Scuola
Il coraggio del ricordo (FOTO)
Il prof. Giuseppe Dicuonzo Sansa ha raccontato il dramma istriano-dalmata nelle scuole giovinazzesi
Giovinazzo - martedì 14 febbraio 2017
06.00
Ricordare, con coraggio, per non perdere la propria identità. Farla propria davvero dopo decenni lontani dal luogo natìo, dopo le violenze, l'esodo, una infanzia serena in parte negata.
Giovinazzo ha celebrato ieri mattina il "Giorno del Ricordo" delle vittime delle foibe e dell'esodo istriano-giuliano-dalmata e lo ha fatto nei luoghi in cui si forma la coscienza collettiva del domani: le scuole. Dapprima alla secondaria di primo grado "Guglielmo Marconi", poi alla primaria "San Giovanni Bosco", con gli alunni della "Michelangelo Buonarroti" attenti spettatori della viva testimonianza del prof. Giuseppe Dicuonzo Sansa, Vicepresidente nazionale dell'associazione di esuli istriani "Famiglia Dignanese".
La sinergia tra Assessorato alla Cultura ed Assessorato alla Pubblica Istruzione ha prodotto due eventi di grande spessore, entrambi ad uso e consumo dei giovani scolari. Dicuonzo Sansa ha ripercorso l'incredibile viaggio della sua vita, dalla nascita a Pola, ancora italiana, fino all'arrivo in Puglia, a Barletta, nuova patria, nuova casa, nuovo approdo per chi a soli 3 anni ha perso tutto ciò che aveva.
Lo ha perso per la voglia di vendetta dei comunisti titini, convinti che l'identità italiana corrispondesse a quella fascista. Così la morte tra il 1943 ed il 1947 si fece più presente in quelle terre ad Est, martoriate già dal secondo conflitto mondiale e dall'ingombrante presenza nazi-fascista. Pola, Zara, Fiume, Dignano e la stessa Venezia-Giulia furono teatro di quello che Dicuonzo Sansa ha giustamente definito un «genocidio e non una pulizia etnica». Diecimila, forse di più. Tanti fuorono gli infoibati, i fucilati, gli impiccati.
Tra di essi dapprima medici, postini, o impiegati pubblici, con la sola colpa di essere stati uomini di apparato, secondo gli slavi, di quell'apparato fascista che si era macchiato di crimini oltre i confini nazionali. Poi, però, perirono in quelle cavità carsiche anche donne (come la studentessa Norma Cossetto, la cui storia è tristemente nota), piccoli imprenditori agricoli, partigiani bianchi e socialisti, preti e tutti coloro i quali non volevano piegarsi al volere di Tito. E chi si ribellò e non fu ucciso, dovette scappare.
Nessuno ne ha mai dato conto fino al 2004 di questa tragedia, fino a quella legge dello Stato che ha riabilitato quei cadaveri dai cui corpi era sgorgato sangue italiano. Uccisi perché fieri di essere ciò che erano. Nessuno osava parlarne, anche sui libri di storia che si studiava in quelle scuole dove oggi il silenzio è stato rotto, ma ieri, complice la pseudo-intellighenzia illuminata che ha veicolato il pensiero in questo Paese per decenni, si taceva.
Per Dicuonzo Sansa e per altri 350.000 istriani e dalmati la speranza di sopravvivere si chiamò fuga. Fuga a bordo del piroscafo "Toscana", richiamato nel bellissimo spettacolo "Magazzino 18" di Simone Cristicchi, un amaro, meraviglioso contributo alla coscienza collettiva riscoperta in una nazione che aveva fatto finta di non capire, di non vedere.
In migliaia si dispersero in tutta la penisola ed in tutto il mondo. Dicuonzo Sansa a Dignano, paese di mamma Maddalena, ci tornò solo nel 1960 e scoprì le sue origini, quelle tenute nascoste anche a Barletta per troppo tempo, quasi con vergogna: istriano, dalmata o giuliano uguale fascista, era la triste equazione.
«Siamo esuli, non profughi» ha detto il letterato polesano-barlettano rivolgendosi ai ragazzi presenti nelle Aule Magne delle due scuole. Esuli, perché scacciati da casa che non avrebbero mai abbandonato. Scacciati in tempi ormai di pace, in buona parte, e non più di guerra.
Il preside del I.C. "San Giovanni Bosco-Buonarroti", Michele Bonasia, ha ricordato come vi siano state negli anni «letture sbagliate di questa tragedia come della Shoah ebraica. Non sono differenti - ha ricordato - nella genesi e nelle intenzioni: partono dall'intolleranza e giungono entrambe all'obiettivo di tentare l'annientamento dell'essere umano».
Negazionismo e, peggio, giustificazionismo nero e rosso le hanno unite in un triste fil rouge e cercano, ancora oggi, di darne una interpretazione deviata che non deve sfiorare i nostri ragazzi.
La chiosa dell'Assessore alla Cultura, Marianna Paladino, ci sembra la più adatta a sancire il messaggio di questa giornata tra gli alunni giovinazzesi: «Questi momenti servano - ha detto - a rafforzare il senso di appartenenza e di identità, l'orgoglio di essere italiani ben oltre gli steccati ideologici o, peggio, partitici. No al negazionismo - ha concluso - e che si continui, instillando cultura, a combattere il rischio di nuovi angoscianti muri alzati tra i popoli».
