Cultura
La Shoah vista con gli occhi degli storici
Ieri sera Giovinazzo ha celebrato il "Giorno della Memoria"con una conferenza della prof.ssa Immacolata Aulisa
Giovinazzo - giovedì 1 febbraio 2018
06.00
Pregiudizi, sempre pregiudizi. Quelli che sono alla base di qualsiasi razzismo, di ogni discriminazione, nel passato come nel presente. Gli ebrei sono stati vittime per secoli di attacchi e derisione, ma sono rimasti comunità, anche separati e sparpagliati in Stati diversi.
Da quei pregiudizi nasce la Shoah, dall'idea che fossero un popolo "diverso", "altro".
Giovinazzo ha celebrato ieri il "Giorno della Memoria" con una interessante conferenza dal titolo "Antisemitismo ieri e oggi. La memoria. La speranza", tenuta dalla prof.ssa Immacolata Aulisa, docente di Storia del Cristianesimo e delle Chiese all'Università degli Studi di Bari. A moderare l'incontro della Sala San Felice c'era Mario Resta, giovinazzese, brillante dottorando di ricerca sia nell'ateneo barese, sia presso l'Università degli Studi della Repubblica di San Marino. A salutarli, in apertura di conferenza ed in chiusura, l'Assessore alle Politiche Educative, Michele Sollecito, che ha promosso l'evento, ed il Sindaco, Tommaso Depalma.
L'excursus storico della docente è stato chiarificatore su molti aspetti che non emergono quasi mai dalle analisi di ciò che ha portato all'Olocausto. Gli ebrei, ha raccontato Immacolata Aulisa con approccio accademico, «sono sempre stati minoranza, sin dalla nascita del loro popolo».
Un popolo "eletto" direttamente da Dio, che nei secoli non è mai stato compreso dalle altre culture, per quel suo modo di adorarlo, quell'unico Dio, attraverso pratiche (la circoncisione, la santificazione del sabato) che hanno finito per esporli, ingiustamente, all'isolamento. Secondo la professoressa, anche la letteratura latina e greca ci dà modo di comprendere quanto gli ebrei e l'ebraismo fossero avvertiti come lontani dalla cultura dominante.
L'ebraismo ha poi finito, col passare dei secoli, con il confrontarsi col Cristianesimo e «da scontro teologico si è passati ad uno scontro pratico», reale, che ha di fatto creato una spaccatura quasi insanabile tra loro e chi crede nel Messia fattosi uomo. Fu Teodosio, nel IV sec. d.C., a definirli nei suoi codici «nemici dello Stato romano», uno Stato che andava a sua volta frantumandosi ma che nel frattempo si era cristianizzato totalmente.
I luoghi comuni hanno così accompagnato gli ebrei per lunghi secoli: ebrei amici di Satana, ebrei usurai, ebrei deicidi, coloro che misero in croce il Signore.
La comunità cattolica italiana (per fortuna con esempi di eccellenti eccezioni) ha per tanto tempo avallato tutto questo, complici gli insegnamenti di una Chiesa chiusa su se stessa, incapace di dare risposte ai fedeli se non attraverso la paura del peccato, rappresentato spesso anche dall'altro, dal lontano dal proprio credo. I ghetti presenti in tante parti del nostro Paese, ha spiegato ancora Immacolata Aulisa, sono stati il viatico per l'erezione di muri non solo fisici ma soprattutto ideologici e religiosi da parte di tanti italiani verso propri connazionali. Ed il nostro popolo ha finito così per accettare anche le Leggi razziali del 1938.
«Ha ragione la senatrice a vita, Liliana Segre - ha detto la docente di Storia del Cristianesimo e delle Chiese -, quando asserisce che l'aspetto più negativo della deportazione e dell'annientamento degli ebrei sia stata l'indifferenza».
Indifferenza, quindi, come il miglior alleato del razzismo, della sopraffazione, della morte programmata dai nazi-fascisti di 6 milioni di persone, tra ebrei, rom, omosessuali, oppositori del regime ed anche cattolici che si ribellarono alla barbarie.
Ma dall'Olocausto, è la domanda pressante che bisogna porsi nel 2018, abbiamo davvero imparato?
