Ennio Morricone
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Corsivi

L'immortalità dell'anti-divo

Il nostro omaggio al Maestro Ennio Morricone

Di Ennio Morricone, del suo genio, della sua assoluta inimitabilità avrete letto ovunque in queste giornate.

Il Maestro rappresentava certamente un patrimonio che non andrà perduto e che accompagnerà le nostre vite a lungo, ma era soprattutto l'emblema dell'anti-divo, dello schivo fino ad essere ritroso, non per superbia, ma per continua ricerca del lavoro, della costanza e della disciplina. Lo ha detto lui stesso, non è un segreto, ed è stato ripreso da molte testate.

Giovinazzo ha vissuto una serata in San Domenico di grande spessore il 13 luglio di un anno fa, quando il suo unico, caparbio e talentuoso biografo, Alessandro De Rosa, ci aveva fatto dono di aneddoti e storie legati all'infinita produzione di Morricone, grazie all'idea di Florinda Bavaro e della Touring Juvenatium.

Morricone che si commosse nel vedere il film "Mission" completo e non musicato e che non avrebbe voluto "sporcarlo" con le sue note o Sergio Leone che costruì la scena di Claudia Cardinale che arriva in stazione, in "C'era una volta il West", su uno spartito già scritto e che l'ha consegnata alla storia del cinema.

Tanti, troppi gli aneddoti dell'anti-divo che proseguirà il suo cammino nell'immortalità. Un anti-divo vero non solo per la sua ritrosia, ma anche per il suo amore infinito per la moglie Maria, con lui in ogni momento straordinario come per la consegna dell'Oscar alla carriera, e per la sua fede indigesta a qualche salotto buono, mai sbandierata. Morricone seppe dire «Come credente questa fede è probabilmente sempre presente, ma è lì perché sia riconosciuta dagli altri, dai musicologi e da coloro che non solo analizzano i brani musicali, ma comprendono la mia natura, la sacralità e il misticismo», lasciando un insegnamento "pratico", "quotidiano" che decenni di teologia astratta non seppero mai trasmettere e che il mondo ateo che lo circondava non poté mai comprendere sino in fondo.

Morricone era anti-divo e per questo superava in grandezza i divi presunti o reali, la sua arte temeva sempre cadute e lui non si vergognò di "sporcarsi le mani" col cinema, rendendolo quello che oggi conosciamo. Non solo registi e sceneggiatori seppero cambiarne il corso, ma la sua musica, le sue note, ne dettero nuova dimensione, inarrivabile perché costruita dal basso, da chi aveva saputo fare gavetta e nella costanza del lavoro aveva trovato la sublimazione delle sue aspirazioni.

Il genio si coltiva, dunque, non basta a se stesso, figurarsi agli altri. Ed è forse questa la più grande eredità ed il più importante insegnamento dell'essere umano, prima che del compositore. La normalità che diventa eccellenza insuperabile, un uomo con le sue paure, i suoi spigoli caratteriali, le sue manie che diventa esempio.

Mancherà a tanti, non a tutti fuor di retorica, perché non seppe scendere a compromessi in moltissime circostanze.

Il più bell'omaggio che possiamo fargli non sono solo celebrazioni vuote, ridondanti, che non avrebbe affatto gradito. Sarebbe invece giusto rendergli tributo raccontandolo per quello che era, tenero e duro allo stesso tempo, come Alessandro De Rosa ha saputo fare, proprio a Giovinazzo.

Immortale è l'anti-divo che dell'attitudine fece talento, della costanza regola di vita e della ricerca della bellezza in musica, la sua missione.
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