Riccardi a Giovinazzo, lectio magistralis sulla Pace
Il fondatore della Comunità di Sant'Egidio è intervenuto al margine della marcia e della veglia organizzata dalla Diocesi
domenica 27 gennaio 2019
05.00
Il popolo cattolico di tutta la Diocesi di Molfetta, Ruvo, Giovinazzo e Terlizzi si è riunito ieri sera nella nostra cittadina per la Marcia per la pace e per una veglia di preghiera. È stato un momento di riflessione collettiva, fortemente voluto da Monsignor Domenico Cornacchia e dalla Consulta Diocesana per le Aggregazioni Laicali, che ha coinvolto centinaia di fedeli, dapprima riunitisi in Concattedrale e che poi hanno sfilato per le vie del paese. C'erano le scuole, le istituzioni, i partiti, le associazioni laiche e cattoliche e tanta gente comune.
Il momento forse più atteso è stato l'intervento del prof. Andrea Riccardi in una gremita chiesa di San Domenico. È stato lui il fondatore della Comunità di Sant'Egidio nel 1968, gruppo che da decenni si occupa di ultimi, di emarginati, di solitudine e di umanità dilaniata da guerre. Una missione possibile solo grazie alla fede in Cristo, all'essere cattolici. Una presenza decisiva in tantissime periferie italiane e del mondo.
Quella di Riccardi è stata una lectio magistralis diversa da molte altre, perché partita dal cuore del relatore. Il docente di Storia contemporanea ha subito scosso le coscienze ricordando come le società occidentali e quella italiana in particolare non siano spesso interessate alla Pace perché cresciute in un clima duraturo senza conflitti, perché forse assuefatte all'egoismo ed all'individualismo consumista.
Per Riccardi siamo dunque concentrati «troppo su noi stessi» e molto poco su ciò che ci circonda, ciò che accade poco più in là di casa nostra. «L'Apostolo Paolo dice di Gesù "Egli è la nostra Pace" - ha ricordato -. La Chiesa ha capito meglio da più di un secolo il dramma della guerra e il valore della Pace ed ha capito come la sua vocazione sia predicare la seconda. La Chiesa è una madre - ha sottolineato Riccardi -, una compagna, un'amica e le donne non amano la guerra».
Chiesa e Pace vivono dunque un «amore indistruttibile», perché l'unica possibile vocazione della prima è seguire, invocare, pregare affinché vi sia sempre la seconda.
I nazionalismi di ritorno, secondo il professore nato a Roma nel 1950, stanno riportando il nostro continente indietro, nonostante fossero creduti sepolti. Riccardi ha quindi rammentato ai presenti «che il nazionalismo è stata una febbre che per due volte nel '900 ha fatto dell'Europa un cimitero. La Chiesa parla di pace perché nessun Paese le è estraneo, è la cattolicità, è l'universalità del Vangelo» e quindi non vi può essere cristiano che non segua questa via.
Di Pace deve dunque occuparsi il cattolico e gli artigiani della stessa possono molto anche individualmente, quotidianamente, partendo dalle proprie comunità. L'esempio di don Tonino Bello a Sarajevo, nel dicembre 1993, è per Riccardi emblematico di quanto la forza del messaggio d'amore di Cristo possa arrestare un conflitto, anche per un solo giorno, e sia potente antidoto ad essi.
I cattolici devono quindi «gridare, bussare, pregare finché Dio non aprirà la porta della Pace. Dobbiamo essere - ha detto utilizzando una metafora eccezionale - vedove inopportune verso il Signore finché non rivolgerà il suo sguardo alla Pace. La gente che si trasforma in artigiana di pace può fare molto. Sono le minoranze, infatti, che cambiano la storia. Non vi è bisogno di moltitudini».
I riferimenti alle ferite aperte di Yemen e Siria hanno riportato quindi il discorso sul piano della politica, di quella politica che tace, che gira la testa dall'altra parte, che non è di esempio per nessuno.
Quanto al nostro Paese, Riccardi ha più volte sottolineato come si senta «scandalizzato dal linguaggio utilizzato da molti politici» ed ha richiamato il concetto del costruttore di Pace, che lavora cominciando da casa sua, dalla sua città per cambiare questo clima di odio e contrapposizione (e mai invito fu più azzeccato per la comunità giovinazzese fin troppo dilaniata al suo interno negli ultimi anni).
Il fondatore della Comunità di Sant'Egidio ha poi ribadito la necessità di creare corridoi umanitari per salvare vite e ridare speranza a persone che scappano dalla guerra, rimarcando a più riprese come la buona politica, così come più volte scritto e detto dal Pontefice, non c'è «senza cercare la Pace».
Impegno quotidiano, sguardo all'accoglienza, rifiuto degli egoismi e dei nazionalismi, mano tesa verso gli altri. È questa la ricetta che Andrea Riccardi suggerisce per costruire una civiltà dell'amore, che ricacci indietro odi e guerre.
