La Chiesa come àncora di speranza nella precarietà

Le nuove generazioni allo sbando, le proteste dei lavoratori e dei sindacati: la diocesi riflette

lunedì 10 novembre 2014 15.04
A cura di Claudia Serrone
La Chiesa riflette sull'affermazione tanto discussa del nostro Premier «Il posto fisso non c'è più», che suona come una corda stonata difronte alle proteste, ai cortei e agli scioperi indetti dai sindacati a fianco dei lavoratori.

L'idea tanto difesa della flessibilità del lavoro negli ultimi anni sta raggiungendo eccessi significativi con licenziamenti frequenti, precarizzazioni contrattuali, cassa integrazione e settimane della solidarietà, pur in presenza dell'articolo 18 nello statuto dei lavoratori. I sindacati non stanno certo a guardare e la Cgil, spesso da sola, si espone a tutela dei lavoratori e dei giovani senza futuro. I dati del Cnel sul mercato del lavoro relativi al 2013-2014 evidenziano come ci sia più facilità di licenziamento in Italia piuttosto che in Germania, come i lavoratori moderni atipici e precari siano ormai sballottati da una prestazione lavorativa all'altra, con un alto rischio di rimanere disoccupati, come sia richiesto loro di spostarsi da una parte all'altra dell'Italia ma anche all'estero, come in poche parole si guarda al lavoratore, non come persona, ma come numero, come un oggetto, una pedina che si può manipolare, spostare e distruggere secondo proprio piacimento.

E la Chiesa in tutto questo si sente coinvolta e chiama se stessa a calarsi concretamente nella vita di questi giovani, neolaureati, appena diplomati indecisi se continuare o meno gli studi in attesa di entrare sempre con più ritardo nel mondo incerto del lavoro. Giovani non più tanto giovani tra i trenta e i quaranta anni, oggi in giacca e cravatta per un colloquio di cui chissà se mai arriverà risposta, domani in jeans e maglietta a distribuire volantini, a vendere porta a porta, a far fotocopie in ufficio, ad inseguire il sogno per cui si è studiato, ancora appoggiati ai genitori, con la paura di metter su famiglia e di non poter arrivare a fine mese. E se non dovesse bastare ci sono loro, i papà che da un giorno all'altro si ritrovano con un pugno di sabbia, a dover ricominciare da zero dopo che l'azienda ha chiuso i battenti e a doversi inventare di tutto per portare i soldi alla propria famiglia. Un dramma quello dell'assenza del lavoro che sembra non debba avere fine.

Sempre più volti nuovi si affacciano alle porte aperte delle chiese, delle Caritas cittadine con le richieste d'aiuto più varie, le bollette, gli affitti, gli alimenti, i vestiti, aiuti scolastici per libri e doposcuola ai figli. La Chiesa è lì, oggi ancor più vicina, nei vissuti di tutte queste tipologie di persone, a dar forza e speranza, ad accogliere le loro preoccupazioni, a donare sussidi concreti e messaggi d'amore e fiducia nel futuro.

Ma può essere solo la Chiesa? La politica, che dovrebbe preoccuparsene, invece latita, troppo impegnata a specchiarsi, troppo impegnata ad inseguire la finanza, il virtuale. E che per questo si allontana sempre di più dal reale e dai bisogni.