Eventi e cultura
Riccardo Viel racconta Dante agli studenti di Giovinazzo
Lectio magistralis in una Sala San Felice gremita
Giovinazzo - venerdì 19 gennaio 2024
È iniziata nel migliore dei modi la quattro giorni dedicata ai festeggiamenti in onore di Sant'Antonio Abate a Giovinazzo. Ieri sera, 18 gennaio, in una Sala San Felice gremita da studenti delle scuole secondarie cittadine, il prof. Riccardo Viel ha tenuto una lectio magistralis sulla Divina Commedia dal titolo 'L'inferno e la poesia dell'inverno'. Una lezione di grande spessore accessibile a tutti, non solo ad un pubblico di accademici. Si è trattato del prologo a Borgo Infernum, lo spettacolo itinerante che animerà il centro storico di Giovinazzo questa sera, 19 gennaio, e domani, 20 gennaio. La lezione è stata intervallata dai versi in musica recitati da Pantaleo Annese de Il Carro dei Comici.
LE STAGIONI NEL POEMA DANTESCO
Il docente di Filologia e Linguistica Romanza all'Università degli Studi di Bari 'A. Moro' ha spiegato con chiarezza quanto le stagioni siano al centro del poema dantesco. La Commedia è suddivisa in tre Cantiche ma è l'Inferno a colpire di più il lettore comune, poiché «è popolata da personaggi vividi ed esperienze estreme».
La lingua in rima, oggi visto come un meccanismo che ingabbia gli autori, nel Medioevo era una chiara espressione mnemonica, che dava al poeta antico la possibilità di esprimere al meglio il proprio pensiero in maniera consona. «La parola in rima - ha evidenziato Viel - ha una forza semantica molto forte e tutto ciò è piuttosto evidente nelle terzine dantesche».
Il professore si è quindi soffermato sui ripetuti "significati secondi" che si celano dietro i versi della Divina Commedia: il Sommo Poeta non vuol quasi mai dire ciò che appare evidente, ma il significato è quasi sempre nascosto. La foresta in cui si perde Dante non è dunque solo tale, ad esempio, ma rappresenta lo smarrirsi morale del Poeta.
«Le prime due Cantiche - ha evidenziato Viel - hanno riflessi ambientali: l'Inferno è autunnale ed invernale, mentre il Purgatorio è primaverile sino alla risalita in Paradiso». Dante ha perciò scientemente scelto quelle ambientazioni, conosciute probabilmente nel suo periodo di esilio in Romagna. Ispirandosi alla poesia dei Trovatori, ha quindi cantato un amore «sociale, normato da regole, amore che porta a misura, di valore morale ed etico» e la sublimazione di tutto questo è rappresentato dal Paradiso.
Sublimazione a cui il Sommo Poeta arriva attraverso un percorso lungo e tortuoso, raggiunta solo dopo essersi immerso nel budello infernale, quel cono capovolto in cui si è "sporcato le mani" ed ha sporcato la sua lingua, adeguandosi al livello di chi raccontava. Una lingua sporca, con termini volgari, popolari, volutamente bassi, in Canti però dall'immenso valore letterario.
In sostanza - secondo Viel - Dante scrive l'Inferno con una lingua consona ai peccatori che descrive, sempre più netta man mano che scende nei vari gironi, mentre nel Paradiso ha addirittura coniato parole che oggi utilizziamo e che all'epoca in cui visse suonarono come auliche. Questo ne fa senza dubbio alcuno il padre della lingua italiana, irraggiungibile per profondità del suo pensiero letterario, lui che fu teorico della lingua nascente.
Quella della Sala San Felice resterà come un prologo di altissimo valore culturale che ha coinvolto studenti e studentesse e che sarebbe utile, come ha ricordato in apertura il sindaco Michele Sollecito, ricercatore universitario e letterato anch'egli, riproporre ogni anno quale prologo a questi giorni intensi in cui festa popolare e cultura si vanno intrecciando sempre più.
LE STAGIONI NEL POEMA DANTESCO
Il docente di Filologia e Linguistica Romanza all'Università degli Studi di Bari 'A. Moro' ha spiegato con chiarezza quanto le stagioni siano al centro del poema dantesco. La Commedia è suddivisa in tre Cantiche ma è l'Inferno a colpire di più il lettore comune, poiché «è popolata da personaggi vividi ed esperienze estreme».
La lingua in rima, oggi visto come un meccanismo che ingabbia gli autori, nel Medioevo era una chiara espressione mnemonica, che dava al poeta antico la possibilità di esprimere al meglio il proprio pensiero in maniera consona. «La parola in rima - ha evidenziato Viel - ha una forza semantica molto forte e tutto ciò è piuttosto evidente nelle terzine dantesche».
Il professore si è quindi soffermato sui ripetuti "significati secondi" che si celano dietro i versi della Divina Commedia: il Sommo Poeta non vuol quasi mai dire ciò che appare evidente, ma il significato è quasi sempre nascosto. La foresta in cui si perde Dante non è dunque solo tale, ad esempio, ma rappresenta lo smarrirsi morale del Poeta.
«Le prime due Cantiche - ha evidenziato Viel - hanno riflessi ambientali: l'Inferno è autunnale ed invernale, mentre il Purgatorio è primaverile sino alla risalita in Paradiso». Dante ha perciò scientemente scelto quelle ambientazioni, conosciute probabilmente nel suo periodo di esilio in Romagna. Ispirandosi alla poesia dei Trovatori, ha quindi cantato un amore «sociale, normato da regole, amore che porta a misura, di valore morale ed etico» e la sublimazione di tutto questo è rappresentato dal Paradiso.
Sublimazione a cui il Sommo Poeta arriva attraverso un percorso lungo e tortuoso, raggiunta solo dopo essersi immerso nel budello infernale, quel cono capovolto in cui si è "sporcato le mani" ed ha sporcato la sua lingua, adeguandosi al livello di chi raccontava. Una lingua sporca, con termini volgari, popolari, volutamente bassi, in Canti però dall'immenso valore letterario.
In sostanza - secondo Viel - Dante scrive l'Inferno con una lingua consona ai peccatori che descrive, sempre più netta man mano che scende nei vari gironi, mentre nel Paradiso ha addirittura coniato parole che oggi utilizziamo e che all'epoca in cui visse suonarono come auliche. Questo ne fa senza dubbio alcuno il padre della lingua italiana, irraggiungibile per profondità del suo pensiero letterario, lui che fu teorico della lingua nascente.
Quella della Sala San Felice resterà come un prologo di altissimo valore culturale che ha coinvolto studenti e studentesse e che sarebbe utile, come ha ricordato in apertura il sindaco Michele Sollecito, ricercatore universitario e letterato anch'egli, riproporre ogni anno quale prologo a questi giorni intensi in cui festa popolare e cultura si vanno intrecciando sempre più.