Cronaca
Cassazione Meredith, Giulia Bongiorno «Sollecito è un puro, assolvetelo!»
Questa mattina l'arringa difensiva dell'avvocatessa
Giovinazzo - venerdì 27 marzo 2015
12.33
«Sollecito non ha mai depistato, ma ha collaborato con gli investigatori, ha preso a spallate la porta dove c'era il corpo di Meredith. Durante l'aggressione stava guardando i cartoni animati. È un puro che si vede coinvolto in vicende spettacolari e gigantesche delle quali, come Forrest Gump, non si rende conto. Assolvetelo!».
Così Giulia Bongiorno, avvocatessa che difende l'ingegnere informatico giovinazzese durante la sua arringa davanti alla Corte di Cassazione, nel processo di ultimo grado sull'omicidio di Meredith Kercher. Il legale ha parlato della mancanza di prove a carico di Raffaele, soprattutto del fatto che non sia stato accertato il rispetto «dei protocolli internazionali che garantiscono margini di certezza scientifica» in riferimento all'impronta digitale sul gancetto del reggiseno della vittima, attribuito proprio a Sollecito. «Quindi - ha evidenziato la Bongiorno - il tema cruciale della prova genetica, ossia gli indizi a carico di Sollecito, hanno un approccio fuorviante e anacronistico».
Nella sua arringa, l'avvocatessa ha anche sottolineato un aspetto anomalo nel considerare le prove da parte della sentenza bis di appello emessa a Firenze. Secondo il legale di difesa, infatti, è stato dato «valore di prova genetica a capacità ridotta, una cosa che non esiste in questo campo, in quanto una mezza traccia genetica non è una prova, ma una trappola. Il criterio della capacità ridotta - ha poi ammonito - non si può applicare alla genetica, semmai alla valutazione delle dichiarazioni dei pentiti, come è avvenuto nel processo Andreotti. Se una prova genetica non è valida per la scienza - ha chiosato - quella prova genetica va cestinata perché o il Dna è di Sollecito o non lo è. Il forse nella scienza non c'è».
Atteso nelle prossime ore il verdetto della V Sezione penale della Corte di Cassazione, già riunita in Camera di Consiglio.
Così Giulia Bongiorno, avvocatessa che difende l'ingegnere informatico giovinazzese durante la sua arringa davanti alla Corte di Cassazione, nel processo di ultimo grado sull'omicidio di Meredith Kercher. Il legale ha parlato della mancanza di prove a carico di Raffaele, soprattutto del fatto che non sia stato accertato il rispetto «dei protocolli internazionali che garantiscono margini di certezza scientifica» in riferimento all'impronta digitale sul gancetto del reggiseno della vittima, attribuito proprio a Sollecito. «Quindi - ha evidenziato la Bongiorno - il tema cruciale della prova genetica, ossia gli indizi a carico di Sollecito, hanno un approccio fuorviante e anacronistico».
Nella sua arringa, l'avvocatessa ha anche sottolineato un aspetto anomalo nel considerare le prove da parte della sentenza bis di appello emessa a Firenze. Secondo il legale di difesa, infatti, è stato dato «valore di prova genetica a capacità ridotta, una cosa che non esiste in questo campo, in quanto una mezza traccia genetica non è una prova, ma una trappola. Il criterio della capacità ridotta - ha poi ammonito - non si può applicare alla genetica, semmai alla valutazione delle dichiarazioni dei pentiti, come è avvenuto nel processo Andreotti. Se una prova genetica non è valida per la scienza - ha chiosato - quella prova genetica va cestinata perché o il Dna è di Sollecito o non lo è. Il forse nella scienza non c'è».
Atteso nelle prossime ore il verdetto della V Sezione penale della Corte di Cassazione, già riunita in Camera di Consiglio.