Il giallo di Giovinazzo: Bonserio dà i natali a William di Alnwick e Turturro ne assume i connotati
Intervista all'esperto di storia locale che per primo provò a svelare il mistero legato alla figura raccontata ne "Il Nome della Rosa"
lunedì 11 marzo 2019
05.00
Ospitiamo eccezionalmente sulla nostra testata l'interessante intervista curata da Raffaella Maria Barbara Direnzo a Michele Bonserio, storico locale, colui che per primo cercò di far luce su quello che a buon diritto viene ormai definito "il giallo di Giovinazzo": Guglielmo da Baskerville, personaggio de "Il Nome della Rosa" di Umberto Eco, è una figura che coincide con William of Alnwick che fu Vescovo della nostra cittadina? L'intrigo è più che mai tornato d'attualità con la fiction Rai che sta riscuotendo grandissimo successo di pubblico e che vede come protagonista John Turturro, sangue giovinazzese nelle vene.
Ecco cosa ci ha raccontato l'appassionato di storia locale. (La redazione)
Che Giovinazzo avesse una Diocesi piccola ma inaspettatamente entusiasmante emerge dai tanti preziosi ritrovamenti fatti nel corso dei secoli. Ricordiamo, ad esempio, che la tradizione popolare, sulla miracolosa Icona della Madonna di Corsignano, ritiene che nel 1188 il capitano francese, Gereteo Alesbojsne in segno di stima e di tangibile riconoscenza verso coloro che lo avevano aiutato a riacquistare le forze, donò un Dipinto di Madonna con bambino preso dalla chiesa maggiore di Edessa. Quando la realtà si intramaglia con i racconti popolari, a dare un senso a tutto intervengono le fonti storiche. Lei, Direttore Bonserio, da quarant'anni responsabile dell'archivio, da che cosa crede sia dipesa questa centralità della nostra incantevole Giovinazzo?
Innanzitutto la città è antichissima. Le testimonianze archeologiche iniziano dal 1961 – Dolmen San Silvestro - e, durante i felicissimi anni '80 del passato secolo, hanno rivelato grandi sorprese circa i primi insediamenti umani sul nostro territorio costiero. Nel gennaio del 1984 individuai un'area archeologica in pieno centro urbano antico, in Piazza San Salvatore, quasi al limite delle antiche mura urbiche cittadine. L'insediamento archeologico è risalente all'età del bronzo, quindi coevo allo stesso Dolmen San Silvestro, anch'esso dello stesso periodo dell'età del bronzo o risalente a circa 15-20 secoli prima di Cristo. Quindi siamo tra il XV e il XX secolo avanti Cristo.
Possono questi eventi incrementare il turismo di Giovinazzo?
Il turismo di Giovinazzo credo vada incrementato in parallelo con la cultura che va aiutata e sostenuta. Con orgoglio posso dire che con spirito di volontariato ho salvato l'archivio diocesano della nostra antica Cattedrale: tutta questa realtà documentaria è stata sul punto di essere trasferita nella vicina Molfetta, diocesi dalla quale noi dipendiamo. La nostra chiesa è antichissima. Nel XI secolo abbiamo testimonianze dei primi Vescovi: il Vescovo Grimoaldo della prima metà del XI secolo a seguire fino alla metà dell'800, allorquando Giovinazzo perde la sua sede autonoma vescovile e viene annessa nella vicina diocesi di Molfetta. Ci tengo a precisare che dipendeva dalla giurisdizione del nostro Vescovo anche la vicina città di Terlizzi che, solo in seguito, ha anche raggiunto una certa autonomia dotata di arcipretura quasi mitrata nella metà del Settecento. La nostra è un'antica terra, una terra marinara che ha vissuto il passaggio di tanti popoli, tante testimonianze. Purtroppo, moltissime prove archeologiche sono state perse, nel corso del tempo, per la non curanza delle istituzioni pubbliche e per un certo analfabetismo culturale dilagante. Ancora oggi siamo indietro di lunghissimi decenni perché purtroppo la cultura, come si dice volgarmente, non dà da mangiare a nessuno. La vera cultura, per me, è quella che transita tra gli archivi, le biblioteche e i musei. Tutto il resto è spettacolo fine a se stesso. La cultura vera naviga e transita attraverso i contenitori locali che dovrebbero essere incrementati ad iniziare dai musei, all'apertura degli archivi, all'apertura delle biblioteche dotate di personale qualificato e di materiale all'avanguardia. Purtroppo questo ancora oggi non avviene.
Si ha la possibilità di visitare e visionare le pergamene dell'archivio?
Sì. L'archivio è in via Vico Marco Polo, a ridosso della Cattedrale. Se si giunge con un mezzo privato conviene parcheggiare fuori dal centro storico poichè zona a traffico limitato. Assicuro la consultazione proprio il sabato dalle 17:00 in poi e la domenica dalle 10:00 in poi, per agevolare coloro i quali studiano o lavorano in settimana.
