Eventi e cultura
La Memoria senza retorica
Ieri sera Giovinazzo ha ricordato le vittime della Shoah grazie alla relazione della prof.ssa Roberta Ascarelli
Giovinazzo - martedì 29 gennaio 2019
3.43
Ci sono molti modi per celebrare la Giornata della Memoria per le vittime della Shoah e quello scelto dal Comune di Giovinazzo, ieri sera, è sembrato sobrio ma ricco di spunti. "Oltre la persecuzione. Donne, ebraismo, memoria" è stato un evento che non ha mai lasciato spazio alla ridondanza, alla retorica di un falso ricordo.
In una gremita Sala San Felice, alla presenza del Sindaco, Tommaso Depalma, dell'Assessore alle Politiche Educative, Michele Sollecito, di quello alla Cultura, Anna Vacca, la prof.ssa Roberta Ascarelli, ordinaria di Letteratura tedesca all'Università di Siena, nonché esperta giudaista, ha tenuto una conferenza seguitissima dai ragazzi del Liceo Classico e Scientifico "Matteo Spinelli", parte attiva di una serata da cui sono scaturite molteplici riflessioni.
Si è trattato di una relazione affatto cattedratica, alla portata di tutti, ma al contempo densa di notizie che ne hanno fatto l'antitesi perfetta di una celebrazione che si prestasse a strumentalizzazioni.
La prof.ssa Ascarelli è partita ricordando come le vittime di eccidi spesso non abbiano nome, quasi non abbiamo identità ed una delle azioni da compiere è proprio quella di «rivedere le differenze», intese come ricerca delle singole peculiarità degli esseri umani, che ne compongono le identità. E così, secondo l'accademica, è opportuno rappresentare l'ebraismo come una «galassia immensa», in cui ciascun gruppo ha proprie caratteristiche, lingua, tradizioni e riti. Insomma, il mondo giudaico non sarebbe affatto un monolite e per spiegare la storia, anche quella più brutale come l'Olocausto c'è bisogno di comprenderne differenze e diversità.
Due le grandi famiglie dell'ebraismo, quella mediterranea, con radici in Spagna e poi espansasi in altre nazioni come l'Italia, e l'altra del centro Europa fino alla Russia, che ha sempre visto nella Germania uno dei suoi fulcri.
Gli ebrei, ha ricordato la prof.ssa Ascarelli, sono dunque un gruppo composito, ben oltre l'idea contemporanea di Israele quale terra promessa e Stato al contempo. E sono anche «spettri» che sanno fare paura con le loro peculiarità che da secoli si mescolano alle culture di singole nazioni. Ma le diversità - e questo è stato un passaggio sulla contemporaneità - sebbene suscitino spesso diffidenza e paure legittime, possono essere spesso, ma non sempre, fonte di arricchimento culturale.
Il ceppo ebraico italiano ha dunque le sue radici in Spagna, con comunità numerose trasferitesi sin dal 1.400 dapprima a Roma e poi a Napoli, dove la convivenza con i cattolici è stata solo a tratti un problema. L'esempio del nonno della docente di Letteratura tedesca, fondatore e presidente della primissima squadra di calcio partenopea ne è testimonianza. Fece edificare lo stadio Ascarelli, poi chiamato Partenope da Mussolini per i campionati del mondo di calcio del 1934, ma che per la gente di Napoli rimase fino alla sua distruzione con la medesima intitolazione.
Parlare di Memoria della Shoah, però, secondo Roberta Ascarelli vuol dire soprattutto parlare dei vivi, dei sopravvissuti ai campi di sterminio, della fiorente letteratura, anche e soprattutto tedesca, che proliferò nel dopoguerra.
Raccontarla quella pagina tristissima di storia, significa dunque ricordare i tanti eroi, forse centinaia di persone, che misero a repentaglio la propria vita per salvare quella di migliaia ebrei, rom, sinti, omosessuali e dissidenti.
Il tema centrale della serata è stato poi affrontato nella terza parte della relazione della docente dell'ateneo senese, partendo dalla premessa che «essere donna ed essere uomo in un campo di prigionia, o peggio di sterminio, era assai differente».
«Delle donne partigiane - ha detto la prof.ssa Ascarelli - si sa tutto o quasi, perché esse erano combattenti, donne che avevano sparato, pronte a raccontare la loro difesa della nazione», al contrario di quelle ebree sopravvissute allo sterminio, alla fame dei campi di lavoro, alle percosse, alle umiliazioni.
Perché, a ben vedere e scavando nella storiografia e nella letteratura, la donna ebrea scampata al lager, sovente medio-borghese, di cultura, veniva vista con sospetto, accusata spesso di essere qualcosa di simile ad una prostituta, riaccolta con la diffidenza di chi è giudicato "sporco". Ulteriore tragica beffa per chi aveva vissuto un dramma di proporzioni enormi, svilita nel corpo (i nazisti puntavano a questo, allo svilimento del corpo femminile che invece per gli ebrei è tempio della "continuità delle generazioni") e nella mente, spesso con strascichi insanabili.
