Eventi e cultura
Luca finalmente urla
La storia, il dolore e la rinascita di Luca Mongelli nel suo libro presentato ieri sera con Francesco Minervini
Giovinazzo - sabato 24 novembre 2018
09.30
«Urlo perché ho trovato la forza di gridare al mondo intero tutta la sofferenza e la rabbia che ho dentro».
Parole che Luca Mongelli ha pronunciato forte e chiaro ieri sera in una Sala Marano piena di gente venuta ad assistere alla presentazione di "Finalmente Urlo" (edito da Grecale), libro scritto a quattro mani con Francesco Minervini per raccontare cosa successe realmente sedici anni fa quando nella calma e ridente cittadina svizzera in cui viveva con la sua famiglia il ragazzo fu vittima di una brutale aggressione.
Molto di più di una rappresentazione, in realtà. Perché Luca ed il Prof. Minervini hanno voluto incontrare la città, abbracciarla, condividendo tutte le emozioni di una vicenda di "straordinaria ingiustizia", come compare nel sottotitolo del libro, e ringraziarla per la solidarietà e la comprensione umana di questi anni in cui i Mongelli sono tornati a vivere a Giovinazzo dove hanno trovato il calore essenziale per combattere la loro battaglia.
«In questo libro non c'è solo Luca, ma ci siamo tutti quanti noi» - ha affermato Minervini sottolineando la necessità che chiunque si senta coinvolto e venga a conoscenza della vicenda di cui è stato vittima il ventiquattrenne giovinazzese.
Perché la storia di Luca parla di emigrazione, quella della famiglia Mongelli partita da Giovinazzo per aprire un ristorante in Svizzera, e di un'intolleranza covata e poi sfociata in violenza da parte di una comunità che, forse, non ha mai accettato quegli italiani. Una comunità che ha mostrato ipocrisia e si è girata dall'altra parte dopo quella maledetta sera del 7 febbraio 2002, quando Luca veniva aggredito senza pietà e lasciato per ore nella gelida neve.
«Quella cittadina così perfetta e l'efficiente Svizzera hanno rivelato grettezza di fondo e spietato cinismo – ha continuato Minervini nel suo racconto lucido delle ore che successero alla violenza e dell'iter giudiziario della vicenda -. Inspiegabili, infatti, o peggio «mafiosi» sono stati gli atteggiamenti con cui si è gestito il dopo: i soccorsi, arrivati troppo tardi, la freddezza dei medici, pronti a staccare la spina e ad espiantare gli organi ancora sani, il disinteresse dei giudici, che hanno ignorato la voce di Luca ed ascoltato tardi i ricordi del fratellino Marco, finendo per attribuire la colpa del misfatto ad un cucciolo di cane di sei mesi, la vergognosa lentezza della giustizia, che non ha permesso allo Stato Italiano di tutelare un suo cittadino, o semplicemente l'ostinatezza delle autorità elvetiche nel chiamare "incidente" ciò che aveva tutte le caratteristiche di una vera e propria aggressione.
Un tentativo di insabbiare l'accaduto dinnanzi a cui insaziabile diventa la sete di giustizia e che, forse, solo la forza di Luca riesce rendere un po' meno insopportabile: «In ogni situazione bisogna far sentire la propria grinta, non ci si deve mai arrendere di fronte a chi vorrebbe sovrastare la nostra voce. Siamo tutti persone con gli stessi diritti e doveri», ha gridato con convinzione. Poi, una nota di tenerezza nelle sue parole: «Ci sono momenti in cui la tenacia decade, ma bisogna rialzarsi. E lo si può fare solo con comprensione, amore, ascolto, pazienza, tutte doti che io ho avuto la fortuna di ritrovare in mia madre».
A stringere Luca in un abbraccio sincero di fraterna condivisione c'erano tanti ragazzi, docenti, Luigi Iurlo, Presidente della Sezione Provinciale della Bat dell'Unione Italiana Ciechi e degli Ipovedenti, il Vicesindaco Michele Sollecito ed il Sindaco Tommaso Depalma, legato a papà Nicola e mamma Tina da una profonda amicizia.
«Luca ci insegna che nelle questioni complesse dobbiamo restare uniti ed andare oltre i nostri limiti mostrando una forza di volontà stratosferica», ha detto Depalma con stima ed ammirazione, ricordando che tanti big sono rimasti incantati dal coraggio di un ragazzo irrimediabilmente offeso dalla cattiveria umana e sono diventati suoi amici, in primis il mister Antonio Conte.
