La foto dell'anno a Giovinazzo è di Giuseppe Palmiotto
Una piazza Vittorio Emanuele II deserta durante il lockdown è il simbolo dei nostri silenzi e della vita che cambia
venerdì 1 gennaio 2021
1.57
Per la nostra redazione è la foto emblema di questo maledettissimo 2020 a Giovinazzo. Uno scatto che sintetizza tutto quello che ci è capitato e lo fa attraverso l'occhio mai banale di Giuseppe Palmiotto.
Era il 12 marzo (noi la pubblicammo il 13) ed il distanziamento fisico era stato imposto da qualche giorno per Decreto del telegenico Presidente del Consiglio dei Ministri, nell'annus horribilis che ci avrebbe fatto scoprire più fragili, più indifesi e forse più soli.
Lo scatto è emblematico di ciò che ci ha tolto il virus e di quello che non siamo riusciti più a tornare a fare con serenità nemmeno nei mesi estivi, nonostante le tante, troppe trasgressioni di molti. Il Covid ci ha tolto la bellezza del ritrovarsi, dell'abbraccio con l'amico o col parente che non si vede da tempo; ci ha tolto l'aggregazione, i sorrisi spensierati, l'idea di un futuro migliore, lasciandoci angoscia nella migliore delle ipotesi e dolore per chi non c'è più. La vita era già cambiata quel 12 marzo, ma noi non eravamo (giustamente) pronti.
E l'agorà deserta, in cui in quell'articolo ci auguravamo di tornare a passeggiare, è l'emblema di un anno fatto di distanza, di pietre fredde, di monumenti belli osservati spesso da nessuno, di voci lontane e compresse tra quattro mura.
Lo scatto dice tutto, con la luce del giorno che va via e la sera che cala su quel grande contenitore di esistenze che è stato, è e sarà sempre per i giovinazzesi piazza Vittorio Emanuele II. Calava la notte del 12 marzo e le ombre del cuore divenivano più lunghe, quasi proiettate ad anelare un'alba che non è ancora sorta per davvero.
Lì vogliamo tornare ad essere, nel senso più profondo di esistere. Lì, in quella grande piazza, con lo struscio della domenica, con il vociare assordante delle Feste Patronali, con la bellezza degli spettacoli musicali. Vogliamo tornare ad afferrare la vita ed a gustarla pienamente, stanchi degli scarti che il 2020 ci ha gettato in pasto.
Era il 12 marzo (noi la pubblicammo il 13) ed il distanziamento fisico era stato imposto da qualche giorno per Decreto del telegenico Presidente del Consiglio dei Ministri, nell'annus horribilis che ci avrebbe fatto scoprire più fragili, più indifesi e forse più soli.
Lo scatto è emblematico di ciò che ci ha tolto il virus e di quello che non siamo riusciti più a tornare a fare con serenità nemmeno nei mesi estivi, nonostante le tante, troppe trasgressioni di molti. Il Covid ci ha tolto la bellezza del ritrovarsi, dell'abbraccio con l'amico o col parente che non si vede da tempo; ci ha tolto l'aggregazione, i sorrisi spensierati, l'idea di un futuro migliore, lasciandoci angoscia nella migliore delle ipotesi e dolore per chi non c'è più. La vita era già cambiata quel 12 marzo, ma noi non eravamo (giustamente) pronti.
E l'agorà deserta, in cui in quell'articolo ci auguravamo di tornare a passeggiare, è l'emblema di un anno fatto di distanza, di pietre fredde, di monumenti belli osservati spesso da nessuno, di voci lontane e compresse tra quattro mura.
Lo scatto dice tutto, con la luce del giorno che va via e la sera che cala su quel grande contenitore di esistenze che è stato, è e sarà sempre per i giovinazzesi piazza Vittorio Emanuele II. Calava la notte del 12 marzo e le ombre del cuore divenivano più lunghe, quasi proiettate ad anelare un'alba che non è ancora sorta per davvero.
Lì vogliamo tornare ad essere, nel senso più profondo di esistere. Lì, in quella grande piazza, con lo struscio della domenica, con il vociare assordante delle Feste Patronali, con la bellezza degli spettacoli musicali. Vogliamo tornare ad afferrare la vita ed a gustarla pienamente, stanchi degli scarti che il 2020 ci ha gettato in pasto.