Il Commento

Dietro ogni buco una vita, dentro ogni vita un buco: la droga e la comunità C.A.S.A

1984-2014, trent’anni di chi vive per servire sulle orme di don Tonino Bello

Arrivano dal numero 40 del settimanale diocesano Luce e Vita le riflessioni accorate su un tema così bollente e scabro come la droga, che spaventa, ammutolisce, fa vergogna, emargina.

Il titolo che ho scelto, chiaro, senza mezzi termini o giri di parole ci porta dritti al dunque: chi c'è dietro quelle storie, dietro quei buchi alle braccia? Ci sono persone, vissuti, un figlio, un fratello, un parente, un'amica, un nome preciso; dentro la loro vita un buco, non solo quello fisico dell'ago ma anche quello sociale di un'assenza, solitudine e difficoltà di integrazione. Ho letto con piacere il numero 40 pubblicato in occasione dei trent'anni della comunità C.A.S.A. di Ruvo di Puglia, fortemente voluta da don Tonino Bello e che aprì ufficialmente le porte l'8 dicembre del 1984 ai tossicodipendenti che attraverso un piano di recupero, l'aiuto degli operatori e un programma di disintossicazione puntavano e puntano ancora oggi al reinserimento nella società. Già, perché il drogato non è feccia, siamo noi la malattia della società, con la nostra indifferenza.

L'intervento di don Tonino, interamente ripreso e trascritto nel settimanale diocesano trent'anni dopo, dimostra che lo spaccato della società che i suoi occhi avevano di fronte e, ci tengo a precisare, avevano a cuore, è assolutamente identico a quella che i nostri occhi nel 2014 cercano di non vedere e, ci tengo a precisare, di evitare: una società giovane tra i 18 e i 35 anni, fatta di ragazzi frammentari, soli, dediti al consumo, per cui tutto è dovuto, tutto è scontato, nulla è curiosità, conquista e novità, abbandonati e fuori dal mondo produttivo del lavoro, sfiduciati nel presente e nel futuro, senza modelli educativi.

Le droghe di ieri, l'eroina, la cocaina, il metadone, le droghe di oggi, sempre più alla portata di tutti, quasi il diverso fosse chi non ne fa uso e non viceversa! Eppure dietro e dentro quella sigla fatta di quattro lettere, C.A.S.A., comunità, accoglienza, solidarietà, Apulia c'è tutto il calore della casa vera, della famiglia, del focolare, degli affetti domestici che i fautori del progetto portano avanti con gli ospiti ogni giorno dal 1984 con precisi ritmi giornalieri, orari, regole e impegni comunitari ed individuali, attività, celebrazione eucaristica, manutenzione, cucina, coltura e produzione casearia, gestione del parco, lavorazione del legno e restauro.

E noi? Che ruolo abbiamo noi? Noi stiamo a guardare, siamo spettatori di queste vite distrutte, ci passiamo davanti e fingiamo che tutto vada bene, facciamo il nostro, laviamo le nostre coscienze facendo opere di bene, magari facciamo anche beneficienza, donazioni, ci piace essere gratificati dalle grosse partecipazioni di massa, una marcia per la pace, una chiesa gremita di giovani (asserisce don Tonino Bello trent'anni fa!)… ma i vuoti, le assenze sono lì… a due passi, nella mischia, oggi. Non ci accorgiamo che la droga, trent'anni fa e oggi ancora, non ha più differenze sociali, né di sesso, né di area geografica… la droga è nel capriccio del giovane viziato, è nelle tasche del povero disoccupato padre di famiglia, nella borsa della ragazzina in top e tacchi che frequenta amici molto più grandi di lei, è nelle mani del manager e del capo brillante che ha convocato il suo staff prima a cena e poi in discoteca.

Don Tonino Bello continua a scuoterci, le sue parole che ho voluto riprendere suonano attuali anche a distanza di trent'anni: c'è bisogno di tepore, di unione, di accoglienza… non solo a Natale. Il vescovo Mons. Luigi Martella saluta questo traguardo della comunità C.A.S.A. con una sola parola: gratitudine al Signore, alle tante persone amiche che hanno contribuito a servire gli ultimi e alla forza di volontà degli ospiti, dei tanti volti che negli anni si sono affacciati e hanno ritrovato se stessi, cadendo, rialzandosi, cadendo ancora e rialzandosi ancora.

Concludo con l'esperienza di un ospite della casa di Ruvo: «La sofferenza per un tossico è soffocata con la dipendenza dalla sostanza stupefacente o dall'alcool. Oggi, a 44 anni, mi sento pronto a ricominciare, ma devo fare i conti anche con la società».
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