Daniela Sala
Daniela Sala
Vita di città

Daniela Sala, così una triestina sente il Giorno del Ricordo

L'ex Assessora alla Cultura del Comune di Giovinazzo ci ha raccontato perché la tragedia delle foibe è un tutt'uno col senso patrio della gente della sua città natale

Triestina d'origine, giovinazzese d'azione, Daniela Sala è stata anche Assessora alla Cultura e Turismo del Comune di Giovinazzo sul principiare del secondo mandato di Tommaso Depalma da sindaco.
Proprio lei e non altri abbiamo voluto sentire in quel 10 febbraio che coincide in Italia con la Giorno del Ricordo delle vittime delle foibe e dell'esodo istriano-giuliano-dalmata dopo la Seconda Guerra Mondiale. Uomini e donne trucidati per mano dei partigiani comunisti e le milizie del maresciallo Tito.
A lei, donna notoriamente molto discreta, abbiamo chiesto di aprirsi e di raccontarci lo stretto legame dei triestini con quella tragedia, spesso taciuta, altre volte addirittura negata per convenienza politica o ideologica in una Italia che non ha una memoria comune e mostra sempre di più di essere un Paese non ancora pacificato. Trieste e la Giulia, terra di vita e poi di sangue e di morte, terra di incontro e poi di scontro tra popoli, terra di confine, terra ricca di storia e storie, quelle vere, non romanzate nelle timide fiction e che non possono essere abbandonate tra i bauli polverosi del Magazzino 18 del porto vecchio, come raccontato egregiamente in un musical di Simone Cristicchi.


Come è sentito dalla comunità triestina il Giorno del Ricordo?
È sentito come un qualcosa di diretto. Sì, è così. È un sentire vero, oserei dire quotidiano, trasmessoci da genitori e nonni, è un modo per perpetrare la memoria di un periodo storico drammatico e drammaticamente taciuto. Celebriamo questa giornata con l'orgoglio di chi sa che attraverso il ricordo si rende giustizia alle tante vittime ingoiate da quelle cavità carsiche a due passi da casa nostra. Perché la Giulia, ma anche l'Istria e la Dalmazia sono casa nostra.

Ci diceva dei racconti dei genitori...
Spesso si fa l'errore di credere che Trieste città sia stata in qualche modo solo lambita dalla tragedia della repressione comunista, ma purtroppo non è stato così. Nei racconti di mio padre e dei miei parenti, sin da bambina ho appreso delle razzie titine e della paura che li ha attanagliati per tanti mesi, coi vicini spesso portati via di notte, senza un perché e mai più tornati. E la paura era una compagna inseparabile di tutti coloro i quali portavano un cognome italiano come il mio.

E la sua famiglia ha subito divisioni forzate in quegli anni?
Non solo miei parenti, ma anche amici dei miei. Capitò che alcuni, al momento in cui Trieste fu riannessa all'Italia e non fu più Trst, decisero di restare da quella parte del confine, perché anche sentendosi italiani era lì che avevano tutto: casa, vita, ricordi, radici. E molti discendenti sono oggi gli uni italiani e gli altri sloveni, separati dal confine geografico pur avendo lo stesso sangue, ma soprattutto dalla storia che qualcuno volle scrivere al loro posto.

Ed è per questo che ci dice che Trieste è la più patriottica delle città italiane?
Voglio precisarlo, perché qualcuno ha giocato con i nostri sentimenti, diffusi in città ben oltre gli schieramenti politici: Trieste è una città che coltiva come valore primario l'amor patrio, visto come la roccia a cui si aggrapparono i nostri cari in quei drammatici anni. Purtroppo ci stupiamo ancora oggi quando in altre regioni italiane, compreso qui da voi/noi in Puglia, quel senso d'amore per la propria nazione viene nel migliore dei casi non capito, se non deriso.

La Foiba di Basovizza è oggi monumento nazionale ed è pochi passi sopra Trieste...
È un luogo dell'anima, che tutti gli studenti italiani dovrebbero visitare come la Risiera di San Sabba per altri motivi. La Foiba di Basovizza è un inghiottitoio carsico sopra la mia città dove furono trucidate centinaia (c'è chi giura migliaia) di ex militari, poliziotti, funzionari dello Stato italiano, ma anche, come accaduto in altre foibe della zona istriana e dalmata, preti, civili innocenti, in alcuni casi partigiani non comunisti. È un posto in cui una volta nella vita tutti dovrebbero recarsi anche solo per lasciare un fiore.

Ci sono ancora oggi forme di razzismo o di incomprensione nei confronti della vostra gente?
Certo, ancora oggi...purtroppo. Mi è capitato ed è capitato ai miei amici o ai miei parenti di essere chiamati "slavi" in altre parti d'Italia, pensando fosse un dispregiativo, con disprezzo, fatto comune a coloro i quali giunsero a Bari subito dopo il 1947 e fondarono il Villaggio Trieste nei pressi dello Stadio della Vittoria. Quasi a rimarcare una distanza etnica con il resto degli italiani. Trieste è la città più mitteleuropea d'Italia ed è la città più italiana dell'Europa centrale. Ed il nostro senso di appartenenza si ciba dell'incontro con altre culture ed è così, se ci fa caso, nei racconti degli esuli istriani e dalmati.

Chiudiamo con alcune considerazioni sulla consapevolezza di quei fatti in Italia: a che punto siamo secondo lei?
Ho la netta impressione, e la timidezza delle celebrazioni di questi giorni me lo confermano, che non abbiamo memoria unica e che anzi ci sia ancora la volontà non dichiarata ma strisciante di mettere a tacere il peso che quei tragici fatti portano con loro. Sulle atrocità non ci dovrebbero essere due pesi e due misure e non possiamo più attendere che i nostri ragazzi e le nostre ragazze sappiano sommariamente quanto accadde. C'è bisogno di studio, di inserimento di quelle tragedie e di altre del '900 nei programmi ministeriali, che ancora oggi sono lacunosi in tal senso. Io ho raccontato ai miei figli che cosa successe in quelle terre che sono casa mia e loro adesso sanno, ma se non coltiviamo la memoria attraverso lo studio, la conoscenza della storia reale e non di una parte di essa, dei fatti che portarono a quella tragedia, senza omissioni di sorta, non cresceremo mai nuove generazioni realmente consapevoli e purtroppo sono convinta che continueremo a dare loro in pasto solo vuota retorica.
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