Una Festa della Liberazione anomala ma intensa (FOTO)
Cerimonia sobria ieri alla presenza del Sindaco, del Presidente del Consiglio comunale e dei vertici cittadini ANPI
domenica 26 aprile 2020
16.51
Era inevitabile lo fosse, ma la cerimonia per celebrare la Festa della Liberazione dal nazifascismo ieri ha avuto un valore simbolico e pratico maggiore. Simbolico per via del silenzio che ha circondato i protagonisti; pratico perché resterà nella memoria e negli archivi fotografici che racconteranno l'anomalo 2020.
Il Sindaco Tommaso Depalma, il Presidente del Consiglio comunale, Alfonso Arbore, ed il Presidente della locale sezione ANPI, Michele Cipriani poco dopo mezzogiorno si sono recati in Villa Comunale "Giuseppe Palombella" per deporre una corona d'alloro ai piedi del Monumenti ai Caduti.
Nel silenzio totale il momento di riflessione, in tempi orribili di distanziamento sociale. Poi la deposizione di un'altra corona alla memoria del partigiano Angelo Ricapito (di cui vi riportiamo la storia dalla breve biografia presente sul sito dell'ANPI nazionale), a cui è dedicata una targa nell'androne di Palazzo di Città.
Sarà storia anche questo 25 aprile, perché segnerà un momento che l'intera comunità giovinazzese ricorderà anche tra molti anni. È accaduto a Giovinazzo. Sotto l'articolo le foto di Depergola Fotografia.
La Liberazione passò attraverso il sacrificio di molti, spesso taciuto dalle pagine di storia ufficiale. L'esempio è quello di Angelo Ricapito, il partigiano a cui la Città di Giovinazzo ha dedicato nell'androne del palazzo municipale una targa ad imperitura memoria. Di seguito la storia dei suoi ultimi mesi.
Nato a Giovinazzo (Bari) nel 1923, ucciso a San Polo (Arezzo) il 14 luglio 1944, studente, Medaglia d'oro al valor militare alla memoria.
La sua famiglia risiedeva a Zara quando, nell'aprile del 1943, Ricapito fu arruolato in Aeronautica. Pochi mesi come "aviere di governo" e poi, con l'armistizio, la decisione di darsi alla macchia. Raggiunto l'Aretino, Ricapito si unì ad un gruppo di partigiani del Casentino. Nell'aprile del 1944, lo studente, che si era distinto in numerosi scontri con i nazifascisti, fu nominato vice comandante della Brigata Garibaldi "Pio Borri". Nel giugno toccò agli uomini di Ricapito trasferire da Marzana (dove erano concentrati), a Cortona (già in mano alle truppe alleate) un folto gruppo di prigionieri tedeschi e fascisti. Compiuta felicemente la missione, Ricapito e i suoi partigiani decisero di riattraversare le linee per continuare la lotta. In uno scontro con i tedeschi a Molino dei Falchi, il vice comandante della "Pio Borri" cadde in mano al nemico. Dopo essere stato seviziato, Ricapito fu ucciso con altri quarantasette uomini, tra partigiani e civili, tra cui sette donne, a San Polo. Qualcuno ancora ricorda che, nel pomeriggio del 14 luglio, una lunga colonna di quarantotto infelici, con le vesti a brandelli o seminudi, partigiani per la massima parte, con le mani legate sul dorso con filo di ferro, giunse da Molin dei Falchi alle porte di Arezzo. I partigiani furono prima rinchiusi in un locale della Villa Billi, poi tradotti in un campo e costretti a scavare una profonda fossa, nella quale tutti i prigionieri, uomini e donne, dovettero scendere. Indosso a Ricapito e ad alcuni altri partigiani, i tedeschi misero tubi di tritolo; poi i nazisti, con le pale, riempirono la buca e quegli sventurati furono sepolti vivi, meno Ricapito e gli altri col tritolo indosso, le cui teste affioravano dal terreno. Quindi un contatto elettrico e l'esplosione. Questa la motivazione della ricompensa al valore per Angelo Ricapito: "Eletto vice comandante di Brigata partigiana in riconoscimento del valore dimostrato nei momenti più critici della lotta, sfidò per oltre dieci mesi la morte tesa in agguato. Dopo un violento combattimento protrattosi per alcuni giorni contro soverchianti forze nemiche, rimasto isolato con pochi uomini a sostenerne l'attacco, riusciva a sganciare i superstiti e ad attraversare con essi la linea del fronte portando prigionieri e bottino. Volontario per rischiosa missione presso la sua Brigata nuovamente impegnata dal nemico, assolveva il compito fra gravi pericoli e, accerchiato col suo comando, dopo eroica lotta, cadeva nelle mani dei suoi aguzzini. Sottoposto a barbare torture non faceva alcuna rivelazione ed il suo corpo piagato e straziato veniva sepolto ancor vivo, elevando col suo martirio la morte ad inno di gloria". Al valoroso partigiano è stata intitolata anche una strada a Fiumicino.
