Il sapore antico della tradizione
La nostra fotogallery di alcuni capolavori di devozione a San Giuseppe
venerdì 20 marzo 2015
09.38
Intere famiglie per strada anche a tarda ora. Un peregrinare costante, poi una sosta in preghiera e la ripresa del cammino. La Solennità di San Giuseppe, da secoli, a Giovinazzo si sposa con la tradizione, con quel suo sapore antico, fatto di gesti semplici ed una fede particolare, ogni tanto intrecciata e forse confusa col folklore popolare.
Gli altarini allestiti nelle case dei privati o in garage sono il simbolo di un passato che non muore, nonostante le mille difficoltà nel portare avanti la tradizione, una secolarizzazione diffusa e la voglia sempre minore dei giovani di recuperare le proprie radici. Nell'articolo di Marzia Morva troverete il riferimento ad un altarino particolare, qui trovate una piccola fotogallery di alcuni simboli di questa tradizione. Da quello di via Crocifisso a quello di via Marziani, opera della famiglia Cannato, passando per l'altarino di via Tenente Piscitelli dei Ditillo-Amoia, fino ad arrivare ad uno dei più visitati, allestito in una casa privata, quella dei Nacci, in via Sottotenente De Ceglie. In quest'ultimo caso si tratta di una tradizione perpetrata da 40 anni, in cui è presente una statua del Santo di inizio secolo scorso. Ed alla morte dell'anziana nonna, figli e nipoti non si sono sottratti continuando la tradizione.
Il pane a treccia, il tarallino ed il cuore di pasta che non va mangiato, perché è peccato e perché preserverà la famiglia dal male. Sacro e profano che si intrecciano in un costante crescendo di emozioni. Emozioni di cui vi diamo testimonianza soprattutto per coloro i quali sono lontani da casa e ne sentiranno terribilmente la mancanza.
Nella testa e negli occhi i gruppi di persone che, in varie parti della città, ieri sera, hanno dato corpo ad un rito che abbatte le barriere sociali, restituendoci identità. Nelle orecchie, invece, resta il silenzio rotto dalle preghiere che sanno di antico. Meravigliosamente antico e meravigliosamente giovinazzese.
Gli altarini allestiti nelle case dei privati o in garage sono il simbolo di un passato che non muore, nonostante le mille difficoltà nel portare avanti la tradizione, una secolarizzazione diffusa e la voglia sempre minore dei giovani di recuperare le proprie radici. Nell'articolo di Marzia Morva troverete il riferimento ad un altarino particolare, qui trovate una piccola fotogallery di alcuni simboli di questa tradizione. Da quello di via Crocifisso a quello di via Marziani, opera della famiglia Cannato, passando per l'altarino di via Tenente Piscitelli dei Ditillo-Amoia, fino ad arrivare ad uno dei più visitati, allestito in una casa privata, quella dei Nacci, in via Sottotenente De Ceglie. In quest'ultimo caso si tratta di una tradizione perpetrata da 40 anni, in cui è presente una statua del Santo di inizio secolo scorso. Ed alla morte dell'anziana nonna, figli e nipoti non si sono sottratti continuando la tradizione.
Il pane a treccia, il tarallino ed il cuore di pasta che non va mangiato, perché è peccato e perché preserverà la famiglia dal male. Sacro e profano che si intrecciano in un costante crescendo di emozioni. Emozioni di cui vi diamo testimonianza soprattutto per coloro i quali sono lontani da casa e ne sentiranno terribilmente la mancanza.
Nella testa e negli occhi i gruppi di persone che, in varie parti della città, ieri sera, hanno dato corpo ad un rito che abbatte le barriere sociali, restituendoci identità. Nelle orecchie, invece, resta il silenzio rotto dalle preghiere che sanno di antico. Meravigliosamente antico e meravigliosamente giovinazzese.