Non può essere "solo un gioco"
Un Palio è sinonimo di comunità e di sfida. E porta con sé emozioni forti, che non si possono racchiudere nel politicamente corretto
venerdì 16 agosto 2024
15.30
Quando si è trattato di sedare un principio di rissa tra un componente della squadra della Concattedrale ed un suo omologo di Sant'Agostino, discussione nata su fatti meramente di gara, Giangaetano Tortora, storico presentatore del Gamberemo, ha professionalmente invitato alla calma tutti, ricordando che non ci si "giocava la vita", che in fondo si trattava "solamente di un gioco". Ed in quel frangente, il nostro amico e collega ha fatto benissimo, placando animi che si andavano scaldando e puntando a mantenere uno spirito "decoubertiano" durante il Palio. Bene così, dunque, in quel frangente certamente. Professionale, rapido, efficace per evitare il peggio.
Messa da parte questa circostanza, qualche riflessione a margine del Gamberemo una volta tanto vorremmo farla noi.
La rassegna che mette di fronte i cinque rioni cittadini è cresciuta negli anni e se non dovesse scontare qualche riottoso vento opposto, riuscirebbe a fare un ulteriore passo in avanti. Ci spieghiamo meglio: il Gamberemo è divenuto col tempo (33 anni dall'ideazione, 31 le edizioni disputate) un momento di vera aggregazione cittadina, di spontanea condivisione rionale, che esalta le peculiarità delle diverse zone della città, dando un senso al lavoro centrale delle parrocchie e dei loro oratorii. La Chiesa di nuovo al centro del villaggio. E va benissimo così.
È un caposaldo dell'estate giovinazzese, riunisce giovani e anziani, mette nel calderone della contesa spirito di appartenenza, amore per lo sport, volontà di esaltare il proprio quartiere, visto come luogo di vita vissuta, quotidiana.
Ma non può essere "solo un gioco", non è quella l'essenza profonda dei Palii, convinciamocene, convincetevene. Altrimenti nulla avrebbe più senso. Il Palio non è olimpico, non è politicamente corretto, non lo sono i più prestigiosi in Italia, non dev'esserlo quello giovinazzese. Se si pensa ciò, diciamo subito che si è fuori strada. La "creatura" Touring è invece oggi più bella, dopo 31 edizioni, perché è sanguigna, è vera, è lavoro dei capitani per organizzare da mesi prima squadre forti, è voglia di vincere, è comunità che spinge atleti ed atlete ad andare oltre i propri limiti. Perché il Palio deve essere così: uno gode e gli altri rosicano fino alla prossima puntata. Uno vince, gli altri guardano. Non devono plaudire, devono guardare e far tesoro per far meglio il prossimo anno.
La dice lunga questa foto che abbiamo scelto: una giovane tifosa e portagonfalone del rione Sant'Agostino, Giorgia, piange con una sua amica di gioia dopo la vittoria allo sprint dei suoi compagni di avventura. Piange di gioia, l'abbiamo osservata a lungo, perché quello era il compimento di un periodo comunitario di crescita. Era lo "spannung" che aveva cambiato il finale del racconto, direbbero i letterati tedeschi, il colpo di scena che aveva mutato lo scenario. Collettivamente era arrivata "l'impresa". Collettivamente si era oltrepassato il traguardo.
E quindi non può essere "solo un gioco" la macchina creata e portata avanti dai volontari della Touring Juvenatium. Perché non lo è più da tempo per molte persone a Giovinazzo.
Il Gamberemo è, lo scriviamo sempre, un Palio dei Rioni, un Palio vivaddio, non altro. In cui si corre, si sgomita, si suda e si vuole vincere. Per i buoni sentimenti c'è sempre spazio dopo, in confessionale, magari nelle stesse parrocchie.
Le polemiche seguite all'arrivo le lasciamo al legittimo sfogo dei capitani (in discussione l'attraversamento continuo del percorso da parte di spettatori, inciviltà che non si riesce ad arrestare, ed alcuni errori presunti dei giudici di gara, accusati di non conoscere il regolamento), quelle social invece sono le solite di chi non fa e critica.
Serve invece, per una crescita ulteriore della bella manifestazione, una duplice presa di coscienza: la cittadinanza e l'amministrazione comunale devono supportare maggiormente gli organizzatori, sia economicamente, sia dal punto di vista della civiltà individuale. La Touring Juvenatium, che si batte tutto l'anno per la salvaguardia dell'identità giovinazzese con varie sfumature, deve dal canto suo prendere atto che quella creatura pensata 33 anni fa è oggi altra cosa, non più "artigianato locale", ma palio vero, rassegna che richiede di abbandonare l'idea del "volemose bene", puntando all'esaltazione del confronto e, qualche volta, dello scontro nei limiti del consentito.
Insomma, il politicamente corretto non fa bene al Gamberemo: questa manifestazione vivrà a lungo se, come già sta accadendo da qualche anno a questa parte, diverrà competizione aspra, lottata e perciò competizione che sa far piangere e abbracciare quando la si vince.
I palii non si corrono, son soliti dire a Siena, a Foligno o ad Ascoli (e lì qualcosa ne capiscono), ma si vincono o al massimo si fanno perdere alla rivale. Ecco, senza scomodare paragoni improponibili, se questo messaggio politicamente scorretto passerà, Giovinazzo avrà a lungo qualcosa di cui vantarsi al di fuori dei confini comunali. Altrimenti si resterà sempre nei ranghi polverosi della mera bega di paese da ricomporre con una pacca sulla spalla di tutti, senza meriti, senza distinzioni, ciò di cui il Gamberemo ci sembra non aver più bisogno da tempo.
