Pasqua 2025, il messaggio di auguri di monsignor Cornacchia
Il prelato: «La pace non è solo il frutto della vittoria di Cristo sul male, ma anche il dono che Egli affida ai suoi discepoli»
domenica 20 aprile 2025
«Carissimi fratelli e sorelle,
la luce del Risorto, che ha vinto la morte e spalancato le porte della vita eterna, raggiunga le vostre case e le vostre comunità con un annuncio di speranza e di rinnovamento. In questo tempo pasquale, segnato dalla gioia della Risurrezione, non possiamo dimenticare che la Pasqua di Cristo è anche un invito forte a rinascere come uomini e donne di pace. La pace, infatti, non è solo il frutto della vittoria di Cristo sul male, ma anche il dono che Egli affida ai suoi discepoli: «Vi lascio la pace, vi do la mia pace» (Gv 14,27).
Proprio per questo, mentre contempliamo il Signore risorto con le piaghe della croce, sentiamo forte l'appello a non abituarci al dolore del mondo, a non cedere all'indifferenza.
In questi mesi, le immagini provenienti dal cuore dell'Europa e dal Medio Oriente continuano a interrogarci. L'Ucraina, dilaniata da una guerra che sembra non conoscere tregua, e la Terra Santa, segnata da violenze indicibili, gridano al mondo il dolore di interi popoli. A pagarne il prezzo più alto sono sempre gli innocenti: famiglie spezzate, vite spezzate, speranze spezzate.
E come se non bastasse, gli ultimi giorni ci hanno consegnato nuove immagini di lutto e disperazione: dall'attacco missilistico russo della Domenica delle Palme, a Sumy, che ha provocato 35 morti, tra cui due bambini al continuo massacro a Gaza con attacchi israeliani anche contro le strutture sanitarie nella Striscia. Vicende che ci fanno toccare con mano quanto sia fragile la pace e quanto urgente sia il compito di custodirla.
Davanti a tutto questo, la nostra coscienza di credenti non può restare inerte. Come pastore di questa Chiesa di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi, sento il dovere di unirmi a quanti, nella società civile e nelle comunità religiose, levano la voce per ricordare che la pace non è un'opzione tra le tante, ma l'unica strada possibile per garantire un futuro degno e umano per tutti.
Papa Francesco, con la forza di parole evangeliche, ha più volte ribadito che "la guerra è sempre una sconfitta". E in questo 2025, in cui ricorrono gli ottant'anni dalla fine della seconda guerra mondiale in Italia e in Europa, siamo chiamati non solo a commemorare, ma a vigilare: perché la memoria non diventi una cerimonia vuota, ma una chiamata alla responsabilità. Sia questo un monito forte e chiaro: ogni guerra è una disfatta; ogni arma puntata contro un altro essere umano è un tradimento del Vangelo.
Anche l'Europa – nata come progetto di pace e riconciliazione – oggi rischia di smarrire la propria vocazione originaria, cedendo alla logica del riarmo anziché investire nel dialogo, nella giustizia e nella solidarietà tra i popoli. San Giovanni Paolo II, nel 1995, in occasione del cinquantesimo anniversario della tragedia del secondo conflitto mondiale, ci ammoniva che "non si edifica una società umana sulla violenza". Queste parole risuonano oggi con forza, ricordandoci che la via della guerra porta solo a nuove sofferenze e ingiustizie.
L'Italia, che ha inscritto nella propria Costituzione il ripudio della guerra «come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali» (art. 11), è oggi più che mai chiamata a essere coerente con questo impegno fondativo. Così anche l'Europa, per restare fedele a sé stessa, non può tradire la propria identità con politiche orientate alla militarizzazione.
Papa Francesco continua a richiamarci a un disarmo integrale, affermando nella Fratelli Tutti (n. 261) che "la guerra è un fallimento della politica e dell'umanità, una resa vergognosa di fronte alle forze del male", e che non basta dire che una guerra è giusta: bisogna fermarla.
Oggi più che mai, è tempo di alzare la voce, con parole e con scelte concrete, per dire insieme: la guerra è un'ingiustizia da ripudiare, sempre e ovunque.
Come comunità cristiana, sappiamo che la pace è un frutto dello Spirito, ma anche un compito affidato a ciascuno. Il Venerabile don Tonino Bello, vescovo che in prima persona ha seminato la pace, e voce profetica ancora attuale, ci ricordava che "la pace è fatta in casa, prima ancora che nei palazzi". È compito quotidiano, è artigianato paziente, è stile di vita. E allora, in questa Pasqua, che ci riconsegna il Signore vivente, mite e disarmato, vi dico con umiltà e determinazione: la pace non può più attendere.
Non è un ideale astratto, né un tema da lasciare ai potenti. La pace riguarda ciascuno di noi.
Siamo chiamati a viverla nel nostro linguaggio, nelle relazioni, nelle famiglie, nelle comunità:
• Scegliamo parole che non feriscono, ma ricuciono.
• Ascoltiamo chi ci è vicino, soprattutto quando è più difficile.
• Perdoniamo, anche quando costa.
• Insegniamo ai nostri figli la cura, non l'odio.
La pace si fa così. Con le mani, con il cuore, con la fatica. Ma anche con la speranza.
Vi auguro di cuore una Pasqua colma della gioia del Risorto, della luce che illumina le tenebre e della pace che nasce dal Vangelo vissuto. Che il Signore ci renda artigiani di pace, capaci di custodirla e di costruirla. Ogni giorno. In ogni luogo. Per tutti.
Affido questo nostro comune impegno all'intercessione di Maria, Regina della Pace, perché accompagni ogni nostro passo e ci sostenga nel difficile ma necessario cammino della giustizia, della verità e della riconciliazione.