Con una sola pergamena, quella pergamena, è cambiato tutto. Che sensazione ha provato a dare un volto a Guglielmo da Barkerville con quel documento che suggella un mistero?
Guardi, la sensazione che provai nel 2002 non riesco facilmente a descriverla. Fu quasi un sogno che diventa realtà. Dico questo perché nel 1989, insieme al compianto storico di Terlizzi Don Gaetano Valente, facevamo gli onori di casa alla truppa televisiva guidata dal Dottor Tito Manlio Altomare, apportando notizie su frate Guglielmo di Alnwich vescovo di Giovinazzo. In quella circostanza, nell'intervista dichiarai che fino a quel momento non ci fossero prove che accertassero la presenza di Frate Guglielmo di Alnwich nella nostra città, anche se la storiografia, la cronotassi dell'episcopato nazionale da sempre attestano la presenza di un vescovo inglese francescano Guglielmo di Alnwich, vescovo di Giovinazzo tra il 1330 il 1333. A Giovinazzo, nel 1989, non avevamo una prova documentaria. Quando nel 1979 iniziai - con la Proloco - l'avventura di salvare il superstite archivio diocesano della cattedrale, le stesse pergamene erano arrotolate ed erano in grave stato di conservazione. Tant'è vero che pochi anni dopo cominciai a preoccuparmi seriamente di assicurare con urgenza il loro restauro, poi avvenuto gradualmente a cura dello Stato e grazie soprattutto alla collaborazione dell'archivista generale dalla diocesi Don Luigi e Michele De Palma, ottimo studioso oltre che Docente universitario presso la Pontificia Università Lateranense di Roma. Colgo anche l'occasione per ringraziare la Dott.ssa Massafra, allora sovraintendente archivistica per la Puglia e la Dott.ssa Carla Palma, funzionaria, per la loro professionalità palesatasi durante la collaborazione per il lavoro sul fondo delle pergamene della De Gemmis di Bari presso la Soprintendenza archivistica.
Una serie di circostanze hanno poi fatto sì che ho dovuto rivedere e riesaminare le pergamene restaurate. È stato così che ho riscontrato su moltissime pergamene degli errori di lettura delle date cronologiche riportate dagli storici, dagli studiosi e da coloro che si erano occupati prima di me dell'archivio. Nel 2002, finalmente, la mia attenzione scivola sulla famosa e misteriosa pergamena, la numero 48 del fondo dell'archivio capitolare della cattedrale, che ha regalato ai miei occhi il nome di Frate Guglielmo. Misteriosa poiché la pergamena del 1333 è priva del sigillo del vicario vescovile di Frate Guglielmo, Simon de Anglia, Simone d'Inghilterra. Prova che lo stesso frate Guglielmo, per i suoi impegni gravosi, spesso e volentieri era in Napoli o in altre parti d'Italia, motivo per cui dovette essere coadiuvato dal suo fedele e competente Vicario vescovile. Siamo nel XIV secolo, periodo storico abbastanza turbolento. Quindi, nel 2002 la pergamena viene letta attentamente da me, e la valuto, purtroppo, priva non solo del sigillo pendente, ma, altro mistero emergente, è l'indicazione solamente dell'anno – 1333 - e la mancanza del numerale del mese e del giorno del mese. Siamo quasi concordemente d'accordo con altri studiosi che hanno visionato la pergamena che sia da datare tra il primo gennaio e non oltre il mese di marzo del 1333, perché stando alle risultanze ed alle documentazioni esibite da don Gaetano Valente e da altri autorevoli studiosi, il nostro frate Guglielmo di Alnwich, pare sia, in quel tempo, ad Avignone dove proclama il suo ultimo sermone nella stessa città francese il 7 marzo del 1333. Dopodiché, è il caso di dire, silenzio tombale. La notizia ha fatto clamore anche se, a onor del vero, già dal 1999, molti studiosi hanno ritenuto accostare - ed io non oso contraddirli - la figura del nostro vescovo Guglielmo di Alnwich al Guglielmo immaginario dal famoso romanzo di Umberto Eco.
Perché questo accostamento?
Il romanzo di Umberto Eco è ambientato nel 1327, ben 3 anni prima che il nostro Guglielmo di Alnwich diventa vescovo della nostra antica piccola diocesi. Fu destinato a Giovinazzo grazie all'intercessione di Re Roberto D'Angiò morto vicino ai padri francescani. Questo è un elemento storico ancora tutto da acclarare. Io, essendo un archivista paleografo, se non vedo un documento non oso dare alcuna conferma a ciò che sia la leggenda, sia storici in precedenza, hanno sostenuto. Comunque l'accostamento è fortissimo tra i due frati inglesi sia per la calatura del personaggio, sia anche per la vivacità e la pericolosità dello stesso, il più delle volte avverso con il suo movimentato muoversi nei meandri della storia e della chiesa cattolica contro l'ufficialità della chiesa del XIV secolo.
