Omicidio Fiorentino, il collaboratore Giangaspero conferma le accuse
Ieri, in aula a Bari, l'incidente probatorio dopo gli arresti dello scorso novembre. Colpo di scena nel pentimento di Maisto
sabato 13 aprile 2024
9.47
Nessun dubbio, nessuna marcia indietro in un confronto durato oltre tre ore. Michele Giangaspero, il collaboratore di giustizia che si è autoaccusato dell'omicidio di Claudio Fiorentino ha ribadito le accuse che aveva già reso confermando il movente, le modalità e i nomi degli esecutori materiali e dei mandanti del delitto.
Per gli inquirenti si è rivelato un passaggio importante l'incidente probatorio, avvenuto ieri, per cristallizzare le dichiarazioni dei pentiti. E se Giangaspero non si è sottratto alle domande di accusa e difesa, l'altro collaboratore co-indagato, Carmine Maisto, con una comunicazione inviata al giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bari, Anna Perrelli, ha detto di «essersi pentito di essersi ripentito» e, quindi, di «non voler rendere alcuna dichiarazione per motivi di sicurezza».
Grazie alle deposizioni di undici collaboratori, lo scorso novembre, i Carabinieri, coordinati dai pubblici ministeri antimafia Federico Perrone Capano e Domenico Minardi, hanno arrestato, oltre al collaboratore di giustizia - l'unico ristretto ai domiciliari -, anche Luigi Guglielmi e Piero Mesecorto, di Bari, Mario Del Vecchio e i fratelli Carmine e Pasquale Maisto, nati a Salerno ma residenti da anni nella cittadina a nord di Bari, fra mandanti, organizzatori, partecipi ed esecutori materiali.
Esponenti del clan mafioso Di Cosola, protetti per quasi un decennio da un impenetrabile clima di omertà, sono finiti in carcere - i primi tre erano già reclusi - con le accuse, contestate a vario titolo, di omicidio in concorso, detenzione e porto illegale di armi, aggravati dalle finalità mafiose. In videoconferenza, Giangaspero - le sue dichiarazioni, sin dal 2018, hanno consentito di far piena luce sull'omicidio di Giovinazzo -, è stato esaminato dall'accusa e contro-esaminato dalla difesa.
L'uomo, collaboratore di giustizia e figura cardine dell'inchiesta, difeso dall'avvocato Fabrizio Caniglia, «nonostante in alcune parti il suo racconto è stato oggetto di continue contestazioni» da parte dei difensori degli indagati (Raffaele Quarta, Massimo Roberto Chiusolo e Marcello Belsito), ha fornito la propria versione dei fatti, confermando «le proprie e altrui responsabilità». Di Maisto s'è già detto: la sua deposizione non è avvenuta anche perché l'uomo ha rinunciato a comparire.
Si tornerà in aula il prossimo 14 giugno, in videoconferenza, per cristallizzare le dichiarazioni degli altri dieci collaboratori di giustizia coinvolti: Giuseppe Coletta, Michele e Vincenzo Di Cosola, Eleonora Di Mario, Cosimo Genchi, Antonio Maggio, Paolo e Vincenzo Masciopinto, Giuseppe Pappagallo e Adriano Pontrelli.
Per gli inquirenti si è rivelato un passaggio importante l'incidente probatorio, avvenuto ieri, per cristallizzare le dichiarazioni dei pentiti. E se Giangaspero non si è sottratto alle domande di accusa e difesa, l'altro collaboratore co-indagato, Carmine Maisto, con una comunicazione inviata al giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bari, Anna Perrelli, ha detto di «essersi pentito di essersi ripentito» e, quindi, di «non voler rendere alcuna dichiarazione per motivi di sicurezza».
Grazie alle deposizioni di undici collaboratori, lo scorso novembre, i Carabinieri, coordinati dai pubblici ministeri antimafia Federico Perrone Capano e Domenico Minardi, hanno arrestato, oltre al collaboratore di giustizia - l'unico ristretto ai domiciliari -, anche Luigi Guglielmi e Piero Mesecorto, di Bari, Mario Del Vecchio e i fratelli Carmine e Pasquale Maisto, nati a Salerno ma residenti da anni nella cittadina a nord di Bari, fra mandanti, organizzatori, partecipi ed esecutori materiali.
Esponenti del clan mafioso Di Cosola, protetti per quasi un decennio da un impenetrabile clima di omertà, sono finiti in carcere - i primi tre erano già reclusi - con le accuse, contestate a vario titolo, di omicidio in concorso, detenzione e porto illegale di armi, aggravati dalle finalità mafiose. In videoconferenza, Giangaspero - le sue dichiarazioni, sin dal 2018, hanno consentito di far piena luce sull'omicidio di Giovinazzo -, è stato esaminato dall'accusa e contro-esaminato dalla difesa.
L'uomo, collaboratore di giustizia e figura cardine dell'inchiesta, difeso dall'avvocato Fabrizio Caniglia, «nonostante in alcune parti il suo racconto è stato oggetto di continue contestazioni» da parte dei difensori degli indagati (Raffaele Quarta, Massimo Roberto Chiusolo e Marcello Belsito), ha fornito la propria versione dei fatti, confermando «le proprie e altrui responsabilità». Di Maisto s'è già detto: la sua deposizione non è avvenuta anche perché l'uomo ha rinunciato a comparire.
Si tornerà in aula il prossimo 14 giugno, in videoconferenza, per cristallizzare le dichiarazioni degli altri dieci collaboratori di giustizia coinvolti: Giuseppe Coletta, Michele e Vincenzo Di Cosola, Eleonora Di Mario, Cosimo Genchi, Antonio Maggio, Paolo e Vincenzo Masciopinto, Giuseppe Pappagallo e Adriano Pontrelli.