Omicidio Fiorentino, il Comune di Giovinazzo ammesso come parte civile
Si è tenuta ieri mattina l'udienza preliminare. Uno degli imputati, Maisto, ha annunciato di «voler collaborare con la giustizia»
martedì 24 settembre 2024
16.35
È iniziato ieri, innanzi al Tribunale di Bari, il processo per il delitto di Claudio Fiorentino, ucciso in un agguato a Giovinazzo. In veste di imputati Mario Del Vecchio, Michele Giangaspero, Luigi Guglielmi, i fratelli Carmine e Pasquale Maisto e Piero Mesecorto, accusati di omicidio premeditato aggravato dalle finalità mafiose.
Nella prima seduta, il giudice dell'udienza preliminare Giuseppe Ronzino, ha ammesso come parte civile il Comune di Giovinazzo, difeso dall'avvocato penalista Francesco Mastro, insieme con la madre, il padre, il fratello e la moglie della vittima, rappresentati in giudizio sempre dal docente universitario. Un segnale forte, da parte dell'amministrazione comunale, la cui volontà di costituirsi parte civile è in linea col proposito di contrastare con efficacia il fenomeno mafioso in città.
«A quanto emerso dal lavoro degli inquirenti - ha detto il sindaco Michele Sollecito in un post su Facebook - si trattò di un regolamento di conti tra i clan mafiosi che si contendevano gli affari illeciti sul territorio». Un omicidio pianificato da anni, il primo tentativo avvenne già nel 2012, ma quella volta i killer non spararono: c'erano dei bambini. Fiorentino, hanno ricostruito i Carabinieri, doveva morire perché «si era rifiutato di dare al clan Di Cosola una parte dei proventi del pizzo».
A finire in manette, nove anni dopo, sono stati in sei: i due mandanti del delitto, gli altrettanti esecutori e vedette. L'omicidio risale al 3 giugno 2014: quel giorno, su ordine di Guglielmi e Maisto (il più piccolo dei fratelli), i presunti esecutori Mesecorto e Giangaspero (collaboratore di giustizia che nel 2018 si è autoaccusato del delitto), con la complicità dell'altro Maisto e Del Vecchio (le due vedette), seguirono Fiorentino, l'affiancarono mentre era sul suo calesse e aprirono il fuoco.
Sono state le dichiarazioni di un pentito del clan Di Cosola, Giangaspero, che ha fatto ritrovare l'arma, a rivelare come, dietro quell'agguato, ci fosse la guerra tra clan per il controllo del racket delle estorsioni. I sei imputati, però, si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. Ieri, uno di loro - Carmine Maisto - ha presentato un memoriale in cui ha annunciato di voler «collaborare con la giustizia». Una volontà già manifestata nel 2019, prima della revoca del programma di protezione.
L'uomo, in carcere ad Ancona, s'è detto pentito «di aver partecipato all'omicidio Fiorentino nel ruolo di vedetta insieme a Del Vecchio», sottolineando come quello «che ha detto Giangaspero è tutto vero» e annunciando di essere «pronto a svelare con chiarezza il tutto», ha fatto sapere. Si tornerà in aula il prossimo 28 ottobre.
Nella prima seduta, il giudice dell'udienza preliminare Giuseppe Ronzino, ha ammesso come parte civile il Comune di Giovinazzo, difeso dall'avvocato penalista Francesco Mastro, insieme con la madre, il padre, il fratello e la moglie della vittima, rappresentati in giudizio sempre dal docente universitario. Un segnale forte, da parte dell'amministrazione comunale, la cui volontà di costituirsi parte civile è in linea col proposito di contrastare con efficacia il fenomeno mafioso in città.
«A quanto emerso dal lavoro degli inquirenti - ha detto il sindaco Michele Sollecito in un post su Facebook - si trattò di un regolamento di conti tra i clan mafiosi che si contendevano gli affari illeciti sul territorio». Un omicidio pianificato da anni, il primo tentativo avvenne già nel 2012, ma quella volta i killer non spararono: c'erano dei bambini. Fiorentino, hanno ricostruito i Carabinieri, doveva morire perché «si era rifiutato di dare al clan Di Cosola una parte dei proventi del pizzo».
A finire in manette, nove anni dopo, sono stati in sei: i due mandanti del delitto, gli altrettanti esecutori e vedette. L'omicidio risale al 3 giugno 2014: quel giorno, su ordine di Guglielmi e Maisto (il più piccolo dei fratelli), i presunti esecutori Mesecorto e Giangaspero (collaboratore di giustizia che nel 2018 si è autoaccusato del delitto), con la complicità dell'altro Maisto e Del Vecchio (le due vedette), seguirono Fiorentino, l'affiancarono mentre era sul suo calesse e aprirono il fuoco.
Sono state le dichiarazioni di un pentito del clan Di Cosola, Giangaspero, che ha fatto ritrovare l'arma, a rivelare come, dietro quell'agguato, ci fosse la guerra tra clan per il controllo del racket delle estorsioni. I sei imputati, però, si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. Ieri, uno di loro - Carmine Maisto - ha presentato un memoriale in cui ha annunciato di voler «collaborare con la giustizia». Una volontà già manifestata nel 2019, prima della revoca del programma di protezione.
L'uomo, in carcere ad Ancona, s'è detto pentito «di aver partecipato all'omicidio Fiorentino nel ruolo di vedetta insieme a Del Vecchio», sottolineando come quello «che ha detto Giangaspero è tutto vero» e annunciando di essere «pronto a svelare con chiarezza il tutto», ha fatto sapere. Si tornerà in aula il prossimo 28 ottobre.