La grande forza delle donne ebree, secondo la docente, fu quindi la consapevolezza della propria identità, la forte forza d'animo di preservare, dove possibile, il proprio corpo e la compattezza del gruppo, visto come nucleo grazie a cui mantenere viva la speranza. È stata la pietas a salvare molte donne ebree dall'Olocausto, manifestatasi in vario modo, anche (sembra assurdo) attraverso il mantenimento in vita della tradizione culinaria ebraica, impressa su carta, là dove cibo non si vedeva per giorni interi, settimane, fino allo sfinimento programmato.
Ed ecco che ritorna quella identità figlia della diversità, della differenza.
Sollecitata da una nostra domanda, Roberta Ascarelli ha evidenziato infine come il rapporto tra una parte degli ebrei italiani e il primo fascismo fosse dovuto ad una sorta di "riconoscenza" dei primi verso casa Savoia, portatrice di una vera e propria liberazione dai ghetti dell'epoca pontificia. Tuttavia, ha spiegato la giudaista, la composita e variegata comunità ebraica italiana non era allineata con un solo pensiero, basti ricordare i tanti ebrei socialisti e comunisti che lasciarono il nostro Paese quando il fascismo s'impose.
Tornando ai giorni nostri, non è quindi più il tempo della rappresentazione autocelebrativa della Shoah, ma è giunto quello della conoscenza attraverso gli atti e i fatti che i nazisti intesero cancellare e che una lunga ricerca storiografica ha permesso di riportare alla luce. Il problema dell'Olocausto ebraico va oltre gli ebrei, oltre la classificazione del "mio" e del "tuo" e deve vivere, secondo la prof.ssa Ascarelli, di una nuova consapevolezza da trasmettere ai giovani: ciò che accade ad altri popoli potrebbe accadere al nostro.
Alla nostra sensibilità su questi argomenti, magari aiutata dallo studio, dalla ricerca e mai veicolata da fini meramente politici, è rimessa la trasmissione di una Memoria autentica di ciò che accadde e purtroppo accade ancora in molte zone del pianeta.
La Shoah non è un fatto che sta fermo, immoto, confinato nella storia dei popoli, ma è vivo e parla a chi quei fatti non li ha vissuti in prima persona. Parla e ne deve scuotere le coscienze. La Giornata della Memoria non può essere solo una litania che finirebbe per stancare, ma dev'essere contributo attivo al sapere.
Quel contributo formidabile reso ieri sera a Giovinazzo dalla professoressa Roberta Ascarelli.
In una gremita Sala San Felice, alla presenza del Sindaco, Tommaso Depalma, dell'Assessore alle Politiche Educative, Michele Sollecito, di quello alla Cultura, Anna Vacca, la prof.ssa Roberta Ascarelli, ordinaria di Letteratura tedesca all'Università di Siena, nonché esperta giudaista, ha tenuto una conferenza seguitissima dai ragazzi del Liceo Classico e Scientifico "Matteo Spinelli", parte attiva di una serata da cui sono scaturite molteplici riflessioni.
Si è trattato di una relazione affatto cattedratica, alla portata di tutti, ma al contempo densa di notizie che ne hanno fatto l'antitesi perfetta di una celebrazione che si prestasse a strumentalizzazioni.
La prof.ssa Ascarelli è partita ricordando come le vittime di eccidi spesso non abbiano nome, quasi non abbiamo identità ed una delle azioni da compiere è proprio quella di «rivedere le differenze», intese come ricerca delle singole peculiarità degli esseri umani, che ne compongono le identità. E così, secondo l'accademica, è opportuno rappresentare l'ebraismo come una «galassia immensa», in cui ciascun gruppo ha proprie caratteristiche, lingua, tradizioni e riti. Insomma, il mondo giudaico non sarebbe affatto un monolite e per spiegare la storia, anche quella più brutale come l'Olocausto c'è bisogno di comprenderne differenze e diversità.
Due le grandi famiglie dell'ebraismo, quella mediterranea, con radici in Spagna e poi espansasi in altre nazioni come l'Italia, e l'altra del centro Europa fino alla Russia, che ha sempre visto nella Germania uno dei suoi fulcri.
Gli ebrei, ha ricordato la prof.ssa Ascarelli, sono dunque un gruppo composito, ben oltre l'idea contemporanea di Israele quale terra promessa e Stato al contempo. E sono anche «spettri» che sanno fare paura con le loro peculiarità che da secoli si mescolano alle culture di singole nazioni. Ma le diversità - e questo è stato un passaggio sulla contemporaneità - sebbene suscitino spesso diffidenza e paure legittime, possono essere spesso, ma non sempre, fonte di arricchimento culturale.