Il Sindaco Tommaso Depalma, il Presidente del Consiglio comunale, Alfonso Arbore, ed il Presidente della locale sezione ANPI, Michele Cipriani poco dopo mezzogiorno si sono recati in Villa Comunale "Giuseppe Palombella" per deporre una corona d'alloro ai piedi del Monumenti ai Caduti.
Nel silenzio totale il momento di riflessione, in tempi orribili di distanziamento sociale. Poi la deposizione di un'altra corona alla memoria del partigiano Angelo Ricapito (di cui vi riportiamo la storia dalla breve biografia presente sul sito dell'ANPI nazionale), a cui è dedicata una targa nell'androne di Palazzo di Città.
Sarà storia anche questo 25 aprile, perché segnerà un momento che l'intera comunità giovinazzese ricorderà anche tra molti anni. È accaduto a Giovinazzo. Sotto l'articolo le foto di Depergola Fotografia.
ANGELO RICAPITO
La Liberazione passò attraverso il sacrificio di molti, spesso taciuto dalle pagine di storia ufficiale. L'esempio è quello di Angelo Ricapito, il partigiano a cui la Città di Giovinazzo ha dedicato nell'androne del palazzo municipale una targa ad imperitura memoria. Di seguito la storia dei suoi ultimi mesi.Nato a Giovinazzo (Bari) nel 1923, ucciso a San Polo (Arezzo) il 14 luglio 1944, studente, Medaglia d'oro al valor militare alla memoria.
La sua famiglia risiedeva a Zara quando, nell'aprile del 1943, Ricapito fu arruolato in Aeronautica. Pochi mesi come "aviere di governo" e poi, con l'armistizio, la decisione di darsi alla macchia. Raggiunto l'Aretino, Ricapito si unì ad un gruppo di partigiani del Casentino. Nell'aprile del 1944, lo studente, che si era distinto in numerosi scontri con i nazifascisti, fu nominato vice comandante della Brigata Garibaldi "Pio Borri". Nel giugno toccò agli uomini di Ricapito trasferire da Marzana (dove erano concentrati), a Cortona (già in mano alle truppe alleate) un folto gruppo di prigionieri tedeschi e fascisti. Compiuta felicemente la missione, Ricapito e i suoi partigiani decisero di riattraversare le linee per continuare la lotta. In uno scontro con i tedeschi a Molino dei Falchi, il vice comandante della "Pio Borri" cadde in mano al nemico. Dopo essere stato seviziato, Ricapito fu ucciso con altri quarantasette uomini, tra partigiani e civili, tra cui sette donne, a San Polo. Qualcuno ancora ricorda che, nel pomeriggio del 14 luglio, una lunga colonna di quarantotto infelici, con le vesti a brandelli o seminudi, partigiani per la massima parte, con le mani legate sul dorso con filo di ferro, giunse da Molin dei Falchi alle porte di Arezzo. I partigiani furono prima rinchiusi in un locale della Villa Billi, poi tradotti in un campo e costretti a scavare una profonda fossa, nella quale tutti i prigionieri, uomini e donne, dovettero scendere. Indosso a Ricapito e ad alcuni altri partigiani, i tedeschi misero tubi di tritolo; poi i nazisti, con le pale, riempirono la buca e quegli sventurati furono sepolti vivi, meno Ricapito e gli altri col tritolo indosso, le cui teste affioravano dal terreno. Quindi un contatto elettrico e l'esplosione. Questa la motivazione della ricompensa al valore per Angelo Ricapito: "Eletto vice comandante di Brigata partigiana in riconoscimento del valore dimostrato nei momenti più critici della lotta, sfidò per oltre dieci mesi la morte tesa in agguato. Dopo un violento combattimento protrattosi per alcuni giorni contro soverchianti forze nemiche, rimasto isolato con pochi uomini a sostenerne l'attacco, riusciva a sganciare i superstiti e ad attraversare con essi la linea del fronte portando prigionieri e bottino. Volontario per rischiosa missione presso la sua Brigata nuovamente impegnata dal nemico, assolveva il compito fra gravi pericoli e, accerchiato col suo comando, dopo eroica lotta, cadeva nelle mani dei suoi aguzzini. Sottoposto a barbare torture non faceva alcuna rivelazione ed il suo corpo piagato e straziato veniva sepolto ancor vivo, elevando col suo martirio la morte ad inno di gloria". Al valoroso partigiano è stata intitolata anche una strada a Fiumicino.