Eventi e cultura
Ricordare per non giustificare
Ieri sera una lezione di storia del prof. Parlato nella conferenza sull’esodo giuliano-dalmata e le foibe
Giovinazzo - domenica 16 febbraio 2020
12.19
Ci sono tanti modi per ripercorrere le pagine più controverse della storia ed è facile cadere nella retorica o nella cieca parzialità politica.
Pochi giorni dopo il Giorno del Ricordo, celebrato il 10 febbraio con legge n. 92 del 30 marzo 2004, la Città di Giovinazzo ha voluto riflettere sulla tragedia delle foibe e dell'esodo giuliano-dalmata attraverso una conferenza in sala San Felice rivolta a cittadini e liceali.
Relatore il prof. Giuseppe Parlato, ordinario di Storia contemporanea presso la Facoltà di Interpretariato e Traduzione dell'Università Internazionale di Roma, ex preside e rettore dello stesso Ateneo, già allievo di Renzo De Felice.
Ad introdurlo, il vicesindaco Michele Sollecito che ha parlato della necessità di creare dialogo e confronto sia sulla Memoria che sul Ricordo, con una lettura storica non superficiale.
Il docente universitario ha innanzitutto fatto un quadro storico, geografico e culturale dell'epoca, di un'area in cui già si parlava italiano come prima lingua. Tutto cominciò con la guerra Austro-Prussiana e la Terza Guerra di Indipendenza che finì con l'annessione del Veneto e con gli austriaci che per reazione favorirono gli slavi a discapito degli italiani.
Nei primi anni del '900 nacquero i primi movimenti irredentistici contro la tedeschizzazione e la magiarizzazione. Dopo la Prima Guerra Mondiale, la Jugoslavia ottenne la Dalmazia e avviò la snazionalizzazione causando i primi esodi. Il Fascismo provò a fare altrettanto in Istria, coinvolgendo sloveni e croati nelle organizzazioni. Le autorità locali non sopportarono questo collaborazionismo e decisero di destabilizzare a colpi di terrorismo.
Durante la Seconda Guerra Mondiale, Tito tentò di cacciare i tedeschi dai Balcani e con l'armistizio dell'8 settembre 1943 in Istria, non più italiana, arrivarono le sue prime bande e quindi i primi infoibamenti. I morti furono poche centinaia perché il fenomeno fu interrotto dal ritorno dei tedeschi che diffusero le immagini del recupero delle salme che ancora oggi vediamo.
Il peggio però accadde tra il 1 maggio e il 12 giugno 1945: Tito arrivò a Fiume e diede il via alla mattanza perché combatteva contemporaneamente una guerra di liberazione dal nazifascismo, una guerra nazionalista slava contro gli italiani e una guerra di classe contro gli anticomunisti.
Da Trieste scomparvero 5000 persone finite nelle foibe o nei campi di concentramento, si conteranno poi tra i 10 e i 14 mila cittadini gettati nelle cavità carsiche e tra i 250 e i 300 mila italiani costretti all'esodo dal meccanismo del terrore creato. Si è scoperto recentemente che nel 1962 la Croce Rossa Italiana inviava sul posto saponette ai prigionieri di guerra ancora detenuti.
Gli esuli vennero accolti male in Italia, con L'Unità che scriveva che sono "fascisti sfuggiti alla giusta condanna". Nel frattempo il governo intratteneva rapporti con Tito e il PCI guidato da Togliatti, anch'esso al potere finché non arrivò l'aut aut americano, proclamava la fratellanza coi titini, almeno finché non ci fu la rottura tra Stalin e Tito.
Negli anni '50 la DC costruì poi i primi villaggi per i profughi e riservò loro posti nei concorsi pubblici. In tutta Italia però si contavano 109 campo profughi e gli ultimi sono andati via solo nel 1975, ovvero dopo trent'anni di permanenza.
A conclusione della preziosa lectio magistralis di una storia per decenni omessa nei testi scolastici, il prof. Parlato, che è anche membro del Comitato 10 Febbraio, è tornato sul presente sempre con un punto di vista accademico: «Ora si può parlare delle foibe e dell'esodo, stando accanto a chi è rimasto e sconfiggendo il giustificazionismo denunciato anche da Mattarella e talvolta assurdamente usato dall'ANPI. Perché negazionisti e giustificazionisti commettono un grave errore nella loro ricostruzione: non ci fu alcuna insurrezione contro gli italiani come invece accadde nel nostro Paese contro i fascisti; semplicemente Tito riprese il massacro nel maggio '45, ovvero a dittatura sconfitta e a guerra finita».
