Cronaca
Condannati 27 affiliati ai Di Cosola: il clan operava anche a Giovinazzo
L'operazione è stata denominata "Hinterland II": eseguiti 27 ordini di esecuzione pena per complessivi residui 145 anni
Giovinazzo - martedì 21 maggio 2019
22.07
Scacco al clan mafioso Di Cosola di Bari. Nelle prime ore di oggi, la Polizia di Stato, a Bari, nei comuni limitrofi, a Milano, Taranto e in diverse altre carceri della penisola, ha eseguito 27 ordini di esecuzione pena (per complessivi residui 145 anni).
I provvedimenti sono stati emessi dalla Procura Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Bari, in seguito alla decisione della Suprema Corte di Cassazione che ha confermato l'intero impianto accusatorio del processo a carico di Cosimo Di Cosola e di altre 45 persone, rendendo definitive le pesanti condanne emesse dalla Corte di Appello di Bari nei confronti di 27 degli imputati, tra cui Cosimo Di Cosola, fratello del boss Antonio, condannato alla pena residua di 21 anni e 1 mese di reclusione.
I predetti sono ritenuti responsabili, a vario titolo, dei reati di associazione di stampo mafioso, associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, commercializzazione di sostanze stupefacenti, tentato omicidio, porto e detenzione di arma da fuoco, anche da guerra, con l'aggravante del metodo mafioso.
L'attività d'indagine, denominata "Operazione Hinterland II", avviata nel maggio del 2011 e conclusasi nell'agosto del 2013, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Bari, ha documentato l'alleanza tra i clan Di Cosola e Stramaglia, all'epoca in contrasto, anche armato, tra loro. I due gruppi criminali, anche a causa di numerosi provvedimenti giudiziari che ne indebolirono il nucleo strutturale, e in seguito all'intervento pacificatore di importanti esponenti del clan Parisi, decisero di intraprendere un percorso di non belligeranza e di comune gestione dei propri illeciti affari, in particolare nello spaccio di droga.
Intercettazioni telefoniche e ambientali, acquisizione documentale di sentenze pronunciate a carico di sodali, venti arresti in flagranza operati durante l'indagine sequestri, in particolare di sostanze stupefacenti e di armi, operati contestualmente all'attività tecnica, da dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia, hanno consentito di costruire un quadro accusatorio chiaro, preciso e concordante.
L'associazione di stampo mafioso nota come clan Di Cosola, a seguito dell'arresto del suo promotore, Antonio Di Cosola, si riorganizzò sotto l'egida del fratello di quest'ultimo, Cosimo Di Cosola, scarcerato nel 2010.
Le attività di indagine permisero di accertare come il clan fosse composto da diverse articolazioni, tutte gerarchicamente strutturate e facenti capo al medesimo capo, territorialmente distribuite con operatività nei comuni di Bari, Valenzano, Giovinazzo, Triggiano, Bisceglie, Sannicandro di Bari, Bitritto, Rutigliano, Palo del Colle, Adelfia e zone limitrofe, i cui responsabili erano tenuti, periodicamente, a rendere conto ai vertici dell'organizzazione dell'andamento degli affari illeciti - in particolare, della commercializzazione di sostanze stupefacenti e delle estorsioni - o dell'esistenza di eventuali contrasti con altri sodalizi criminali, ricevendo ordini e direttive al riguardo.
I responsabili dell'organizzazione criminale, a loro volta, garantivano la divisione dei proventi tra gli affiliati, l'aiuto economico e la garanzia di assistenza legale, in occasione di arresti o vicende giudiziarie che di volta in volta coinvolgevano i sodali.
Le indagini provarono come la complessa struttura criminale poteva contare su un significativo arsenale bellico - nel corso dell'indagine vennero sequestrati un fucile mitragliatore kalashnikov, una mitraglietta Skorpion, ben 19 pistole di vario calibro ed oltre 1.000 munizioni, decine di migliaia di euro e diversi chili di hashish, cocaina e marijuana - ed operava su distinte piazze di spaccio, ciascuna diretta da un proprio referente, rifornendosi delle partite di droga attraverso propri canali di approvvigionamento, con significative sinergie con trafficanti operanti nel tarantino, nel leccese e nel veronese.