Il ceppo ebraico italiano ha dunque le sue radici in Spagna, con comunità numerose trasferitesi sin dal 1.400 dapprima a Roma e poi a Napoli, dove la convivenza con i cattolici è stata solo a tratti un problema. L'esempio del nonno della docente di Letteratura tedesca, fondatore e presidente della primissima squadra di calcio partenopea ne è testimonianza. Fece edificare lo stadio Ascarelli, poi chiamato Partenope da Mussolini per i campionati del mondo di calcio del 1934, ma che per la gente di Napoli rimase fino alla sua distruzione con la medesima intitolazione.
Parlare di Memoria della Shoah, però, secondo Roberta Ascarelli vuol dire soprattutto parlare dei vivi, dei sopravvissuti ai campi di sterminio, della fiorente letteratura, anche e soprattutto tedesca, che proliferò nel dopoguerra.
Raccontarla quella pagina tristissima di storia, significa dunque ricordare i tanti eroi, forse centinaia di persone, che misero a repentaglio la propria vita per salvare quella di migliaia ebrei, rom, sinti, omosessuali e dissidenti.
Il tema centrale della serata è stato poi affrontato nella terza parte della relazione della docente dell'ateneo senese, partendo dalla premessa che «essere donna ed essere uomo in un campo di prigionia, o peggio di sterminio, era assai differente».
«Delle donne partigiane - ha detto la prof.ssa Ascarelli - si sa tutto o quasi, perché esse erano combattenti, donne che avevano sparato, pronte a raccontare la loro difesa della nazione», al contrario di quelle ebree sopravvissute allo sterminio, alla fame dei campi di lavoro, alle percosse, alle umiliazioni.
Perché, a ben vedere e scavando nella storiografia e nella letteratura, la donna ebrea scampata al lager, sovente medio-borghese, di cultura, veniva vista con sospetto, accusata spesso di essere qualcosa di simile ad una prostituta, riaccolta con la diffidenza di chi è giudicato "sporco". Ulteriore tragica beffa per chi aveva vissuto un dramma di proporzioni enormi, svilita nel corpo (i nazisti puntavano a questo, allo svilimento del corpo femminile che invece per gli ebrei è tempio della "continuità delle generazioni") e nella mente, spesso con strascichi insanabili.
La grande forza delle donne ebree, secondo la docente, fu quindi la consapevolezza della propria identità, la forte forza d'animo di preservare, dove possibile, il proprio corpo e la compattezza del gruppo, visto come nucleo grazie a cui mantenere viva la speranza. È stata la pietas a salvare molte donne ebree dall'Olocausto, manifestatasi in vario modo, anche (sembra assurdo) attraverso il mantenimento in vita della tradizione culinaria ebraica, impressa su carta, là dove cibo non si vedeva per giorni interi, settimane, fino allo sfinimento programmato.
Ed ecco che ritorna quella identità figlia della diversità, della differenza.
Sollecitata da una nostra domanda, Roberta Ascarelli ha evidenziato infine come il rapporto tra una parte degli ebrei italiani e il primo fascismo fosse dovuto ad una sorta di "riconoscenza" dei primi verso casa Savoia, portatrice di una vera e propria liberazione dai ghetti dell'epoca pontificia. Tuttavia, ha spiegato la giudaista, la composita e variegata comunità ebraica italiana non era allineata con un solo pensiero, basti ricordare i tanti ebrei socialisti e comunisti che lasciarono il nostro Paese quando il fascismo s'impose.
Tornando ai giorni nostri, non è quindi più il tempo della rappresentazione autocelebrativa della Shoah, ma è giunto quello della conoscenza attraverso gli atti e i fatti che i nazisti intesero cancellare e che una lunga ricerca storiografica ha permesso di riportare alla luce. Il problema dell'Olocausto ebraico va oltre gli ebrei, oltre la classificazione del "mio" e del "tuo" e deve vivere, secondo la prof.ssa Ascarelli, di una nuova consapevolezza da trasmettere ai giovani: ciò che accade ad altri popoli potrebbe accadere al nostro.
Alla nostra sensibilità su questi argomenti, magari aiutata dallo studio, dalla ricerca e mai veicolata da fini meramente politici, è rimessa la trasmissione di una Memoria autentica di ciò che accadde e purtroppo accade ancora in molte zone del pianeta.
La Shoah non è un fatto che sta fermo, immoto, confinato nella storia dei popoli, ma è vivo e parla a chi quei fatti non li ha vissuti in prima persona. Parla e ne deve scuotere le coscienze. La Giornata della Memoria non può essere solo una litania che finirebbe per stancare, ma dev'essere contributo attivo al sapere.
Quel contributo formidabile reso ieri sera a Giovinazzo dalla professoressa Roberta Ascarelli.