L'altra coincidenza: nel luglio del 2010 ebbi a conoscere personalmente John Turturro, in visita del tutto privata, accompagnato dai suoi parenti. Io fui invitato a fare gli onori di casa - diversi i servizi della Rai di cui mi sono occupato - da una sua cugina, nonché mia collega d'ufficio del Comune di Giovinazzo. John Turturro non solo rimase incantato dalla città di suo padre Nicola, ma naturalmente gli accennai molto brevemente del Frate Guglielmo e dalla pergamena che avevo rinvenuto. Spero d'incontrarlo nella sua prossima visita e di mostrargli questa famosa pergamena, la numero 48 del fondo capitolare, per dimostrargli che il frate Guglielmo di Alnwich, citato nel romanzo Il nome della rosa, non è un personaggio inventato ma è un personaggio realmente esistito. Questo ha creato grande imbarazzo tra gli studiosi e docenti universitari e solo nell'archivio segreto del Vaticano si potrebbero trovare ulteriori riscontri.
Lo scrittore Umberto Eco, in uno dei passi del romanzo afferma che «Il bene di un libro sta nell'essere letto. Un libro è fatto di segni che parlano di altri segni, i quali a loro volta parlano delle cose. Senza un occhio che lo legga, un libro reca segni che non producono concetti, e quindi è muto». Quando comincia questa trasformazione da carta a vita?
L'attenzione per il medioevo per tutte le ere e le epoche antecedenti è stata minima, perché come le dicevo poc'anzi le istituzioni, i poteri, non hanno mai dato grande attenzione soprattutto agli archivi. Questi nascondono informazioni, notizie e riflessioni abbastanza pericolose. Mi riferisco ai fatti della storia che sono stati manipolati e trasformati soprattutto dal 600, ricco di tanti falsi storici, in poi.
Nel cuore della mia antichissima cittadina a me interessa affondare sulle origini, su personaggi che possano ulteriormente evidenziare gli antichi fasti della Giovinazzo di mare che purtroppo è stata dimenticata e offesa. Penso che non sempre un libro dica la verità: la storia va studiata attentamente attraverso le sue fonti, in primis attraverso l'archeologia e attraverso gli archivi. Purtroppo tutti sappiamo come la cultura in Italia venga gestita, offesa e trasformata in spettacolo. Il mio compianto maestro Aldo Moro diceva sempre "Ragazzi il nostro passato è il nostro futuro", ma questo noi ancora oggi non l'abbiamo capito.
Come ha cambiato la sua vita il lavoro in archivio?
Da circa 2 anni sono in pensione dal Comune di Giovinazzo dove ho prestato la mia opera, inizialmente come archivista. E siccome gli archivi "non sono necessari" per le istituzioni, mi assegnarono l'ufficio cultura e turismo, che ho gestito fino a maggio del 2017. Purtroppo, devo aprire una parentesi, l'archivio comunale che avevo parzialmente salvato giace abbandonato. Se non fosse stato per il nostro ultimo Arcidiacono della cattedrale, Monsignor Nicola Melone, sarebbe andato perduto. Fu costui che nel lontano 1979, di concerto con il Vescovo dell'epoca Monsignor Garzia, mi affidò l'incarico di portare avanti quest'azione di recupero, che inizialmente vide anche il sostegno e la collaborazione attiva della Pro Loco di Giovinazzo. Poi ho gestito da solo il lavoro, essendo in possesso del Diploma di Archivistica e Paleografia diplomatica - da me conseguito nel 1979 -.
L'avventura continua ancora oggi. Siamo a circa 40 anni da quell'inizio. Ho ripagato ogni mio sacrificio ampiamente con la gioia di tante notizie inedite regalate ai miei concittadini. L'unica soddisfazione è proprio quella di aver affondato lo studio e aver impegnato il mio tempo utilmente per conoscere meglio le origini della nostra antica città.
La Cattedrale è la mia parrocchia sin dalla nascita. Abito a due passi dalla cattedrale, a due passi dall' archivio, il bunker nel quale mi nascondo ed in cui ho avuto la fortuna di incontrare e di accogliere Studiosi - anche stranieri - e Docenti Universitari. Molte sono state le Tesi di Laurea e le Tesine per cui ho collaborato alla stesura. In questi ultimissimi anni noto, però, una crisi degli studi. Si è persa quella vivacità universitaria di un tempo, allorquando gli stessi Docenti venivano da me per essere informati su eventi storici o per aiutare i loro laureandi. Purtroppo c'è questa crisi della cultura, forse perché, ribadisco, essa non dà da mangiare a nessuno, se non a pochissimi. Sarà questo il motivo per il quale gli archivi oggi sono scarsamente frequentati.
Qual è l'aspetto del suo lavoro che le piace di più? Qual è la lezione più importante che ha imparato?
Il volontariato. Penso sia l'unica grande ricchezza che sta sostenendo ancora oggi sia l'ambito civile, sia l'ambito culturale della nostra bellissima Italia. Se non fosse per il volontariato molte deficienze sarebbero incolmabili dalle stesse istituzioni pubbliche che purtroppo non sempre vivono la realtà del proprio territorio. Gli stessi politici scarsamente sono interessati alle nostre realtà. Senza il volontariato avremmo perduto quello che ci è stato donato e trasmesso dai nostri antenati.