Il «fiuto per le cose del mondo» di don Tonino ci ha insegnato che questa è la strada maestra da seguire, ha ribadito a più riprese, la strada della buona politica intesa come impegno e non come mera «esperienza partitica».
Se i cattolici sapranno fare questo, se sapranno portare testimonianza della loro fede e dell'insegnamento di Gesù nella vita concreta, probabilmente quella società sognata dal prelato salentino è molto più prossima di quanto crediamo.
Il momento forse più atteso è stato l'intervento del prof. Andrea Riccardi in una gremita chiesa di San Domenico. È stato lui il fondatore della Comunità di Sant'Egidio nel 1968, gruppo che da decenni si occupa di ultimi, di emarginati, di solitudine e di umanità dilaniata da guerre. Una missione possibile solo grazie alla fede in Cristo, all'essere cattolici. Una presenza decisiva in tantissime periferie italiane e del mondo.
Quella di Riccardi è stata una lectio magistralis diversa da molte altre, perché partita dal cuore del relatore. Il docente di Storia contemporanea ha subito scosso le coscienze ricordando come le società occidentali e quella italiana in particolare non siano spesso interessate alla Pace perché cresciute in un clima duraturo senza conflitti, perché forse assuefatte all'egoismo ed all'individualismo consumista.
Per Riccardi siamo dunque concentrati «troppo su noi stessi» e molto poco su ciò che ci circonda, ciò che accade poco più in là di casa nostra. «L'Apostolo Paolo dice di Gesù "Egli è la nostra Pace" - ha ricordato -. La Chiesa ha capito meglio da più di un secolo il dramma della guerra e il valore della Pace ed ha capito come la sua vocazione sia predicare la seconda. La Chiesa è una madre - ha sottolineato Riccardi -, una compagna, un'amica e le donne non amano la guerra».
Chiesa e Pace vivono dunque un «amore indistruttibile», perché l'unica possibile vocazione della prima è seguire, invocare, pregare affinché vi sia sempre la seconda.
I nazionalismi di ritorno, secondo il professore nato a Roma nel 1950, stanno riportando il nostro continente indietro, nonostante fossero creduti sepolti. Riccardi ha quindi rammentato ai presenti «che il nazionalismo è stata una febbre che per due volte nel '900 ha fatto dell'Europa un cimitero. La Chiesa parla di pace perché nessun Paese le è estraneo, è la cattolicità, è l'universalità del Vangelo» e quindi non vi può essere cristiano che non segua questa via.
Di Pace deve dunque occuparsi il cattolico e gli artigiani della stessa possono molto anche individualmente, quotidianamente, partendo dalle proprie comunità. L'esempio di don Tonino Bello a Sarajevo, nel dicembre 1993, è per Riccardi emblematico di quanto la forza del messaggio d'amore di Cristo possa arrestare un conflitto, anche per un solo giorno, e sia potente antidoto ad essi.
I cattolici devono quindi «gridare, bussare, pregare finché Dio non aprirà la porta della Pace. Dobbiamo essere - ha detto utilizzando una metafora eccezionale - vedove inopportune verso il Signore finché non rivolgerà il suo sguardo alla Pace. La gente che si trasforma in artigiana di pace può fare molto. Sono le minoranze, infatti, che cambiano la storia. Non vi è bisogno di moltitudini».
I riferimenti alle ferite aperte di Yemen e Siria hanno riportato quindi il discorso sul piano della politica, di quella politica che tace, che gira la testa dall'altra parte, che non è di esempio per nessuno.
Quanto al nostro Paese, Riccardi ha più volte sottolineato come si senta «scandalizzato dal linguaggio utilizzato da molti politici» ed ha richiamato il concetto del costruttore di Pace, che lavora cominciando da casa sua, dalla sua città per cambiare questo clima di odio e contrapposizione (e mai invito fu più azzeccato per la comunità giovinazzese fin troppo dilaniata al suo interno negli ultimi anni).
Il fondatore della Comunità di Sant'Egidio ha poi ribadito la necessità di creare corridoi umanitari per salvare vite e ridare speranza a persone che scappano dalla guerra, rimarcando a più riprese come la buona politica, così come più volte scritto e detto dal Pontefice, non c'è «senza cercare la Pace».
Impegno quotidiano, sguardo all'accoglienza, rifiuto degli egoismi e dei nazionalismi, mano tesa verso gli altri. È questa la ricetta che Andrea Riccardi suggerisce per costruire una civiltà dell'amore, che ricacci indietro odi e guerre.
Il «fiuto per le cose del mondo» di don Tonino ci ha insegnato che questa è la strada maestra da seguire, ha ribadito a più riprese, la strada della buona politica intesa come impegno e non come mera «esperienza partitica».
Se i cattolici sapranno fare questo, se sapranno portare testimonianza della loro fede e dell'insegnamento di Gesù nella vita concreta, probabilmente quella società sognata dal prelato salentino è molto più prossima di quanto crediamo.