Ad un gigante della vita Giovinazzo ieri ha dato la sua carezza più dolce e più gentile, per continuare a tenergli la mano nel suo percorso di rinascita verso la luce dopo il buio più nero che lo ha avvolto per troppo tempo.
Parole che Luca Mongelli ha pronunciato forte e chiaro ieri sera in una Sala Marano piena di gente venuta ad assistere alla presentazione di "Finalmente Urlo" (edito da Grecale), libro scritto a quattro mani con Francesco Minervini per raccontare cosa successe realmente sedici anni fa quando nella calma e ridente cittadina svizzera in cui viveva con la sua famiglia il ragazzo fu vittima di una brutale aggressione.
Molto di più di una rappresentazione, in realtà. Perché Luca ed il Prof. Minervini hanno voluto incontrare la città, abbracciarla, condividendo tutte le emozioni di una vicenda di "straordinaria ingiustizia", come compare nel sottotitolo del libro, e ringraziarla per la solidarietà e la comprensione umana di questi anni in cui i Mongelli sono tornati a vivere a Giovinazzo dove hanno trovato il calore essenziale per combattere la loro battaglia.
«In questo libro non c'è solo Luca, ma ci siamo tutti quanti noi» - ha affermato Minervini sottolineando la necessità che chiunque si senta coinvolto e venga a conoscenza della vicenda di cui è stato vittima il ventiquattrenne giovinazzese.
Perché la storia di Luca parla di emigrazione, quella della famiglia Mongelli partita da Giovinazzo per aprire un ristorante in Svizzera, e di un'intolleranza covata e poi sfociata in violenza da parte di una comunità che, forse, non ha mai accettato quegli italiani. Una comunità che ha mostrato ipocrisia e si è girata dall'altra parte dopo quella maledetta sera del 7 febbraio 2002, quando Luca veniva aggredito senza pietà e lasciato per ore nella gelida neve.
«Quella cittadina così perfetta e l'efficiente Svizzera hanno rivelato grettezza di fondo e spietato cinismo – ha continuato Minervini nel suo racconto lucido delle ore che successero alla violenza e dell'iter giudiziario della vicenda -. Inspiegabili, infatti, o peggio «mafiosi» sono stati gli atteggiamenti con cui si è gestito il dopo: i soccorsi, arrivati troppo tardi, la freddezza dei medici, pronti a staccare la spina e ad espiantare gli organi ancora sani, il disinteresse dei giudici, che hanno ignorato la voce di Luca ed ascoltato tardi i ricordi del fratellino Marco, finendo per attribuire la colpa del misfatto ad un cucciolo di cane di sei mesi, la vergognosa lentezza della giustizia, che non ha permesso allo Stato Italiano di tutelare un suo cittadino, o semplicemente l'ostinatezza delle autorità elvetiche nel chiamare "incidente" ciò che aveva tutte le caratteristiche di una vera e propria aggressione.
Un tentativo di insabbiare l'accaduto dinnanzi a cui insaziabile diventa la sete di giustizia e che, forse, solo la forza di Luca riesce rendere un po' meno insopportabile: «In ogni situazione bisogna far sentire la propria grinta, non ci si deve mai arrendere di fronte a chi vorrebbe sovrastare la nostra voce. Siamo tutti persone con gli stessi diritti e doveri», ha gridato con convinzione. Poi, una nota di tenerezza nelle sue parole: «Ci sono momenti in cui la tenacia decade, ma bisogna rialzarsi. E lo si può fare solo con comprensione, amore, ascolto, pazienza, tutte doti che io ho avuto la fortuna di ritrovare in mia madre».
A stringere Luca in un abbraccio sincero di fraterna condivisione c'erano tanti ragazzi, docenti, Luigi Iurlo, Presidente della Sezione Provinciale della Bat dell'Unione Italiana Ciechi e degli Ipovedenti, il Vicesindaco Michele Sollecito ed il Sindaco Tommaso Depalma, legato a papà Nicola e mamma Tina da una profonda amicizia.
«Luca ci insegna che nelle questioni complesse dobbiamo restare uniti ed andare oltre i nostri limiti mostrando una forza di volontà stratosferica», ha detto Depalma con stima ed ammirazione, ricordando che tanti big sono rimasti incantati dal coraggio di un ragazzo irrimediabilmente offeso dalla cattiveria umana e sono diventati suoi amici, in primis il mister Antonio Conte.
Ad un gigante della vita Giovinazzo ieri ha dato la sua carezza più dolce e più gentile, per continuare a tenergli la mano nel suo percorso di rinascita verso la luce dopo il buio più nero che lo ha avvolto per troppo tempo.