Cito ancora un passo de "Il Nome della Rosa": "L'amore vero vuole il bene dell'amato". "Non sarà che Bencio vuole il bene dei suoi libri (ché oramai sono anche suoi) e pensa che il loro bene sia restare lontano da mani rapaci?". Le chiedo di cosa piacerebbe si occupassero i ragazzi di Giovinazzo. Apprezziamo la presa di coscienza dei ragazzi che hanno imbrattato il muro nelle vicinanze di Arco Cattese, nel borgo antico di Giovinazzo, poiché la storia, che scorre sotto i nostri occhi anche su mura – che per taluni parrebbero tumuli anonimi- va salvaguardata. Chi salverà l'italia dalla dimenticanza?
Guardi, Lei ha posto una domanda molto forte. Io ci vivo dalla nascita nel mio bellissimo centro storico. Non dico che conosco tutte le pietre, tutti i palazzi, ma attraverso i documenti e la mia puntuale visita quotidiana, mi rendo conto che Giovinazzo andrebbe maggiormente tutelata.
Devo anche riconoscere che la scuola non favorisce granché gli studi. Un tempo era motivo di grande gioia accompagnare le scolaresche in visita nel centro storico, a Dolmen, in cattedrale o anche nello stesso archivio per far conoscere i nostri beni da conoscere, studiare e tutelare. Qualche anno fa ho fatto qualche tentativo con il Liceo Classico Matteo Spinelli della nostra provincia: purtroppo non mi hanno dato quello che speravo, salvo qualche giovane che viene saltuariamente a fare delle ricerche.
Per entrare in archivio bisogna conoscere il latino che è stato vigliaccamente emarginato dalla legislazione italiana a livello scolastico. Errore gravissimo: per leggere un documento antecedente al 700 bisogna essere in possesso di cognizioni didattiche e scientifiche particolari. Mi riferisco all'archivistica speciale, alla paleografia latina, alla storia della Chiesa, alla conoscenza del diritto, alla storia cittadina che è scarsamente studiata a livello scolastico.
Tengo a precisare che nessuno come me ha lavorato gratuitamente per 40 anni, grazie alla mia passione, alla conoscenza di discipline umanistiche – essendo Diplomato al Liceo Classico di Giovinazzo, Laureato in Giurisprudenza ed in possesso del Diploma in archivistica, paleografia diplomatica – e grazie alla mia sensibilità di cittadino del centro storico. Tutte queste componenti mi hanno portato a resistere nel tempo all'indifferenza del nuovo terzo millennio.
La storia rimane. Ma che innovazione apporterebbe in archivio?
La storia è tutta da riscrivere: la storia che ci hanno fatto studiare sui testi è minimamente rispondente alla vera storia, che è quella ancora sepolta negli archivi di stato degli arti ecclesiastici. Molti archivi privati nascondono verità che la storia ufficiale forse non saprà mai.
Bisognerebbe ritornare a studiare negli archivi, ma ciò comporta tempo, sacrifici e soprattutto possesso di conoscenza: la Sapienza si fa trovare solo da coloro i quali la cercano. La nostra bellissima Italia è un patrimonio mondiale da riscoprire.
Occorre la complicità della scuola e delle istituzioni locali ma soprattutto un ritorno all'amore verso il libro, verso la carta. Stiamo dimenticando che la storia vive attraverso le pergamene, attraverso l'archeologia; discipline che purtroppo scompariranno se non ci sarà il coraggio di aiutare gli archivi ecclesiastici, di dotarli di migliori strutture, ma soprattutto di avvicinare i giovani alla gioia dello studio gratificante perché frutto di molte notizie inedite su personaggi ma soprattutto su avvenimenti della nostra Chiesa e della nostra bella città.
La fiction "Il Nome della Rosa" attraverso otto episodi in quattro puntate attualmente in proiezione sulla prima rete nazionale, incanta il telespettatore – grazie ad una impeccabile regia di Jean-Jacques Annaud ed alle incredibili doti attoriali di Jhon Turturro. Costui ne da i connotati ma per molti giovinazzesi Lei, Bonserio, è un tangibile Guglielmo da Baskerville.
Non posso dire che Guglielmo di Alnwich sia un'unica persona con il Guglielmo di Baskerville, personaggio immaginario frutto della grandezza intellettuale, culturale e storica di Umberto Eco che purtroppo, in illo tempore, per i suoi impegni lavorativi, non ho avuto il piacere di conoscere, malgrado fosse stato invitato da Don Gaetano Valente a venire a Giovinazzo. Grazie a costui, dal 1989, attraverso la RAI con il servizio di cronaca italiana e le notizie trasmesse a livello di TG Puglia della terza rete, abbiamo fatto conoscere il nostro Guglielmo di Alnwich – Guglielmo l'inglese -, citato per due volte da Umberto Eco. Il vivace accostamento storico è possibile ed è bene parlarne. Molti studiosi, frati francescani ed intellettuali stranieri concordano nel ritenere che forse, ma non di certo, il nostro Guglielmo di Alnwich possa essere anche identificabile e felicemente accostato a Guglielmo di Baskerville, personaggio de Il Nome della rosa. Bisogneremmo di ulteriori studi presso l'archivio segreto del Vaticano e anche presso la stessa curia di Avignone dove si potrebbe anche scoprire come è morto, con precisione, il nostro Guglielmo di Alnwich.
