Il rumore del ricordo
Il collettivo Polartis incanta con la lettura scenica "Il volo" in memoria dei martiri istriano-giuliano-dalmati
mercoledì 11 febbraio 2015
11.58
Quando si ricorda, si finisce per far rumore. Un rumore sano, che spazza via l'oblio e si trasforma in memoria storica autentica. È quanto accaduto ieri sera in sala San Felice, grazie alla lettura scenica "Il volo" a cura del collettivo Polartis, che ha celebrato, col sostegno dell'Assessorato alla Cultura del Comune di Giovinazzo, il "Giorno del Ricordo" delle vittime delle foibe e dell'esodo istriano-giuliano-dalmata.
Il collettivo Polartis ha mostrato ancora una volta di essere una brillante realtà teatrale e culturale giovinazzese, composta da compagnie ed associazioni che intendono promuovere la cultura in loco. In scena sei attori, a scandire col corpo e con le parole le tappe di un dramma dimenticato per oltre 60 anni dalla storiografia ufficiale, attraverso i racconti delle persone, uomini e donne annientati nel corpo e nello spirito, scampati per miracolo alla morte, testimoni dell'orrore slavo in quelle terre di confine. Fuori, una voce narrante a mettere in evidenza ragioni storiche e politiche che portarono a quel massacro ed al conseguente esodo. Il pregio de "Il volo" sta nel minimalismo scenico che ha lasciato spazio all'interpretazione ed alla passione, quella che gli attori hanno saputo comunicare ad un pubblico attento e commosso. «Non è stato un percorso semplice - ci hanno raccontato a fine serata - per via della difficoltà a reperire materiale ufficiale. Questa pagina di storia - hanno commentato - è stata cancellata dalla memoria nazionale per troppo tempo ed i nostri libri di scuola non ne parlavano fino a qualche anno fa».
Oggi, anche grazie al loro contributo, Giovinazzo può finalmente ricordare, conoscere e capire un dramma che ha toccato anche la nostra cittadina. Di quei 350.000 che lasciarono Fiume, Zara, Pola e tante località di quell'area, non furono infatti pochi i profughi istriani, giuliani e dalmati, fuggiti all'indomani del secondo conflitto mondiale dalla furia comunista titina, che giunsero su questa riva dell'Adriatico. Tra quella povera gente, rea soltanto di essere italiana, c'era l'undicenne Mario Bavaro, figlio di un giovinazzese ed una polesana, costretto a lasciare casa ed a dire addio alla sua infanzia. Anche lui, ieri sera, ha testimoniato una storia dimenticata, volutamente nascosta nei cassetti della vergogna nazionale e che vi racconteremo. Lui che ha saputo commuoversi e commuovere, dando spazio ad un ricordo semplice di quei momenti terribili. Semplice come la gente di quella terra, divenuta per decenni ingombrante peso sulle coscienze dell'inerte politica italiana. Semplice, come semplici erano le masserizie ammassata sulla motonave "Toscana", quella che li portò lontani dai luoghi del cuore. Per sempre.
L'Assessora alla Cultura, Marianna Paladino, in fase di presentazione ha posto l'accento sull'importanza della memoria «perché oltre ogni ideologia, la comprensione di quei fatti devono portarci a non commettere mai più quegli errori». In una terra come la Puglia, terra d'accoglienza oggi più di ieri, come ha ricordato il sindaco, Tommaso Depalma, la parola oblio non può avere asilo, pane quotidiano del negazionismo. Da questo punto fermo si deve ripartire per dire, come ricordato dal collettivo Polartis, «mai più!». E quel ricordo continuerà a far rumore.
Il collettivo Polartis ha mostrato ancora una volta di essere una brillante realtà teatrale e culturale giovinazzese, composta da compagnie ed associazioni che intendono promuovere la cultura in loco. In scena sei attori, a scandire col corpo e con le parole le tappe di un dramma dimenticato per oltre 60 anni dalla storiografia ufficiale, attraverso i racconti delle persone, uomini e donne annientati nel corpo e nello spirito, scampati per miracolo alla morte, testimoni dell'orrore slavo in quelle terre di confine. Fuori, una voce narrante a mettere in evidenza ragioni storiche e politiche che portarono a quel massacro ed al conseguente esodo. Il pregio de "Il volo" sta nel minimalismo scenico che ha lasciato spazio all'interpretazione ed alla passione, quella che gli attori hanno saputo comunicare ad un pubblico attento e commosso. «Non è stato un percorso semplice - ci hanno raccontato a fine serata - per via della difficoltà a reperire materiale ufficiale. Questa pagina di storia - hanno commentato - è stata cancellata dalla memoria nazionale per troppo tempo ed i nostri libri di scuola non ne parlavano fino a qualche anno fa».
Oggi, anche grazie al loro contributo, Giovinazzo può finalmente ricordare, conoscere e capire un dramma che ha toccato anche la nostra cittadina. Di quei 350.000 che lasciarono Fiume, Zara, Pola e tante località di quell'area, non furono infatti pochi i profughi istriani, giuliani e dalmati, fuggiti all'indomani del secondo conflitto mondiale dalla furia comunista titina, che giunsero su questa riva dell'Adriatico. Tra quella povera gente, rea soltanto di essere italiana, c'era l'undicenne Mario Bavaro, figlio di un giovinazzese ed una polesana, costretto a lasciare casa ed a dire addio alla sua infanzia. Anche lui, ieri sera, ha testimoniato una storia dimenticata, volutamente nascosta nei cassetti della vergogna nazionale e che vi racconteremo. Lui che ha saputo commuoversi e commuovere, dando spazio ad un ricordo semplice di quei momenti terribili. Semplice come la gente di quella terra, divenuta per decenni ingombrante peso sulle coscienze dell'inerte politica italiana. Semplice, come semplici erano le masserizie ammassata sulla motonave "Toscana", quella che li portò lontani dai luoghi del cuore. Per sempre.
L'Assessora alla Cultura, Marianna Paladino, in fase di presentazione ha posto l'accento sull'importanza della memoria «perché oltre ogni ideologia, la comprensione di quei fatti devono portarci a non commettere mai più quegli errori». In una terra come la Puglia, terra d'accoglienza oggi più di ieri, come ha ricordato il sindaco, Tommaso Depalma, la parola oblio non può avere asilo, pane quotidiano del negazionismo. Da questo punto fermo si deve ripartire per dire, come ricordato dal collettivo Polartis, «mai più!». E quel ricordo continuerà a far rumore.