Secondo Immacolata Aulisa, per fortuna l'Italia e l'Occidente hanno avviato da qualche decennio un percorso virtuoso di comprensione della Storia e di rafforzamento della memoria di quei fatti, ma ancora c'è da fare molto. Per esempio contro la distorsione e l'estremizzazione «dell'antisionismo operate in alcuni ambienti culturali e su alcune testate giornalistiche», che possono offrire la sponda e confondersi con un antisemitismo di ritorno latente, di cui oggi si avverte la presenza.
La lezione, pertanto, non sarebbe affatto stata appresa in toto, se è vero che i negazionisti continuano a cercare trame da ordire e che grandi tragedie si sono consumate e si consumano in ogni angolo del pianeta, come dimostrano i genocidi dei cristiani in Darfour, Nigeria e Siria, dei montagnards in Vietnam e prima ancora dei Tutsi in Ruanda e dei musulmani di Bosnia, solo per citare alcuni esempi. In tutti quei casi l'opinione pubblica occidentale è rimasta troppo silenziosa, quasi assente.
Le immagini di Giovanni Paolo II che incontra il Rabbino capo Toaff in sinagoga a Roma, il 13 aprile 1986, sono invece oggi il migliore spot per il dialogo e la comprensione reciproca tra culture, da far vedere e rivedere alle nuove generazioni. Sono Storia contemporanea e rappresentano lo sgretolamento del muro tra ebrei e cattolici (Woytjla ne butterà giù altri molto pesanti negli anni successivi), durato secoli, troppi secoli. I fratelli maggiori che incontrano quelli più giovani, tutto riassunto in un abbraccio che dà speranza ed indica la via.
«Quella visita - ha ricordato il Rabbino di Roma, Riccardo Di Segni, nel 2016, davanti ai taccuini di Orazio La Rocca, giornalista de l'Espresso - segnò l'inizio di un nuovo cammino, l'avvio di una strada senza ritorno nei rapporti tra cattolici ed ebrei. Si passò dalle enunciazioni di principio, dalla teoria, alla pratica».
La strada per tanti di noi italiani, appare fin troppo facile scriverlo, è quindi quella indicata nell'aprile di 32 anni fa ed è stata tracciata. Chi si volta dall'altra parte, chi non vuole avere memoria, non ha fatto i conti con la Storia e con le verità che ci ha tramandato.
Da quei pregiudizi nasce la Shoah, dall'idea che fossero un popolo "diverso", "altro".
Giovinazzo ha celebrato ieri il "Giorno della Memoria" con una interessante conferenza dal titolo "Antisemitismo ieri e oggi. La memoria. La speranza", tenuta dalla prof.ssa Immacolata Aulisa, docente di Storia del Cristianesimo e delle Chiese all'Università degli Studi di Bari. A moderare l'incontro della Sala San Felice c'era Mario Resta, giovinazzese, brillante dottorando di ricerca sia nell'ateneo barese, sia presso l'Università degli Studi della Repubblica di San Marino. A salutarli, in apertura di conferenza ed in chiusura, l'Assessore alle Politiche Educative, Michele Sollecito, che ha promosso l'evento, ed il Sindaco, Tommaso Depalma.
L'excursus storico della docente è stato chiarificatore su molti aspetti che non emergono quasi mai dalle analisi di ciò che ha portato all'Olocausto. Gli ebrei, ha raccontato Immacolata Aulisa con approccio accademico, «sono sempre stati minoranza, sin dalla nascita del loro popolo».
Un popolo "eletto" direttamente da Dio, che nei secoli non è mai stato compreso dalle altre culture, per quel suo modo di adorarlo, quell'unico Dio, attraverso pratiche (la circoncisione, la santificazione del sabato) che hanno finito per esporli, ingiustamente, all'isolamento. Secondo la professoressa, anche la letteratura latina e greca ci dà modo di comprendere quanto gli ebrei e l'ebraismo fossero avvertiti come lontani dalla cultura dominante.