Ecco cosa ci ha raccontato l'appassionato di storia locale. (La redazione)
Che Giovinazzo avesse una Diocesi piccola ma inaspettatamente entusiasmante emerge dai tanti preziosi ritrovamenti fatti nel corso dei secoli. Ricordiamo, ad esempio, che la tradizione popolare, sulla miracolosa Icona della Madonna di Corsignano, ritiene che nel 1188 il capitano francese, Gereteo Alesbojsne in segno di stima e di tangibile riconoscenza verso coloro che lo avevano aiutato a riacquistare le forze, donò un Dipinto di Madonna con bambino preso dalla chiesa maggiore di Edessa. Quando la realtà si intramaglia con i racconti popolari, a dare un senso a tutto intervengono le fonti storiche. Lei, Direttore Bonserio, da quarant'anni responsabile dell'archivio, da che cosa crede sia dipesa questa centralità della nostra incantevole Giovinazzo?
Innanzitutto la città è antichissima. Le testimonianze archeologiche iniziano dal 1961 – Dolmen San Silvestro - e, durante i felicissimi anni '80 del passato secolo, hanno rivelato grandi sorprese circa i primi insediamenti umani sul nostro territorio costiero. Nel gennaio del 1984 individuai un'area archeologica in pieno centro urbano antico, in Piazza San Salvatore, quasi al limite delle antiche mura urbiche cittadine. L'insediamento archeologico è risalente all'età del bronzo, quindi coevo allo stesso Dolmen San Silvestro, anch'esso dello stesso periodo dell'età del bronzo o risalente a circa 15-20 secoli prima di Cristo. Quindi siamo tra il XV e il XX secolo avanti Cristo.
Possono questi eventi incrementare il turismo di Giovinazzo?
Il turismo di Giovinazzo credo vada incrementato in parallelo con la cultura che va aiutata e sostenuta. Con orgoglio posso dire che con spirito di volontariato ho salvato l'archivio diocesano della nostra antica Cattedrale: tutta questa realtà documentaria è stata sul punto di essere trasferita nella vicina Molfetta, diocesi dalla quale noi dipendiamo. La nostra chiesa è antichissima. Nel XI secolo abbiamo testimonianze dei primi Vescovi: il Vescovo Grimoaldo della prima metà del XI secolo a seguire fino alla metà dell'800, allorquando Giovinazzo perde la sua sede autonoma vescovile e viene annessa nella vicina diocesi di Molfetta. Ci tengo a precisare che dipendeva dalla giurisdizione del nostro Vescovo anche la vicina città di Terlizzi che, solo in seguito, ha anche raggiunto una certa autonomia dotata di arcipretura quasi mitrata nella metà del Settecento. La nostra è un'antica terra, una terra marinara che ha vissuto il passaggio di tanti popoli, tante testimonianze. Purtroppo, moltissime prove archeologiche sono state perse, nel corso del tempo, per la non curanza delle istituzioni pubbliche e per un certo analfabetismo culturale dilagante. Ancora oggi siamo indietro di lunghissimi decenni perché purtroppo la cultura, come si dice volgarmente, non dà da mangiare a nessuno. La vera cultura, per me, è quella che transita tra gli archivi, le biblioteche e i musei. Tutto il resto è spettacolo fine a se stesso. La cultura vera naviga e transita attraverso i contenitori locali che dovrebbero essere incrementati ad iniziare dai musei, all'apertura degli archivi, all'apertura delle biblioteche dotate di personale qualificato e di materiale all'avanguardia. Purtroppo questo ancora oggi non avviene.
Si ha la possibilità di visitare e visionare le pergamene dell'archivio?
Sì. L'archivio è in via Vico Marco Polo, a ridosso della Cattedrale. Se si giunge con un mezzo privato conviene parcheggiare fuori dal centro storico poichè zona a traffico limitato. Assicuro la consultazione proprio il sabato dalle 17:00 in poi e la domenica dalle 10:00 in poi, per agevolare coloro i quali studiano o lavorano in settimana.
Con una sola pergamena, quella pergamena, è cambiato tutto. Che sensazione ha provato a dare un volto a Guglielmo da Barkerville con quel documento che suggella un mistero?