Nei confronti di alcuni indagati fu eseguito, contestualmente, un decreto di sequestro preventivo, emesso dalla locale Direzione Distrettuale Antimafia di Bari, su autovetture, motocicli, diversi immobili ed imprese commerciali e terreni, posseduti direttamente o per interposta persona dai soggetti interessati.
I provvedimenti sono stati emessi dalla Procura Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Bari, in seguito alla decisione della Suprema Corte di Cassazione che ha confermato l'intero impianto accusatorio del processo a carico di Cosimo Di Cosola e di altre 45 persone, rendendo definitive le pesanti condanne emesse dalla Corte di Appello di Bari nei confronti di 27 degli imputati, tra cui Cosimo Di Cosola, fratello del boss Antonio, condannato alla pena residua di 21 anni e 1 mese di reclusione.
I predetti sono ritenuti responsabili, a vario titolo, dei reati di associazione di stampo mafioso, associazione per delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, commercializzazione di sostanze stupefacenti, tentato omicidio, porto e detenzione di arma da fuoco, anche da guerra, con l'aggravante del metodo mafioso.
L'attività d'indagine, denominata "Operazione Hinterland II", avviata nel maggio del 2011 e conclusasi nell'agosto del 2013, coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Bari, ha documentato l'alleanza tra i clan Di Cosola e Stramaglia, all'epoca in contrasto, anche armato, tra loro. I due gruppi criminali, anche a causa di numerosi provvedimenti giudiziari che ne indebolirono il nucleo strutturale, e in seguito all'intervento pacificatore di importanti esponenti del clan Parisi, decisero di intraprendere un percorso di non belligeranza e di comune gestione dei propri illeciti affari, in particolare nello spaccio di droga.
Intercettazioni telefoniche e ambientali, acquisizione documentale di sentenze pronunciate a carico di sodali, venti arresti in flagranza operati durante l'indagine sequestri, in particolare di sostanze stupefacenti e di armi, operati contestualmente all'attività tecnica, da dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia, hanno consentito di costruire un quadro accusatorio chiaro, preciso e concordante.
L'associazione di stampo mafioso nota come clan Di Cosola, a seguito dell'arresto del suo promotore, Antonio Di Cosola, si riorganizzò sotto l'egida del fratello di quest'ultimo, Cosimo Di Cosola, scarcerato nel 2010.
Le attività di indagine permisero di accertare come il clan fosse composto da diverse articolazioni, tutte gerarchicamente strutturate e facenti capo al medesimo capo, territorialmente distribuite con operatività nei comuni di Bari, Valenzano, Giovinazzo, Triggiano, Bisceglie, Sannicandro di Bari, Bitritto, Rutigliano, Palo del Colle, Adelfia e zone limitrofe, i cui responsabili erano tenuti, periodicamente, a rendere conto ai vertici dell'organizzazione dell'andamento degli affari illeciti - in particolare, della commercializzazione di sostanze stupefacenti e delle estorsioni - o dell'esistenza di eventuali contrasti con altri sodalizi criminali, ricevendo ordini e direttive al riguardo.
I responsabili dell'organizzazione criminale, a loro volta, garantivano la divisione dei proventi tra gli affiliati, l'aiuto economico e la garanzia di assistenza legale, in occasione di arresti o vicende giudiziarie che di volta in volta coinvolgevano i sodali.
Le indagini provarono come la complessa struttura criminale poteva contare su un significativo arsenale bellico - nel corso dell'indagine vennero sequestrati un fucile mitragliatore kalashnikov, una mitraglietta Skorpion, ben 19 pistole di vario calibro ed oltre 1.000 munizioni, decine di migliaia di euro e diversi chili di hashish, cocaina e marijuana - ed operava su distinte piazze di spaccio, ciascuna diretta da un proprio referente, rifornendosi delle partite di droga attraverso propri canali di approvvigionamento, con significative sinergie con trafficanti operanti nel tarantino, nel leccese e nel veronese.
Nei confronti di alcuni indagati fu eseguito, contestualmente, un decreto di sequestro preventivo, emesso dalla locale Direzione Distrettuale Antimafia di Bari, su autovetture, motocicli, diversi immobili ed imprese commerciali e terreni, posseduti direttamente o per interposta persona dai soggetti interessati.