L'ebraismo ha poi finito, col passare dei secoli, con il confrontarsi col Cristianesimo e «da scontro teologico si è passati ad uno scontro pratico», reale, che ha di fatto creato una spaccatura quasi insanabile tra loro e chi crede nel Messia fattosi uomo. Fu Teodosio, nel IV sec. d.C., a definirli nei suoi codici «nemici dello Stato romano», uno Stato che andava a sua volta frantumandosi ma che nel frattempo si era cristianizzato totalmente.
I luoghi comuni hanno così accompagnato gli ebrei per lunghi secoli: ebrei amici di Satana, ebrei usurai, ebrei deicidi, coloro che misero in croce il Signore.
La comunità cattolica italiana (per fortuna con esempi di eccellenti eccezioni) ha per tanto tempo avallato tutto questo, complici gli insegnamenti di una Chiesa chiusa su se stessa, incapace di dare risposte ai fedeli se non attraverso la paura del peccato, rappresentato spesso anche dall'altro, dal lontano dal proprio credo. I ghetti presenti in tante parti del nostro Paese, ha spiegato ancora Immacolata Aulisa, sono stati il viatico per l'erezione di muri non solo fisici ma soprattutto ideologici e religiosi da parte di tanti italiani verso propri connazionali. Ed il nostro popolo ha finito così per accettare anche le Leggi razziali del 1938.
«Ha ragione la senatrice a vita, Liliana Segre - ha detto la docente di Storia del Cristianesimo e delle Chiese -, quando asserisce che l'aspetto più negativo della deportazione e dell'annientamento degli ebrei sia stata l'indifferenza».
Indifferenza, quindi, come il miglior alleato del razzismo, della sopraffazione, della morte programmata dai nazi-fascisti di 6 milioni di persone, tra ebrei, rom, omosessuali, oppositori del regime ed anche cattolici che si ribellarono alla barbarie.
Ma dall'Olocausto, è la domanda pressante che bisogna porsi nel 2018, abbiamo davvero imparato?
Secondo Immacolata Aulisa, per fortuna l'Italia e l'Occidente hanno avviato da qualche decennio un percorso virtuoso di comprensione della Storia e di rafforzamento della memoria di quei fatti, ma ancora c'è da fare molto. Per esempio contro la distorsione e l'estremizzazione «dell'antisionismo operate in alcuni ambienti culturali e su alcune testate giornalistiche», che possono offrire la sponda e confondersi con un antisemitismo di ritorno latente, di cui oggi si avverte la presenza.
La lezione, pertanto, non sarebbe affatto stata appresa in toto, se è vero che i negazionisti continuano a cercare trame da ordire e che grandi tragedie si sono consumate e si consumano in ogni angolo del pianeta, come dimostrano i genocidi dei cristiani in Darfour, Nigeria e Siria, dei montagnards in Vietnam e prima ancora dei Tutsi in Ruanda e dei musulmani di Bosnia, solo per citare alcuni esempi. In tutti quei casi l'opinione pubblica occidentale è rimasta troppo silenziosa, quasi assente.
Le immagini di Giovanni Paolo II che incontra il Rabbino capo Toaff in sinagoga a Roma, il 13 aprile 1986, sono invece oggi il migliore spot per il dialogo e la comprensione reciproca tra culture, da far vedere e rivedere alle nuove generazioni. Sono Storia contemporanea e rappresentano lo sgretolamento del muro tra ebrei e cattolici (Woytjla ne butterà giù altri molto pesanti negli anni successivi), durato secoli, troppi secoli. I fratelli maggiori che incontrano quelli più giovani, tutto riassunto in un abbraccio che dà speranza ed indica la via.
«Quella visita - ha ricordato il Rabbino di Roma, Riccardo Di Segni, nel 2016, davanti ai taccuini di Orazio La Rocca, giornalista de l'Espresso - segnò l'inizio di un nuovo cammino, l'avvio di una strada senza ritorno nei rapporti tra cattolici ed ebrei. Si passò dalle enunciazioni di principio, dalla teoria, alla pratica».
La strada per tanti di noi italiani, appare fin troppo facile scriverlo, è quindi quella indicata nell'aprile di 32 anni fa ed è stata tracciata. Chi si volta dall'altra parte, chi non vuole avere memoria, non ha fatto i conti con la Storia e con le verità che ci ha tramandato.