Corsivo
«Tre anni senza Onofrio»
Il ricordo di Sergio Pisani in una città che si sente più sola, più silente, sottomessa. Affamata
giovedì 2 aprile 2020
Ciao Onofrio, come stai?
Tre anni fa non c'era il Coronavirus. Quaggiù non è più come ieri, come tre anni fa. Nemmeno «La pesca dei ricci - erano tue parole - il mestiere più libero al mondo, dopo aver finito le galere sulle navi e pescherecci» è più consentita.
Pescatore di ricci, mestiere che s'inventa per giocare col futuro e restarci dentro un po' di più. No, adesso proprio non si può più. E allora, Onofrio. Di cosa dobbiamo più parlare? Del Coronavirus, la maledizione del 2020? Delle invasioni barbariche dei Goti e della Merkel che non ci dà il nulla osta ai Coronabond? O del mare morto e dei pesci che non dormono più sul fondale?
Di cosa dobbiamo più parlare, Onofrio? Tre anni fa facevi sembrare più lontano i nostri limiti. «Chi vuole esser lieto, sia, di doman non c'è certezza». Sapevi fare anche il Magnifico, la tua fortuna era di non vivere nel mondo di mezzo o di sopra. I ricci erano le tue perle, i mussoli una dannazione. Non facciamone un mistero. Oggi i ricci non si pescano più nemmeno nei mesi con la R.
Sono vuoti anche d'estate e pieni solo in primavera complice l'inquinamento del mare che ha desertificato i nostri fondali. Tre anni fa ti guadagnavi da vivere alla giornata pescando per quasi tutto l'anno i mussoli, tuffandoti in mare quando era a bonaccia o era ondoso. Quanto sangue nelle vene avevi in mare, Onofrio. Ma tutto questo adesso non si può.
Io ti ricordo nella notte fredda e scura quando la città dormiva sotto il tepore delle coperte. Tu no, a sera ti levavi l'ancora dai pantaloni e ti gettavi nelle onde del mare. Natale o Ferragosto, giorno o notte, pioggia o sole non facevano differenza: l'importante che il mare non spumeggiasse il biancore del maestrale o della tramontana che rassomigliava un po' alla morte.
«La pesca dei ricci era il mestiere più libero al mondo». No, adesso proprio non si può più. Ora capisco perché hai voluto che ad andar via per primo fosse proprio tu? Ma sì, diciamo che sei stato un precursore, un buon profeta dell'anno bisestile maledetto venti venti. Prima del 1 aprile 2017 parlavi con me del sogno rivoluzionario di cambiare il mondo.
Oggi non c'è più niente, né ci sei più tu, né l'estetica delle tue poesie né il tuo mondo oggi fatto di sabbia senza calce. Immagino ai tempi del Coronavirus, una tua poesia su La Piazza piena di anafore: la parola FAME all'inizio di ogni frase. Caro Onofrio, poeta del quotidiano, la fame non è più solo nell'aria, ma anche nel carrello della spesa. Avevi tutto previsto.
Con te sembrava davvero tutto un po' più possibile: essere poveri ma irresistibili per destino. Tre anni fa mica adesso. Ci mancano in paese i tuoi sogni, l'idea di giustizia, di una vita migliore sempre oltre le nostre forze anche se non era vero, ma ci voleva tanta forza di volontà per sottrarsi alla tua magia. Era molto più facile e fascinoso però crederti.
Tre anni senza di te? Una città che si sente più sola, più silente, sottomessa. Affamata. Ciao Onofrio, navigante antico e ideale per gli strani mari attuali della vita. Il grande sogno è finito tre anni prima. D'altronde come poteva il tuo principio di uguaglianza essere irrealizzabile ai tempi dei Coronabond in cui ritorneremo all'assalto ai forni? Come non darti ragion?
Strano ma vero, con la tua terza media serale mi parlavi di Seneca. Ma non sapevo che avresti preferito come lui un gesto estremo a compimento di un tuo pensiero. Morire bene per fuggire dal rischio di vivere male. Ai tempi del Coronavirus, avresti avuto ragione».
