Cronaca
Omicidio Fiorentino, chiuse le indagini. Alla sbarra killer e mandanti
Il delitto è avvenuto il 3 giugno 2014. Ai sei presunti responsabili è stato notificato l'avviso di conclusione delle indagini preliminari
Giovinazzo - venerdì 9 agosto 2024
11.05
La Direzione Distrettuale Antimafia ha chiuso le indagini sul delitto di Claudio Fiorentino, ucciso il 3 giugno 2014. Ai sei presunti responsabili, i pubblici ministeri antimafia Federico Perrone Capano e Domenico Minardi hanno notificato l'avviso di conclusione delle indagini, atto che precede la richiesta di rinvio a giudizio.
Un omicidio pianificato da anni, il primo tentativo avvenne già nel 2012, ma quella volta i killer non spararono: c'erano dei bambini. Fiorentino, hanno ricostruito i Carabinieri, doveva morire perché «si era rifiutato di dare al clan Di Cosola una parte dei proventi del pizzo». A finire in manette, nove anni dopo, sono stati in sei: i due mandanti dell'omicidio, i due esecutori e le due vedette. Fu ucciso sulla complanare della strada statale 16 bis, a bordo di un calesse, con 9 colpi di pistola.
Quel giorno, su ordine di Luigi Guglielmi (trasferito nella casa lavoro di Vasto) e Pasquale Maisto (rinchiuso a Bari), i due presunti esecutori Pietro Mesecorto (in carcere a Tolmezzo) e Michele Giangaspero (collaboratore di giustizia che nel 2018 si è autoaccusato del delitto), con la complicità di Carmine Maisto e di Mario Del Vecchio (nel ruolo di vedette, reclusi ad Ancona e Reggio Calabria), seguirono Fiorentino, lo affiancarono mentre era a bordo del suo calesse e fecero fuoco.
Pesante l'accusa: omicidio premeditato, aggravato dalle modalità mafiose. Sono state proprio le dichiarazioni di un pentito del clan Di Cosola, Giangaspero, che ha fatto ritrovare l'arma, a rivelare come, dietro quell'agguato, ci fosse la guerra tra gruppi criminali per il controllo del racket delle estorsioni a negozi e cantieri.
Un omicidio pianificato da anni, il primo tentativo avvenne già nel 2012, ma quella volta i killer non spararono: c'erano dei bambini. Fiorentino, hanno ricostruito i Carabinieri, doveva morire perché «si era rifiutato di dare al clan Di Cosola una parte dei proventi del pizzo». A finire in manette, nove anni dopo, sono stati in sei: i due mandanti dell'omicidio, i due esecutori e le due vedette. Fu ucciso sulla complanare della strada statale 16 bis, a bordo di un calesse, con 9 colpi di pistola.
Quel giorno, su ordine di Luigi Guglielmi (trasferito nella casa lavoro di Vasto) e Pasquale Maisto (rinchiuso a Bari), i due presunti esecutori Pietro Mesecorto (in carcere a Tolmezzo) e Michele Giangaspero (collaboratore di giustizia che nel 2018 si è autoaccusato del delitto), con la complicità di Carmine Maisto e di Mario Del Vecchio (nel ruolo di vedette, reclusi ad Ancona e Reggio Calabria), seguirono Fiorentino, lo affiancarono mentre era a bordo del suo calesse e fecero fuoco.
Pesante l'accusa: omicidio premeditato, aggravato dalle modalità mafiose. Sono state proprio le dichiarazioni di un pentito del clan Di Cosola, Giangaspero, che ha fatto ritrovare l'arma, a rivelare come, dietro quell'agguato, ci fosse la guerra tra gruppi criminali per il controllo del racket delle estorsioni a negozi e cantieri.