Attualità
Francesco Mastro alla Camera per parlare di comunicazione e crimine
Chiacchierata informale con l'avvocato giovinazzese sul prestigioso convegno romano tenutosi il 31 ottobre scorso
Giovinazzo - giovedì 9 novembre 2017
06.00
Il 31 ottobre scorso si è tenuto a Roma, presso la Sala del Refettorio della Camera dei Deputati, il prestigioso convegno "La comunicazione del crimine - Analisi della scena del crimine e giornalismo investigativo".
Il dibattito, moderato da Imma Giuliani, criminologa e presidentessa Unità di Prevenzione ed Analisi Criminologica , si è articolato in tre sessioni.
La prima ha visto la relazione di Luciano Garofano, biologo e Generale in congedo dell'Arma dei Carabinieri, di Paolo Reale, ingegnere informatico, di Raffaella Sorropago, esperta di balistica. Spazio poi a Francesco Maria Graziani, avvocato e componente dell'Associazione "Penelope", e alla giornalista Paola Grauso della trasmissione Rai "Chi l'ha visto?". Nella terza ed ultima parte si sono alternate le relazioni di Tiziana Ciavardini, giornalista ed antropologa, di Fabrizio Mignacca, psicologo e psicoterapeuta e di Francesco Mazza, avvocato penalista.
A rappresentare la nostra cittadina c'era l'avvocato Francesco Mastro, che ha di fatto chiuso il convegno con il suo intervento che verteva sulla vicenda processuale di Raffaele Sollecito.
Il 49enne, noto penalista cassazionista, docente universitario di diritto processuale penale nonchė componente del Comitato di Gestione dell'Autorità di Sistema Portuale del Mar Adriatico Meridionale per conto della Regione Puglia, ha portato la sua esperienza sul tema, riavvolgendo un po' il nastro su quello che la stessa Corte di Cassazione ha sancito essere stato una sorta di corto circuito tra media ed investigazione, in un procedimento che lui ha seguito nel pool difensivo dell'ingegnere informatico.
Nella nostra chiacchierata informale, Francesco Mastro ha evidenziato alcuni passaggi del suo intervento romano.
«Taluni principi affermati dalla Suprema Corte di Cassazione - ci ha detto - sono passati inosservati all'opinione pubblica. La sentenza di assoluzione di Raffaele Sollecito, infatti, ha sollevato un problema di grande rilevanza: durante quel giudizio siamo stati di fronte ad una stampa poco attenta - ha evidenziato - e molto aggressiva, che ha perso di vista la notizia e che ha cercato, in qualche misura, di ribaltare i fatti».
Entrando nello specifico della sua relazione romana, l'avvocato giovinazzese ha posto alla nostra attenzione ulteriori elementi di riflessione: «La stessa Cassazione ha rimarcato come durante tutta la fase investigativa - ha spiegato Mastro - vi sia stata una "spasmodica ricerca di un colpevole". E quella pronunzia ha finito anche per sancire che quel clamore mediatico ha di fatto messo in moto un meccanismo che ha portato ad affrettare le indagini. C'è forse di più - ha sottolineato il penalista -: forse è il caso di dire che la Corte ha messo nero su bianco quanto la stampa abbia "indirizzato" le indagini stesse».
Ma per non incorrere in errori grossolani (e nella nostra professione capita sovente) cosa bisognerebbe fare quando si ha intenzione di portare avanti un giornalismo d'inchiesta?
Per Mastro la risposta appare semplice: «Ho sempre pensato - ci ha detto - che il giornalismo d'indagine o d'inchiesta, fate voi, sia una componente importante in uno Stato democratico. Ma c'è la necessità che ci si doti di uno staff qualificato, che sappia fare bene il suo lavoro. La sentenza - ha proseguito - ci ricorda che occuparsi del crimine (tema centrale oggetto del convegno, ndr) significa accertarsi della verità ed il giornalista che non dovesse raccontarla, si assume i suoi rischi. Rischi che non deve mai correre, attenendosi al racconto della stessa e mettendo in pratica quello che è conosciuto come "principio di continenza".
Nella sentenza del 2015 - ha rimarcato - viene quindi affermato con forza che la magistratura inquirente ha seguito la stampa. Stampa che aveva a sua volta "ingenerato indebito rumore". Un clamore inopportuno - è la sottolineatura di Mastro - sia da un punto di vista strettamente deontologico, sia da quello etico».
Quanto al messaggio che il convegno ha lasciato alla platea di giornalisti presenti, Mastro non ha dubbi: «Si è trattato di un dibattito ricco di spunti, grazie alla presenza di molti professionisti qualificati. Ribadisco quanto detto a Roma: i media sono baluardo di democrazia, ma quando ci si occupa di crimine bisogna, più ancora che in altri ambiti, rafforzare le garanzie a beneficio di chi è oggetto dell'inchiesta ed anche dei lettori, che hanno il diritto ad una informazione sana che ricerchi sempre la verità e mai il sensazionalismo».