Pochi giorni dopo il Giorno del Ricordo, celebrato il 10 febbraio con legge n. 92 del 30 marzo 2004, la Città di Giovinazzo ha voluto riflettere sulla tragedia delle foibe e dell'esodo giuliano-dalmata attraverso una conferenza in sala San Felice rivolta a cittadini e liceali.
Relatore il prof. Giuseppe Parlato, ordinario di Storia contemporanea presso la Facoltà di Interpretariato e Traduzione dell'Università Internazionale di Roma, ex preside e rettore dello stesso Ateneo, già allievo di Renzo De Felice.
Ad introdurlo, il vicesindaco Michele Sollecito che ha parlato della necessità di creare dialogo e confronto sia sulla Memoria che sul Ricordo, con una lettura storica non superficiale.
Il docente universitario ha innanzitutto fatto un quadro storico, geografico e culturale dell'epoca, di un'area in cui già si parlava italiano come prima lingua. Tutto cominciò con la guerra Austro-Prussiana e la Terza Guerra di Indipendenza che finì con l'annessione del Veneto e con gli austriaci che per reazione favorirono gli slavi a discapito degli italiani.
Nei primi anni del '900 nacquero i primi movimenti irredentistici contro la tedeschizzazione e la magiarizzazione. Dopo la Prima Guerra Mondiale, la Jugoslavia ottenne la Dalmazia e avviò la snazionalizzazione causando i primi esodi. Il Fascismo provò a fare altrettanto in Istria, coinvolgendo sloveni e croati nelle organizzazioni. Le autorità locali non sopportarono questo collaborazionismo e decisero di destabilizzare a colpi di terrorismo.
Durante la Seconda Guerra Mondiale, Tito tentò di cacciare i tedeschi dai Balcani e con l'armistizio dell'8 settembre 1943 in Istria, non più italiana, arrivarono le sue prime bande e quindi i primi infoibamenti. I morti furono poche centinaia perché il fenomeno fu interrotto dal ritorno dei tedeschi che diffusero le immagini del recupero delle salme che ancora oggi vediamo.
Il peggio però accadde tra il 1 maggio e il 12 giugno 1945: Tito arrivò a Fiume e diede il via alla mattanza perché combatteva contemporaneamente una guerra di liberazione dal nazifascismo, una guerra nazionalista slava contro gli italiani e una guerra di classe contro gli anticomunisti.
Da Trieste scomparvero 5000 persone finite nelle foibe o nei campi di concentramento, si conteranno poi tra i 10 e i 14 mila cittadini gettati nelle cavità carsiche e tra i 250 e i 300 mila italiani costretti all'esodo dal meccanismo del terrore creato. Si è scoperto recentemente che nel 1962 la Croce Rossa Italiana inviava sul posto saponette ai prigionieri di guerra ancora detenuti.
Gli esuli vennero accolti male in Italia, con L'Unità che scriveva che sono "fascisti sfuggiti alla giusta condanna". Nel frattempo il governo intratteneva rapporti con Tito e il PCI guidato da Togliatti, anch'esso al potere finché non arrivò l'aut aut americano, proclamava la fratellanza coi titini, almeno finché non ci fu la rottura tra Stalin e Tito.
Negli anni '50 la DC costruì poi i primi villaggi per i profughi e riservò loro posti nei concorsi pubblici. In tutta Italia però si contavano 109 campo profughi e gli ultimi sono andati via solo nel 1975, ovvero dopo trent'anni di permanenza.
A conclusione della preziosa lectio magistralis di una storia per decenni omessa nei testi scolastici, il prof. Parlato, che è anche membro del Comitato 10 Febbraio, è tornato sul presente sempre con un punto di vista accademico: «Ora si può parlare delle foibe e dell'esodo, stando accanto a chi è rimasto e sconfiggendo il giustificazionismo denunciato anche da Mattarella e talvolta assurdamente usato dall'ANPI. Perché negazionisti e giustificazionisti commettono un grave errore nella loro ricostruzione: non ci fu alcuna insurrezione contro gli italiani come invece accadde nel nostro Paese contro i fascisti; semplicemente Tito riprese il massacro nel maggio '45, ovvero a dittatura sconfitta e a guerra finita».