Soldi per pilotare le indagini sul clan Di Cosola: riviste due condanne
Ieri la sentenza del processo d'Appello, confermata la pena all'appuntato Salerno: 10 anni di reclusione
martedì 21 novembre 2023
9.33
Nessun grosso scossone è arrivato ieri, in serata, nella sentenza d'Appello per i quattro condannati, nell'inchiesta sui due Carabinieri infedeli, entrambi in servizio nella Stazione di Giovinazzo e secondo l'accusa a libro paga del clan Di Cosola, che avevano scelto in primo grado di essere giudicati con il giudizio abbreviato.
L'unico caso in cui la prima sezione penale della Corte di Appello di Bari, guidata dalla giudice Maria Teresa Romita, ha rivisto la pena è stato quello riguardante Mario Del Vecchio, secondo gli inquirenti il referente del clan in città e assistito dall'avvocato Marcello Belsito: riconosciuto il vincolo della continuazione rispetto ad una precedente sentenza della Corte di Appello di Bari per i reati di detenzione di armi e droga, la pena complessiva è stata rideterminata in 14 anni e 4 mesi.
Per il resto confermate le altre due condanne: 10 anni per l'appuntato scelto Antonio Salerno, difeso dagli avvocati Angelo Dibello e Mario Malcangi, e 7 anni e 8 mesi per il commerciante Gerardo Giotti, difeso dall'avvocato Michele Laforgia. Secondo l'indagine coordinata dai pubblici ministeri antimafia Federico Perrone Capano e Domenico Minardi, i due militari (l'altro, Domenico Laforgia, è a processo con il rito ordinario) avrebbero agevolato alcuni esponenti del clan Di Cosola.
Avrebbero, per l'accusa, rivelato informazioni su operazioni e indagini in corso, sui turni di servizio, sui controlli da svolgere verso gli affiliati posti ai domiciliari e, in almeno tre casi avrebbero procurato documenti con registrazioni e verbali di alcuni collaboratori di giustizia. In cambio avrebbero «ricevuto denaro e utilità per omettere o ritardare atti del proprio ufficio e per compiere atti contrari ai doveri di ufficio, al fine di agevolare gli appartenenti all'articolazione del clan Di Cosola».
Tenere a busta paga i due militari dal 2012 al 2018 (il periodo delle indagini), sarebbe costato complessivamente 400mila euro oltre dei regali, come un cesto di Natale, un televisore, un robot da cucina e pure l'indebito risarcimento del danno per un sinistro stradale. Nel processo era imputato anche Michele Giangaspero, uomo del clan poi divenuto collaboratore di giustizia, che con le sue dichiarazioni ha scoperchiato il vaso di Pandora: dovrà scontare 5 anni, 10 mesi e 20 giorni.
Gli imputati - tutti detenuti (Del Vecchio in carcere, gli altri ai domiciliari) - sono stati ritenuti responsabili dei reati, contestati a vario titolo, di concorso esterno in associazione mafiosa, corruzione in atti giudiziari, rivelazione del segreto d'ufficio e infine interdetti in perpetuo dai pubblici uffici. Entro 90 giorni le motivazioni.
L'unico caso in cui la prima sezione penale della Corte di Appello di Bari, guidata dalla giudice Maria Teresa Romita, ha rivisto la pena è stato quello riguardante Mario Del Vecchio, secondo gli inquirenti il referente del clan in città e assistito dall'avvocato Marcello Belsito: riconosciuto il vincolo della continuazione rispetto ad una precedente sentenza della Corte di Appello di Bari per i reati di detenzione di armi e droga, la pena complessiva è stata rideterminata in 14 anni e 4 mesi.
Per il resto confermate le altre due condanne: 10 anni per l'appuntato scelto Antonio Salerno, difeso dagli avvocati Angelo Dibello e Mario Malcangi, e 7 anni e 8 mesi per il commerciante Gerardo Giotti, difeso dall'avvocato Michele Laforgia. Secondo l'indagine coordinata dai pubblici ministeri antimafia Federico Perrone Capano e Domenico Minardi, i due militari (l'altro, Domenico Laforgia, è a processo con il rito ordinario) avrebbero agevolato alcuni esponenti del clan Di Cosola.
Avrebbero, per l'accusa, rivelato informazioni su operazioni e indagini in corso, sui turni di servizio, sui controlli da svolgere verso gli affiliati posti ai domiciliari e, in almeno tre casi avrebbero procurato documenti con registrazioni e verbali di alcuni collaboratori di giustizia. In cambio avrebbero «ricevuto denaro e utilità per omettere o ritardare atti del proprio ufficio e per compiere atti contrari ai doveri di ufficio, al fine di agevolare gli appartenenti all'articolazione del clan Di Cosola».
Tenere a busta paga i due militari dal 2012 al 2018 (il periodo delle indagini), sarebbe costato complessivamente 400mila euro oltre dei regali, come un cesto di Natale, un televisore, un robot da cucina e pure l'indebito risarcimento del danno per un sinistro stradale. Nel processo era imputato anche Michele Giangaspero, uomo del clan poi divenuto collaboratore di giustizia, che con le sue dichiarazioni ha scoperchiato il vaso di Pandora: dovrà scontare 5 anni, 10 mesi e 20 giorni.
Gli imputati - tutti detenuti (Del Vecchio in carcere, gli altri ai domiciliari) - sono stati ritenuti responsabili dei reati, contestati a vario titolo, di concorso esterno in associazione mafiosa, corruzione in atti giudiziari, rivelazione del segreto d'ufficio e infine interdetti in perpetuo dai pubblici uffici. Entro 90 giorni le motivazioni.