Cronaca
"Attila 2", carcere per 10 affiliati ai Di Cosola. 2 sono di Giovinazzo
Condanne pesanti e definitive per Pasquale Maisto (4 anni e 5 mesi) e Piero Mesecorto (7 anni)
Giovinazzo - sabato 2 gennaio 2021
10.37
Condanne pesanti e definitive per due affiliati residenti a Giovinazzo, su dieci totali, al clan Di Cosola di Bari, Pasquale Maisto e Piero Mesecorto, quest'ultimo già rinchiuso in carcere, nei cui confronti i Carabinieri hanno eseguito altrettanti ordini di carcerazione dopo la sentenza della Corte d'Appello di Bari.
L'ultimo dell'anno, infatti, ha visto aprirsi le porte del carcere per 10 affiliati al clan Di Cosola, la cosca regnante su Ceglie del Campo, Carbonara e Loseto e con collegamenti non solo a Giovinazzo, ma anche a Capurso, Adelfia, Bitritto, Cellamare, Sannicandro di Bari, Santerano in Colle e Valenzano, colpiti da condanne definitive, per oltre 60 anni di reclusione, a seguito dell'importante operazione condotta dai Carabinieri di Bari e convenzionalmente denominata "Attila 2".
«Con la decisione della Corte Suprema di Cassazione - spiega l'Arma - che ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto dagli imputati, è divenuta definitiva la sentenza della Corte d'Appello di Bari del 23 settembre 2019 (in riforma della sentenza del 28 maggio 2018 del giudice dell'udienza preliminare di Bari), che aveva riconosciuto gli stessi colpevoli dei reati di associazione di tipo mafioso, scambio elettorale politico-mafioso e coercizione elettorale in concorso».
Quattro imputati su dieci, liberi, fra cui il 41enne Pasquale Maisto, sono stati arrestati dai Carabinieri del Nucleo Investigativo di Bari, ai comandi del maggiore Stefano Invernizzi, durante un'operazione che ha visto impegnate decine di militari, tra Bari, Noicattaro e Giovinazzo, mentre per altri sei, fra cui il 32enne Piero Mesecorto, rinchiuso nel carcere di Udine dal 2016 per gli stessi reati, i provvedimenti sono stati notificati nelle case circondariali dove si trovano detenuti.
«Il provvedimento odierno - dicono ancora i Carabinieri in un comunicato stampa - costituisce l'epilogo dei processi avviati a seguito delle indagini condotte, negli anni 2015 e 2016 dai Carabinieri del Nucleo Investigativo di Bari, coordinati dalla Direzione Distrettuale Antimafia del capoluogo pugliese, nei confronti del clan Di Cosola, consorteria mafiosa attiva in Bari e provincia», nonostante la morte di Antonio Di Cosola, detto «Strascinacuvert», avvenuta nel 2018.
«Una consorteria mafiosa - spiegano ancora dagli inquirenti - che aveva mostrato in quegli anni, nonostante gli importanti interventi repressivi subiti ad opera della magistratura e dell'Arma dei Carabinieri e la successiva scelta collaborativa intrapresa da alcuni suoi membri di maggior spessore (Antonio Di Cosola, il figlio Michele e suo cugino Paolo Masciopinto, nda) di avere mantenuto e sviluppato la sua pericolosa capacità criminale nella propria area d'influenza».
Gli imputati, come accertato dalle indagini della Direzione Distrettuale Antimafia di Bari e ora confermato dai giudici con una sentenza ormai definitiva, hanno tentato di condizionare l'esito delle elezioni regionali in Puglia del maggio 2015 procurando voti, in cambio di denaro, a Natale Mariella (poi non eletto e che non è mai stato coinvolto nel procedimento penale, nda), all'epoca candidato con la lista Popolari a sostegno del governatore pugliese Michele Emiliano.