Giovinazzo ha celebrato ieri mattina il "Giorno del Ricordo" delle vittime delle foibe e dell'esodo istriano-giuliano-dalmata e lo ha fatto nei luoghi in cui si forma la coscienza collettiva del domani: le scuole. Dapprima alla secondaria di primo grado "Guglielmo Marconi", poi alla primaria "San Giovanni Bosco", con gli alunni della "Michelangelo Buonarroti" attenti spettatori della viva testimonianza del prof. Giuseppe Dicuonzo Sansa, Vicepresidente nazionale dell'associazione di esuli istriani "Famiglia Dignanese".
La sinergia tra Assessorato alla Cultura ed Assessorato alla Pubblica Istruzione ha prodotto due eventi di grande spessore, entrambi ad uso e consumo dei giovani scolari. Dicuonzo Sansa ha ripercorso l'incredibile viaggio della sua vita, dalla nascita a Pola, ancora italiana, fino all'arrivo in Puglia, a Barletta, nuova patria, nuova casa, nuovo approdo per chi a soli 3 anni ha perso tutto ciò che aveva.
Lo ha perso per la voglia di vendetta dei comunisti titini, convinti che l'identità italiana corrispondesse a quella fascista. Così la morte tra il 1943 ed il 1947 si fece più presente in quelle terre ad Est, martoriate già dal secondo conflitto mondiale e dall'ingombrante presenza nazi-fascista. Pola, Zara, Fiume, Dignano e la stessa Venezia-Giulia furono teatro di quello che Dicuonzo Sansa ha giustamente definito un «genocidio e non una pulizia etnica». Diecimila, forse di più. Tanti fuorono gli infoibati, i fucilati, gli impiccati.
Tra di essi dapprima medici, postini, o impiegati pubblici, con la sola colpa di essere stati uomini di apparato, secondo gli slavi, di quell'apparato fascista che si era macchiato di crimini oltre i confini nazionali. Poi, però, perirono in quelle cavità carsiche anche donne (come la studentessa Norma Cossetto, la cui storia è tristemente nota), piccoli imprenditori agricoli, partigiani bianchi e socialisti, preti e tutti coloro i quali non volevano piegarsi al volere di Tito. E chi si ribellò e non fu ucciso, dovette scappare.
Nessuno ne ha mai dato conto fino al 2004 di questa tragedia, fino a quella legge dello Stato che ha riabilitato quei cadaveri dai cui corpi era sgorgato sangue italiano. Uccisi perché fieri di essere ciò che erano. Nessuno osava parlarne, anche sui libri di storia che si studiava in quelle scuole dove oggi il silenzio è stato rotto, ma ieri, complice la pseudo-intellighenzia illuminata che ha veicolato il pensiero in questo Paese per decenni, si taceva.
Per Dicuonzo Sansa e per altri 350.000 istriani e dalmati la speranza di sopravvivere si chiamò fuga. Fuga a bordo del piroscafo "Toscana", richiamato nel bellissimo spettacolo "Magazzino 18" di Simone Cristicchi, un amaro, meraviglioso contributo alla coscienza collettiva riscoperta in una nazione che aveva fatto finta di non capire, di non vedere.
In migliaia si dispersero in tutta la penisola ed in tutto il mondo. Dicuonzo Sansa a Dignano, paese di mamma Maddalena, ci tornò solo nel 1960 e scoprì le sue origini, quelle tenute nascoste anche a Barletta per troppo tempo, quasi con vergogna: istriano, dalmata o giuliano uguale fascista, era la triste equazione.
«Siamo esuli, non profughi» ha detto il letterato polesano-barlettano rivolgendosi ai ragazzi presenti nelle Aule Magne delle due scuole. Esuli, perché scacciati da casa che non avrebbero mai abbandonato. Scacciati in tempi ormai di pace, in buona parte, e non più di guerra.
Il preside del I.C. "San Giovanni Bosco-Buonarroti", Michele Bonasia, ha ricordato come vi siano state negli anni «letture sbagliate di questa tragedia come della Shoah ebraica. Non sono differenti - ha ricordato - nella genesi e nelle intenzioni: partono dall'intolleranza e giungono entrambe all'obiettivo di tentare l'annientamento dell'essere umano».
Negazionismo e, peggio, giustificazionismo nero e rosso le hanno unite in un triste fil rouge e cercano, ancora oggi, di darne una interpretazione deviata che non deve sfiorare i nostri ragazzi.
La chiosa dell'Assessore alla Cultura, Marianna Paladino, ci sembra la più adatta a sancire il messaggio di questa giornata tra gli alunni giovinazzesi: «Questi momenti servano - ha detto - a rafforzare il senso di appartenenza e di identità, l'orgoglio di essere italiani ben oltre gli steccati ideologici o, peggio, partitici. No al negazionismo - ha concluso - e che si continui, instillando cultura, a combattere il rischio di nuovi angoscianti muri alzati tra i popoli».