al suo ultimo numero cartaceo e che presto diverrà approfondimento on line.
Il grazie a Gerardo e Giuseppe deve essere collettivo, per un libro che ricuce davvero lo strappo col passato, creato da 32 anni di oblio più o meno voluto da una classe dirigente (senza distinzioni di colori) incapace di dare un volto ad un'area industriale dismessa, fantasma di se stessa prima ancora che delle storie di cui è stata teatro.
Il loro merito è lo stesso di un accademico o di uno storico? No, il loro merito è diversissimo, quello cioè di essere andati (forse inconsapevolmente) oltre la ricerca semplice, l'inchiesta fine a se stessa, prettamente giornalistica. Hanno fatto diventare libro degli articoli di giornale, perché quegli articoli raccontavano storie, che tanti blasonati autori non hanno saputo raccontare.
Si sono "sporcati le mani" andando casa per casa a raccogliere testimonianze di chi le Ferriere le ha vissute, nel bene e nel male, negli anni d'oro e nel periodo della decadenza, da dirigente o da ultimo degli operai. Hanno saputo, in buona sostanza, descrivere quasi 50 anni di storia di una parte importante di Giovinazzo, che poi è la stessa storia delle loro famiglie. Hanno saputo dare parola a chi parola non ne ha mai avuta ed hanno fotografato, senza paraocchi ideologici di sorta, una realtà per quella che era.
E poi hanno fatto, taccuino alla mano, qualcosa che nessuno è riuscito ancora a fare: hanno cioè scoperchiato verità taciute, hanno individuato nuove visioni sulle responsabilità del declino di quella che fu una delle più floride aziende siderurgiche del Mezzogiorno. E lo hanno fatto come farebbe un bravo giornalista, anche se loro giornalisti non si definiranno mai: sono arrivati a quelle verità scavando nelle storie e nelle parole della gente semplice che lì, in quei capannoni, ci ha lavorato.
Il bello del giornalismo, non vogliamo sembrare presuntuosi, è proprio la capacità, dati oggettivi alla mano, di far valere la forza della verità, quella taciuta, a volte per calcolo, da qualcuno. Non ditelo però a Gerardo e Giuseppe, loro si scherniranno, proprio per quella loro innata idiosincrasia con l'apparire.
Merito all'Arciconfraternita del Carmine ed al mensile "in Città" per aver creduto nel loro lavoro, pulito, autentico, senza filtri e soprattutto senza pretese di esaustività. Hanno fatto il lavoro del reporter e poi lo hanno racchiuso in un libro. Un bel libro. Punto.
Un testo che tanti giovinazzesi dovrebbero leggere, conoscere, perché in quelle pagine c'è non solo la Giovinazzo che fu, ma si trovano risposte a quello che oggi Giovinazzo è diventata.
Grazie, quindi, a Gerardo e Giuseppe, cronisti e scrittori inconsapevoli ed inconsapevolmente bravi.