Guardi, la sensazione che provai nel 2002 non riesco facilmente a descriverla. Fu quasi un sogno che diventa realtà. Dico questo perché nel 1989, insieme al compianto storico di Terlizzi Don Gaetano Valente, facevamo gli onori di casa alla truppa televisiva guidata dal Dottor Tito Manlio Altomare, apportando notizie su frate Guglielmo di Alnwich vescovo di Giovinazzo. In quella circostanza, nell'intervista dichiarai che fino a quel momento non ci fossero prove che accertassero la presenza di Frate Guglielmo di Alnwich nella nostra città, anche se la storiografia, la cronotassi dell'episcopato nazionale da sempre attestano la presenza di un vescovo inglese francescano Guglielmo di Alnwich, vescovo di Giovinazzo tra il 1330 il 1333. A Giovinazzo, nel 1989, non avevamo una prova documentaria. Quando nel 1979 iniziai - con la Proloco - l'avventura di salvare il superstite archivio diocesano della cattedrale, le stesse pergamene erano arrotolate ed erano in grave stato di conservazione. Tant'è vero che pochi anni dopo cominciai a preoccuparmi seriamente di assicurare con urgenza il loro restauro, poi avvenuto gradualmente a cura dello Stato e grazie soprattutto alla collaborazione dell'archivista generale dalla diocesi Don Luigi e Michele De Palma, ottimo studioso oltre che Docente universitario presso la Pontificia Università Lateranense di Roma. Colgo anche l'occasione per ringraziare la Dott.ssa Massafra, allora sovraintendente archivistica per la Puglia e la Dott.ssa Carla Palma, funzionaria, per la loro professionalità palesatasi durante la collaborazione per il lavoro sul fondo delle pergamene della De Gemmis di Bari presso la Soprintendenza archivistica.
Una serie di circostanze hanno poi fatto sì che ho dovuto rivedere e riesaminare le pergamene restaurate. È stato così che ho riscontrato su moltissime pergamene degli errori di lettura delle date cronologiche riportate dagli storici, dagli studiosi e da coloro che si erano occupati prima di me dell'archivio. Nel 2002, finalmente, la mia attenzione scivola sulla famosa e misteriosa pergamena, la numero 48 del fondo dell'archivio capitolare della cattedrale, che ha regalato ai miei occhi il nome di Frate Guglielmo. Misteriosa poiché la pergamena del 1333 è priva del sigillo del vicario vescovile di Frate Guglielmo, Simon de Anglia, Simone d'Inghilterra. Prova che lo stesso frate Guglielmo, per i suoi impegni gravosi, spesso e volentieri era in Napoli o in altre parti d'Italia, motivo per cui dovette essere coadiuvato dal suo fedele e competente Vicario vescovile. Siamo nel XIV secolo, periodo storico abbastanza turbolento. Quindi, nel 2002 la pergamena viene letta attentamente da me, e la valuto, purtroppo, priva non solo del sigillo pendente, ma, altro mistero emergente, è l'indicazione solamente dell'anno – 1333 - e la mancanza del numerale del mese e del giorno del mese. Siamo quasi concordemente d'accordo con altri studiosi che hanno visionato la pergamena che sia da datare tra il primo gennaio e non oltre il mese di marzo del 1333, perché stando alle risultanze ed alle documentazioni esibite da don Gaetano Valente e da altri autorevoli studiosi, il nostro frate Guglielmo di Alnwich, pare sia, in quel tempo, ad Avignone dove proclama il suo ultimo sermone nella stessa città francese il 7 marzo del 1333. Dopodiché, è il caso di dire, silenzio tombale. La notizia ha fatto clamore anche se, a onor del vero, già dal 1999, molti studiosi hanno ritenuto accostare - ed io non oso contraddirli - la figura del nostro vescovo Guglielmo di Alnwich al Guglielmo immaginario dal famoso romanzo di Umberto Eco.
Perché questo accostamento?
Il romanzo di Umberto Eco è ambientato nel 1327, ben 3 anni prima che il nostro Guglielmo di Alnwich diventa vescovo della nostra antica piccola diocesi. Fu destinato a Giovinazzo grazie all'intercessione di Re Roberto D'Angiò morto vicino ai padri francescani. Questo è un elemento storico ancora tutto da acclarare. Io, essendo un archivista paleografo, se non vedo un documento non oso dare alcuna conferma a ciò che sia la leggenda, sia storici in precedenza, hanno sostenuto. Comunque l'accostamento è fortissimo tra i due frati inglesi sia per la calatura del personaggio, sia anche per la vivacità e la pericolosità dello stesso, il più delle volte avverso con il suo movimentato muoversi nei meandri della storia e della chiesa cattolica contro l'ufficialità della chiesa del XIV secolo.
L'altra coincidenza: nel luglio del 2010 ebbi a conoscere personalmente John Turturro, in visita del tutto privata, accompagnato dai suoi parenti. Io fui invitato a fare gli onori di casa - diversi i servizi della Rai di cui mi sono occupato - da una sua cugina, nonché mia collega d'ufficio del Comune di Giovinazzo. John Turturro non solo rimase incantato dalla città di suo padre Nicola, ma naturalmente gli accennai molto brevemente del Frate Guglielmo e dalla pergamena che avevo rinvenuto. Spero d'incontrarlo nella sua prossima visita e di mostrargli questa famosa pergamena, la numero 48 del fondo capitolare, per dimostrargli che il frate Guglielmo di Alnwich, citato nel romanzo Il nome della rosa, non è un personaggio inventato ma è un personaggio realmente esistito. Questo ha creato grande imbarazzo tra gli studiosi e docenti universitari e solo nell'archivio segreto del Vaticano si potrebbero trovare ulteriori riscontri.