Buona Pasqua a tutti!».
+ Domenico Cornacchia, vescovo
la luce del Risorto, che ha vinto la morte e spalancato le porte della vita eterna, raggiunga le vostre case e le vostre comunità con un annuncio di speranza e di rinnovamento. In questo tempo pasquale, segnato dalla gioia della Risurrezione, non possiamo dimenticare che la Pasqua di Cristo è anche un invito forte a rinascere come uomini e donne di pace. La pace, infatti, non è solo il frutto della vittoria di Cristo sul male, ma anche il dono che Egli affida ai suoi discepoli: «Vi lascio la pace, vi do la mia pace» (Gv 14,27).
Proprio per questo, mentre contempliamo il Signore risorto con le piaghe della croce, sentiamo forte l'appello a non abituarci al dolore del mondo, a non cedere all'indifferenza.
In questi mesi, le immagini provenienti dal cuore dell'Europa e dal Medio Oriente continuano a interrogarci. L'Ucraina, dilaniata da una guerra che sembra non conoscere tregua, e la Terra Santa, segnata da violenze indicibili, gridano al mondo il dolore di interi popoli. A pagarne il prezzo più alto sono sempre gli innocenti: famiglie spezzate, vite spezzate, speranze spezzate.
E come se non bastasse, gli ultimi giorni ci hanno consegnato nuove immagini di lutto e disperazione: dall'attacco missilistico russo della Domenica delle Palme, a Sumy, che ha provocato 35 morti, tra cui due bambini al continuo massacro a Gaza con attacchi israeliani anche contro le strutture sanitarie nella Striscia. Vicende che ci fanno toccare con mano quanto sia fragile la pace e quanto urgente sia il compito di custodirla.
Davanti a tutto questo, la nostra coscienza di credenti non può restare inerte. Come pastore di questa Chiesa di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi, sento il dovere di unirmi a quanti, nella società civile e nelle comunità religiose, levano la voce per ricordare che la pace non è un'opzione tra le tante, ma l'unica strada possibile per garantire un futuro degno e umano per tutti.
Papa Francesco, con la forza di parole evangeliche, ha più volte ribadito che "la guerra è sempre una sconfitta". E in questo 2025, in cui ricorrono gli ottant'anni dalla fine della seconda guerra mondiale in Italia e in Europa, siamo chiamati non solo a commemorare, ma a vigilare: perché la memoria non diventi una cerimonia vuota, ma una chiamata alla responsabilità. Sia questo un monito forte e chiaro: ogni guerra è una disfatta; ogni arma puntata contro un altro essere umano è un tradimento del Vangelo.
Anche l'Europa – nata come progetto di pace e riconciliazione – oggi rischia di smarrire la propria vocazione originaria, cedendo alla logica del riarmo anziché investire nel dialogo, nella giustizia e nella solidarietà tra i popoli. San Giovanni Paolo II, nel 1995, in occasione del cinquantesimo anniversario della tragedia del secondo conflitto mondiale, ci ammoniva che "non si edifica una società umana sulla violenza". Queste parole risuonano oggi con forza, ricordandoci che la via della guerra porta solo a nuove sofferenze e ingiustizie.
L'Italia, che ha inscritto nella propria Costituzione il ripudio della guerra «come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali» (art. 11), è oggi più che mai chiamata a essere coerente con questo impegno fondativo. Così anche l'Europa, per restare fedele a sé stessa, non può tradire la propria identità con politiche orientate alla militarizzazione.
Papa Francesco continua a richiamarci a un disarmo integrale, affermando nella Fratelli Tutti (n. 261) che "la guerra è un fallimento della politica e dell'umanità, una resa vergognosa di fronte alle forze del male", e che non basta dire che una guerra è giusta: bisogna fermarla.
Oggi più che mai, è tempo di alzare la voce, con parole e con scelte concrete, per dire insieme: la guerra è un'ingiustizia da ripudiare, sempre e ovunque.
Come comunità cristiana, sappiamo che la pace è un frutto dello Spirito, ma anche un compito affidato a ciascuno. Il Venerabile don Tonino Bello, vescovo che in prima persona ha seminato la pace, e voce profetica ancora attuale, ci ricordava che "la pace è fatta in casa, prima ancora che nei palazzi". È compito quotidiano, è artigianato paziente, è stile di vita. E allora, in questa Pasqua, che ci riconsegna il Signore vivente, mite e disarmato, vi dico con umiltà e determinazione: la pace non può più attendere.
Non è un ideale astratto, né un tema da lasciare ai potenti. La pace riguarda ciascuno di noi.
Siamo chiamati a viverla nel nostro linguaggio, nelle relazioni, nelle famiglie, nelle comunità:
• Scegliamo parole che non feriscono, ma ricuciono.
• Ascoltiamo chi ci è vicino, soprattutto quando è più difficile.
• Perdoniamo, anche quando costa.
• Insegniamo ai nostri figli la cura, non l'odio.
La pace si fa così. Con le mani, con il cuore, con la fatica. Ma anche con la speranza.
Vi auguro di cuore una Pasqua colma della gioia del Risorto, della luce che illumina le tenebre e della pace che nasce dal Vangelo vissuto. Che il Signore ci renda artigiani di pace, capaci di custodirla e di costruirla. Ogni giorno. In ogni luogo. Per tutti.
Affido questo nostro comune impegno all'intercessione di Maria, Regina della Pace, perché accompagni ogni nostro passo e ci sostenga nel difficile ma necessario cammino della giustizia, della verità e della riconciliazione.
Buona Pasqua a tutti!».
+ Domenico Cornacchia, vescovo