In particolare, in alcuni comuni della provincia di Bari, alcuni affiliati all'organizzazione, fra cui Michele Di Cosola nelle settimane precedenti le elezioni regionali fermava persone per strada invitandole a votare Natale Mariella dei Popolari «mediante l'esercizio della forze di intimidazione del clan» e con «minacce velate», così «impedendo il libero esercizio del diritto di voto». Il clan riceveva 50 euro per ogni preferenza procurata e prometteva 20 euro per ogni voto.
L'inchiesta aveva messo in luce come il clan Di Cosola avesse, nel suo territorio d'interesse, condizionato le elezioni regionali del 2015, mediante un pactum sceleris che prevedeva il pagamento di 50 euro per ogni voto. Gli elementi raccolti avevano anche dimostrato il ricorso alla forza di intimidazione esercitata dagli associati verso gli elettori, i quali venivano minacciati, a fronte della promessa di 20 euro per ogni voto, di ritorsione in caso di non adempienza.
In sintesi, dopo l'operazione "Pilastro" del 2015 e l'avvio della collaborazione con la giustizia da parte di Antonio Di Cosola, i militari del Nucleo Investigativo, il 30 dicembre 2015, hanno eseguito 5 ordinanze di custodia cautelare in carcere nell'operazione "Attila", per associazione mafiosa aggravata dalla disponibilità di armi da guerra (tra le quali un bazooka) nei confronti dei contendenti al ruolo di capo clan, precedentemente ricoperto proprio da Antonio Di Cosola.
In seguito, il 13 dicembre 2016, sempre i Carabinieri di Bari hanno eseguito 25 ordinanze di custodia cautelare in carcere, nell'ambito dell'operazione "Attila 2", per associazione mafiosa (aggravata dalla costante disponibilità di armi) e per voto di scambio politico-mafioso. In breve tempo, le due inchieste, alla luce dei decisivi elementi di responsabilità raccolti nei confronti di tutti gli indagati, sono sopraggiunte a sentenza di primo grado, poi confermata in Appello.
Una sentenza divenuta oggi irrevocabile a seguito dei ricorsi proposti dagli imputati ritenuti inammissibili. Nei giorni scorsi, infatti, la Cassazione ha dichiarato inammissibili i ricorsi contro la sentenza di Appello di un anno fa. E per dieci affiliati al clan Di Cosola le sentenze di condanna sono diventate definitive.
L'ultimo dell'anno, infatti, ha visto aprirsi le porte del carcere per 10 affiliati al clan Di Cosola, la cosca regnante su Ceglie del Campo, Carbonara e Loseto e con collegamenti non solo a Giovinazzo, ma anche a Capurso, Adelfia, Bitritto, Cellamare, Sannicandro di Bari, Santerano in Colle e Valenzano, colpiti da condanne definitive, per oltre 60 anni di reclusione, a seguito dell'importante operazione condotta dai Carabinieri di Bari e convenzionalmente denominata "Attila 2".
«Con la decisione della Corte Suprema di Cassazione - spiega l'Arma - che ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto dagli imputati, è divenuta definitiva la sentenza della Corte d'Appello di Bari del 23 settembre 2019 (in riforma della sentenza del 28 maggio 2018 del giudice dell'udienza preliminare di Bari), che aveva riconosciuto gli stessi colpevoli dei reati di associazione di tipo mafioso, scambio elettorale politico-mafioso e coercizione elettorale in concorso».
Quattro imputati su dieci, liberi, fra cui il 41enne Pasquale Maisto, sono stati arrestati dai Carabinieri del Nucleo Investigativo di Bari, ai comandi del maggiore Stefano Invernizzi, durante un'operazione che ha visto impegnate decine di militari, tra Bari, Noicattaro e Giovinazzo, mentre per altri sei, fra cui il 32enne Piero Mesecorto, rinchiuso nel carcere di Udine dal 2016 per gli stessi reati, i provvedimenti sono stati notificati nelle case circondariali dove si trovano detenuti.