Lo scrittore Umberto Eco, in uno dei passi del romanzo afferma che «Il bene di un libro sta nell'essere letto. Un libro è fatto di segni che parlano di altri segni, i quali a loro volta parlano delle cose. Senza un occhio che lo legga, un libro reca segni che non producono concetti, e quindi è muto». Quando comincia questa trasformazione da carta a vita?
L'attenzione per il medioevo per tutte le ere e le epoche antecedenti è stata minima, perché come le dicevo poc'anzi le istituzioni, i poteri, non hanno mai dato grande attenzione soprattutto agli archivi. Questi nascondono informazioni, notizie e riflessioni abbastanza pericolose. Mi riferisco ai fatti della storia che sono stati manipolati e trasformati soprattutto dal 600, ricco di tanti falsi storici, in poi.
Nel cuore della mia antichissima cittadina a me interessa affondare sulle origini, su personaggi che possano ulteriormente evidenziare gli antichi fasti della Giovinazzo di mare che purtroppo è stata dimenticata e offesa. Penso che non sempre un libro dica la verità: la storia va studiata attentamente attraverso le sue fonti, in primis attraverso l'archeologia e attraverso gli archivi. Purtroppo tutti sappiamo come la cultura in Italia venga gestita, offesa e trasformata in spettacolo. Il mio compianto maestro Aldo Moro diceva sempre "Ragazzi il nostro passato è il nostro futuro", ma questo noi ancora oggi non l'abbiamo capito.
Come ha cambiato la sua vita il lavoro in archivio?
Da circa 2 anni sono in pensione dal Comune di Giovinazzo dove ho prestato la mia opera, inizialmente come archivista. E siccome gli archivi "non sono necessari" per le istituzioni, mi assegnarono l'ufficio cultura e turismo, che ho gestito fino a maggio del 2017. Purtroppo, devo aprire una parentesi, l'archivio comunale che avevo parzialmente salvato giace abbandonato. Se non fosse stato per il nostro ultimo Arcidiacono della cattedrale, Monsignor Nicola Melone, sarebbe andato perduto. Fu costui che nel lontano 1979, di concerto con il Vescovo dell'epoca Monsignor Garzia, mi affidò l'incarico di portare avanti quest'azione di recupero, che inizialmente vide anche il sostegno e la collaborazione attiva della Pro Loco di Giovinazzo. Poi ho gestito da solo il lavoro, essendo in possesso del Diploma di Archivistica e Paleografia diplomatica - da me conseguito nel 1979 -.
L'avventura continua ancora oggi. Siamo a circa 40 anni da quell'inizio. Ho ripagato ogni mio sacrificio ampiamente con la gioia di tante notizie inedite regalate ai miei concittadini. L'unica soddisfazione è proprio quella di aver affondato lo studio e aver impegnato il mio tempo utilmente per conoscere meglio le origini della nostra antica città.
La Cattedrale è la mia parrocchia sin dalla nascita. Abito a due passi dalla cattedrale, a due passi dall' archivio, il bunker nel quale mi nascondo ed in cui ho avuto la fortuna di incontrare e di accogliere Studiosi - anche stranieri - e Docenti Universitari. Molte sono state le Tesi di Laurea e le Tesine per cui ho collaborato alla stesura. In questi ultimissimi anni noto, però, una crisi degli studi. Si è persa quella vivacità universitaria di un tempo, allorquando gli stessi Docenti venivano da me per essere informati su eventi storici o per aiutare i loro laureandi. Purtroppo c'è questa crisi della cultura, forse perché, ribadisco, essa non dà da mangiare a nessuno, se non a pochissimi. Sarà questo il motivo per il quale gli archivi oggi sono scarsamente frequentati.
Qual è l'aspetto del suo lavoro che le piace di più? Qual è la lezione più importante che ha imparato?
Il volontariato. Penso sia l'unica grande ricchezza che sta sostenendo ancora oggi sia l'ambito civile, sia l'ambito culturale della nostra bellissima Italia. Se non fosse per il volontariato molte deficienze sarebbero incolmabili dalle stesse istituzioni pubbliche che purtroppo non sempre vivono la realtà del proprio territorio. Gli stessi politici scarsamente sono interessati alle nostre realtà. Senza il volontariato avremmo perduto quello che ci è stato donato e trasmesso dai nostri antenati.