Lunga vita al Gamberemo ed alle lacrime vere di chi ci crede. Il resto è melassa perbenista che è l'esatto contrario di un Palio.
Messa da parte questa circostanza, qualche riflessione a margine del Gamberemo una volta tanto vorremmo farla noi.
La rassegna che mette di fronte i cinque rioni cittadini è cresciuta negli anni e se non dovesse scontare qualche riottoso vento opposto, riuscirebbe a fare un ulteriore passo in avanti. Ci spieghiamo meglio: il Gamberemo è divenuto col tempo (33 anni dall'ideazione, 31 le edizioni disputate) un momento di vera aggregazione cittadina, di spontanea condivisione rionale, che esalta le peculiarità delle diverse zone della città, dando un senso al lavoro centrale delle parrocchie e dei loro oratorii. La Chiesa di nuovo al centro del villaggio. E va benissimo così.
È un caposaldo dell'estate giovinazzese, riunisce giovani e anziani, mette nel calderone della contesa spirito di appartenenza, amore per lo sport, volontà di esaltare il proprio quartiere, visto come luogo di vita vissuta, quotidiana.
Ma non può essere "solo un gioco", non è quella l'essenza profonda dei Palii, convinciamocene, convincetevene. Altrimenti nulla avrebbe più senso. Il Palio non è olimpico, non è politicamente corretto, non lo sono i più prestigiosi in Italia, non dev'esserlo quello giovinazzese. Se si pensa ciò, diciamo subito che si è fuori strada. La "creatura" Touring è invece oggi più bella, dopo 31 edizioni, perché è sanguigna, è vera, è lavoro dei capitani per organizzare da mesi prima squadre forti, è voglia di vincere, è comunità che spinge atleti ed atlete ad andare oltre i propri limiti. Perché il Palio deve essere così: uno gode e gli altri rosicano fino alla prossima puntata. Uno vince, gli altri guardano. Non devono plaudire, devono guardare e far tesoro per far meglio il prossimo anno.
La dice lunga questa foto che abbiamo scelto: una giovane tifosa e portagonfalone del rione Sant'Agostino, Giorgia, piange con una sua amica di gioia dopo la vittoria allo sprint dei suoi compagni di avventura. Piange di gioia, l'abbiamo osservata a lungo, perché quello era il compimento di un periodo comunitario di crescita. Era lo "spannung" che aveva cambiato il finale del racconto, direbbero i letterati tedeschi, il colpo di scena che aveva mutato lo scenario. Collettivamente era arrivata "l'impresa". Collettivamente si era oltrepassato il traguardo.
E quindi non può essere "solo un gioco" la macchina creata e portata avanti dai volontari della Touring Juvenatium. Perché non lo è più da tempo per molte persone a Giovinazzo.
Il Gamberemo è, lo scriviamo sempre, un Palio dei Rioni, un Palio vivaddio, non altro. In cui si corre, si sgomita, si suda e si vuole vincere. Per i buoni sentimenti c'è sempre spazio dopo, in confessionale, magari nelle stesse parrocchie.
Le polemiche seguite all'arrivo le lasciamo al legittimo sfogo dei capitani (in discussione l'attraversamento continuo del percorso da parte di spettatori, inciviltà che non si riesce ad arrestare, ed alcuni errori presunti dei giudici di gara, accusati di non conoscere il regolamento), quelle social invece sono le solite di chi non fa e critica.
Serve invece, per una crescita ulteriore della bella manifestazione, una duplice presa di coscienza: la cittadinanza e l'amministrazione comunale devono supportare maggiormente gli organizzatori, sia economicamente, sia dal punto di vista della civiltà individuale. La Touring Juvenatium, che si batte tutto l'anno per la salvaguardia dell'identità giovinazzese con varie sfumature, deve dal canto suo prendere atto che quella creatura pensata 33 anni fa è oggi altra cosa, non più "artigianato locale", ma palio vero, rassegna che richiede di abbandonare l'idea del "volemose bene", puntando all'esaltazione del confronto e, qualche volta, dello scontro nei limiti del consentito.
Insomma, il politicamente corretto non fa bene al Gamberemo: questa manifestazione vivrà a lungo se, come già sta accadendo da qualche anno a questa parte, diverrà competizione aspra, lottata e perciò competizione che sa far piangere e abbracciare quando la si vince.
I palii non si corrono, son soliti dire a Siena, a Foligno o ad Ascoli (e lì qualcosa ne capiscono), ma si vincono o al massimo si fanno perdere alla rivale. Ecco, senza scomodare paragoni improponibili, se questo messaggio politicamente scorretto passerà, Giovinazzo avrà a lungo qualcosa di cui vantarsi al di fuori dei confini comunali. Altrimenti si resterà sempre nei ranghi polverosi della mera bega di paese da ricomporre con una pacca sulla spalla di tutti, senza meriti, senza distinzioni, ciò di cui il Gamberemo ci sembra non aver più bisogno da tempo.
Lunga vita al Gamberemo ed alle lacrime vere di chi ci crede. Il resto è melassa perbenista che è l'esatto contrario di un Palio.