Tre anni fa non c'era il Coronavirus. Quaggiù non è più come ieri, come tre anni fa. Nemmeno «La pesca dei ricci - erano tue parole - il mestiere più libero al mondo, dopo aver finito le galere sulle navi e pescherecci» è più consentita.
Pescatore di ricci, mestiere che s'inventa per giocare col futuro e restarci dentro un po' di più. No, adesso proprio non si può più. E allora, Onofrio. Di cosa dobbiamo più parlare? Del Coronavirus, la maledizione del 2020? Delle invasioni barbariche dei Goti e della Merkel che non ci dà il nulla osta ai Coronabond? O del mare morto e dei pesci che non dormono più sul fondale?
Di cosa dobbiamo più parlare, Onofrio? Tre anni fa facevi sembrare più lontano i nostri limiti. «Chi vuole esser lieto, sia, di doman non c'è certezza». Sapevi fare anche il Magnifico, la tua fortuna era di non vivere nel mondo di mezzo o di sopra. I ricci erano le tue perle, i mussoli una dannazione. Non facciamone un mistero. Oggi i ricci non si pescano più nemmeno nei mesi con la R.
Sono vuoti anche d'estate e pieni solo in primavera complice l'inquinamento del mare che ha desertificato i nostri fondali. Tre anni fa ti guadagnavi da vivere alla giornata pescando per quasi tutto l'anno i mussoli, tuffandoti in mare quando era a bonaccia o era ondoso. Quanto sangue nelle vene avevi in mare, Onofrio. Ma tutto questo adesso non si può.
Io ti ricordo nella notte fredda e scura quando la città dormiva sotto il tepore delle coperte. Tu no, a sera ti levavi l'ancora dai pantaloni e ti gettavi nelle onde del mare. Natale o Ferragosto, giorno o notte, pioggia o sole non facevano differenza: l'importante che il mare non spumeggiasse il biancore del maestrale o della tramontana che rassomigliava un po' alla morte.
«La pesca dei ricci era il mestiere più libero al mondo». No, adesso proprio non si può più. Ora capisco perché hai voluto che ad andar via per primo fosse proprio tu? Ma sì, diciamo che sei stato un precursore, un buon profeta dell'anno bisestile maledetto venti venti. Prima del 1 aprile 2017 parlavi con me del sogno rivoluzionario di cambiare il mondo.
Oggi non c'è più niente, né ci sei più tu, né l'estetica delle tue poesie né il tuo mondo oggi fatto di sabbia senza calce. Immagino ai tempi del Coronavirus, una tua poesia su La Piazza piena di anafore: la parola FAME all'inizio di ogni frase. Caro Onofrio, poeta del quotidiano, la fame non è più solo nell'aria, ma anche nel carrello della spesa. Avevi tutto previsto.
Con te sembrava davvero tutto un po' più possibile: essere poveri ma irresistibili per destino. Tre anni fa mica adesso. Ci mancano in paese i tuoi sogni, l'idea di giustizia, di una vita migliore sempre oltre le nostre forze anche se non era vero, ma ci voleva tanta forza di volontà per sottrarsi alla tua magia. Era molto più facile e fascinoso però crederti.
Tre anni senza di te? Una città che si sente più sola, più silente, sottomessa. Affamata. Ciao Onofrio, navigante antico e ideale per gli strani mari attuali della vita. Il grande sogno è finito tre anni prima. D'altronde come poteva il tuo principio di uguaglianza essere irrealizzabile ai tempi dei Coronabond in cui ritorneremo all'assalto ai forni? Come non darti ragion?
Strano ma vero, con la tua terza media serale mi parlavi di Seneca. Ma non sapevo che avresti preferito come lui un gesto estremo a compimento di un tuo pensiero. Morire bene per fuggire dal rischio di vivere male. Ai tempi del Coronavirus, avresti avuto ragione».