Cito ancora un passo de "Il Nome della Rosa": "L'amore vero vuole il bene dell'amato". "Non sarà che Bencio vuole il bene dei suoi libri (ché oramai sono anche suoi) e pensa che il loro bene sia restare lontano da mani rapaci?". Le chiedo di cosa piacerebbe si occupassero i ragazzi di Giovinazzo. Apprezziamo la presa di coscienza dei ragazzi che hanno imbrattato il muro nelle vicinanze di Arco Cattese, nel borgo antico di Giovinazzo, poiché la storia, che scorre sotto i nostri occhi anche su mura – che per taluni parrebbero tumuli anonimi- va salvaguardata. Chi salverà l'italia dalla dimenticanza?
Guardi, Lei ha posto una domanda molto forte. Io ci vivo dalla nascita nel mio bellissimo centro storico. Non dico che conosco tutte le pietre, tutti i palazzi, ma attraverso i documenti e la mia puntuale visita quotidiana, mi rendo conto che Giovinazzo andrebbe maggiormente tutelata.
Devo anche riconoscere che la scuola non favorisce granché gli studi. Un tempo era motivo di grande gioia accompagnare le scolaresche in visita nel centro storico, a Dolmen, in cattedrale o anche nello stesso archivio per far conoscere i nostri beni da conoscere, studiare e tutelare. Qualche anno fa ho fatto qualche tentativo con il Liceo Classico Matteo Spinelli della nostra provincia: purtroppo non mi hanno dato quello che speravo, salvo qualche giovane che viene saltuariamente a fare delle ricerche.
Per entrare in archivio bisogna conoscere il latino che è stato vigliaccamente emarginato dalla legislazione italiana a livello scolastico. Errore gravissimo: per leggere un documento antecedente al 700 bisogna essere in possesso di cognizioni didattiche e scientifiche particolari. Mi riferisco all'archivistica speciale, alla paleografia latina, alla storia della Chiesa, alla conoscenza del diritto, alla storia cittadina che è scarsamente studiata a livello scolastico.
Tengo a precisare che nessuno come me ha lavorato gratuitamente per 40 anni, grazie alla mia passione, alla conoscenza di discipline umanistiche – essendo Diplomato al Liceo Classico di Giovinazzo, Laureato in Giurisprudenza ed in possesso del Diploma in archivistica, paleografia diplomatica – e grazie alla mia sensibilità di cittadino del centro storico. Tutte queste componenti mi hanno portato a resistere nel tempo all'indifferenza del nuovo terzo millennio.
La storia rimane. Ma che innovazione apporterebbe in archivio?
La storia è tutta da riscrivere: la storia che ci hanno fatto studiare sui testi è minimamente rispondente alla vera storia, che è quella ancora sepolta negli archivi di stato degli arti ecclesiastici. Molti archivi privati nascondono verità che la storia ufficiale forse non saprà mai.
Bisognerebbe ritornare a studiare negli archivi, ma ciò comporta tempo, sacrifici e soprattutto possesso di conoscenza: la Sapienza si fa trovare solo da coloro i quali la cercano. La nostra bellissima Italia è un patrimonio mondiale da riscoprire.
Occorre la complicità della scuola e delle istituzioni locali ma soprattutto un ritorno all'amore verso il libro, verso la carta. Stiamo dimenticando che la storia vive attraverso le pergamene, attraverso l'archeologia; discipline che purtroppo scompariranno se non ci sarà il coraggio di aiutare gli archivi ecclesiastici, di dotarli di migliori strutture, ma soprattutto di avvicinare i giovani alla gioia dello studio gratificante perché frutto di molte notizie inedite su personaggi ma soprattutto su avvenimenti della nostra Chiesa e della nostra bella città.
La fiction "Il Nome della Rosa" attraverso otto episodi in quattro puntate attualmente in proiezione sulla prima rete nazionale, incanta il telespettatore – grazie ad una impeccabile regia di Jean-Jacques Annaud ed alle incredibili doti attoriali di Jhon Turturro. Costui ne da i connotati ma per molti giovinazzesi Lei, Bonserio, è un tangibile Guglielmo da Baskerville.
Non posso dire che Guglielmo di Alnwich sia un'unica persona con il Guglielmo di Baskerville, personaggio immaginario frutto della grandezza intellettuale, culturale e storica di Umberto Eco che purtroppo, in illo tempore, per i suoi impegni lavorativi, non ho avuto il piacere di conoscere, malgrado fosse stato invitato da Don Gaetano Valente a venire a Giovinazzo. Grazie a costui, dal 1989, attraverso la RAI con il servizio di cronaca italiana e le notizie trasmesse a livello di TG Puglia della terza rete, abbiamo fatto conoscere il nostro Guglielmo di Alnwich – Guglielmo l'inglese -, citato per due volte da Umberto Eco. Il vivace accostamento storico è possibile ed è bene parlarne. Molti studiosi, frati francescani ed intellettuali stranieri concordano nel ritenere che forse, ma non di certo, il nostro Guglielmo di Alnwich possa essere anche identificabile e felicemente accostato a Guglielmo di Baskerville, personaggio de Il Nome della rosa. Bisogneremmo di ulteriori studi presso l'archivio segreto del Vaticano e anche presso la stessa curia di Avignone dove si potrebbe anche scoprire come è morto, con precisione, il nostro Guglielmo di Alnwich.