«Il provvedimento odierno - dicono ancora i Carabinieri in un comunicato stampa - costituisce l'epilogo dei processi avviati a seguito delle indagini condotte, negli anni 2015 e 2016 dai Carabinieri del Nucleo Investigativo di Bari, coordinati dalla Direzione Distrettuale Antimafia del capoluogo pugliese, nei confronti del clan Di Cosola, consorteria mafiosa attiva in Bari e provincia», nonostante la morte di Antonio Di Cosola, detto «Strascinacuvert», avvenuta nel 2018.
«Una consorteria mafiosa - spiegano ancora dagli inquirenti - che aveva mostrato in quegli anni, nonostante gli importanti interventi repressivi subiti ad opera della magistratura e dell'Arma dei Carabinieri e la successiva scelta collaborativa intrapresa da alcuni suoi membri di maggior spessore (Antonio Di Cosola, il figlio Michele e suo cugino Paolo Masciopinto, nda) di avere mantenuto e sviluppato la sua pericolosa capacità criminale nella propria area d'influenza».
Gli imputati, come accertato dalle indagini della Direzione Distrettuale Antimafia di Bari e ora confermato dai giudici con una sentenza ormai definitiva, hanno tentato di condizionare l'esito delle elezioni regionali in Puglia del maggio 2015 procurando voti, in cambio di denaro, a Natale Mariella (poi non eletto e che non è mai stato coinvolto nel procedimento penale, nda), all'epoca candidato con la lista Popolari a sostegno del governatore pugliese Michele Emiliano.
In particolare, in alcuni comuni della provincia di Bari, alcuni affiliati all'organizzazione, fra cui Michele Di Cosola nelle settimane precedenti le elezioni regionali fermava persone per strada invitandole a votare Natale Mariella dei Popolari «mediante l'esercizio della forze di intimidazione del clan» e con «minacce velate», così «impedendo il libero esercizio del diritto di voto». Il clan riceveva 50 euro per ogni preferenza procurata e prometteva 20 euro per ogni voto.
L'inchiesta aveva messo in luce come il clan Di Cosola avesse, nel suo territorio d'interesse, condizionato le elezioni regionali del 2015, mediante un pactum sceleris che prevedeva il pagamento di 50 euro per ogni voto. Gli elementi raccolti avevano anche dimostrato il ricorso alla forza di intimidazione esercitata dagli associati verso gli elettori, i quali venivano minacciati, a fronte della promessa di 20 euro per ogni voto, di ritorsione in caso di non adempienza.
In sintesi, dopo l'operazione "Pilastro" del 2015 e l'avvio della collaborazione con la giustizia da parte di Antonio Di Cosola, i militari del Nucleo Investigativo, il 30 dicembre 2015, hanno eseguito 5 ordinanze di custodia cautelare in carcere nell'operazione "Attila", per associazione mafiosa aggravata dalla disponibilità di armi da guerra (tra le quali un bazooka) nei confronti dei contendenti al ruolo di capo clan, precedentemente ricoperto proprio da Antonio Di Cosola.
In seguito, il 13 dicembre 2016, sempre i Carabinieri di Bari hanno eseguito 25 ordinanze di custodia cautelare in carcere, nell'ambito dell'operazione "Attila 2", per associazione mafiosa (aggravata dalla costante disponibilità di armi) e per voto di scambio politico-mafioso. In breve tempo, le due inchieste, alla luce dei decisivi elementi di responsabilità raccolti nei confronti di tutti gli indagati, sono sopraggiunte a sentenza di primo grado, poi confermata in Appello.
Una sentenza divenuta oggi irrevocabile a seguito dei ricorsi proposti dagli imputati ritenuti inammissibili. Nei giorni scorsi, infatti, la Cassazione ha dichiarato inammissibili i ricorsi contro la sentenza di Appello di un anno fa. E per dieci affiliati al clan Di Cosola le sentenze di condanna sono diventate definitive.