Il dibattito, moderato da Imma Giuliani, criminologa e presidentessa Unità di Prevenzione ed Analisi Criminologica , si è articolato in tre sessioni.
La prima ha visto la relazione di Luciano Garofano, biologo e Generale in congedo dell'Arma dei Carabinieri, di Paolo Reale, ingegnere informatico, di Raffaella Sorropago, esperta di balistica. Spazio poi a Francesco Maria Graziani, avvocato e componente dell'Associazione "Penelope", e alla giornalista Paola Grauso della trasmissione Rai "Chi l'ha visto?". Nella terza ed ultima parte si sono alternate le relazioni di Tiziana Ciavardini, giornalista ed antropologa, di Fabrizio Mignacca, psicologo e psicoterapeuta e di Francesco Mazza, avvocato penalista.
A rappresentare la nostra cittadina c'era l'avvocato Francesco Mastro, che ha di fatto chiuso il convegno con il suo intervento che verteva sulla vicenda processuale di Raffaele Sollecito.
Il 49enne, noto penalista cassazionista, docente universitario di diritto processuale penale nonchė componente del Comitato di Gestione dell'Autorità di Sistema Portuale del Mar Adriatico Meridionale per conto della Regione Puglia, ha portato la sua esperienza sul tema, riavvolgendo un po' il nastro su quello che la stessa Corte di Cassazione ha sancito essere stato una sorta di corto circuito tra media ed investigazione, in un procedimento che lui ha seguito nel pool difensivo dell'ingegnere informatico.
Nella nostra chiacchierata informale, Francesco Mastro ha evidenziato alcuni passaggi del suo intervento romano.
«Taluni principi affermati dalla Suprema Corte di Cassazione - ci ha detto - sono passati inosservati all'opinione pubblica. La sentenza di assoluzione di Raffaele Sollecito, infatti, ha sollevato un problema di grande rilevanza: durante quel giudizio siamo stati di fronte ad una stampa poco attenta - ha evidenziato - e molto aggressiva, che ha perso di vista la notizia e che ha cercato, in qualche misura, di ribaltare i fatti».
Entrando nello specifico della sua relazione romana, l'avvocato giovinazzese ha posto alla nostra attenzione ulteriori elementi di riflessione: «La stessa Cassazione ha rimarcato come durante tutta la fase investigativa - ha spiegato Mastro - vi sia stata una "spasmodica ricerca di un colpevole". E quella pronunzia ha finito anche per sancire che quel clamore mediatico ha di fatto messo in moto un meccanismo che ha portato ad affrettare le indagini. C'è forse di più - ha sottolineato il penalista -: forse è il caso di dire che la Corte ha messo nero su bianco quanto la stampa abbia "indirizzato" le indagini stesse».
Ma per non incorrere in errori grossolani (e nella nostra professione capita sovente) cosa bisognerebbe fare quando si ha intenzione di portare avanti un giornalismo d'inchiesta?
Per Mastro la risposta appare semplice: «Ho sempre pensato - ci ha detto - che il giornalismo d'indagine o d'inchiesta, fate voi, sia una componente importante in uno Stato democratico. Ma c'è la necessità che ci si doti di uno staff qualificato, che sappia fare bene il suo lavoro. La sentenza - ha proseguito - ci ricorda che occuparsi del crimine (tema centrale oggetto del convegno, ndr) significa accertarsi della verità ed il giornalista che non dovesse raccontarla, si assume i suoi rischi. Rischi che non deve mai correre, attenendosi al racconto della stessa e mettendo in pratica quello che è conosciuto come "principio di continenza".
Nella sentenza del 2015 - ha rimarcato - viene quindi affermato con forza che la magistratura inquirente ha seguito la stampa. Stampa che aveva a sua volta "ingenerato indebito rumore". Un clamore inopportuno - è la sottolineatura di Mastro - sia da un punto di vista strettamente deontologico, sia da quello etico».
Quanto al messaggio che il convegno ha lasciato alla platea di giornalisti presenti, Mastro non ha dubbi: «Si è trattato di un dibattito ricco di spunti, grazie alla presenza di molti professionisti qualificati. Ribadisco quanto detto a Roma: i media sono baluardo di democrazia, ma quando ci si occupa di crimine bisogna, più ancora che in altri ambiti, rafforzare le garanzie a beneficio di chi è oggetto dell'inchiesta ed anche dei lettori, che hanno il diritto ad una informazione sana che ricerchi sempre la verità e mai il sensazionalismo».