Il dottor Nicola Cortese in missione in Africa: la nostra intervista
Con una equipe ha fatto visita alla città di Afagnan, in Togo e noi vi proponiamo il suo racconto
venerdì 24 marzo 2023
14.03
L'Africa non è un continente solo da esplorare per le sue molteplici bellezze paesaggistiche ma è anche un luogo da supportare per le numerose necessità che presenta. La storia che leggerete è concreta, è esperienza diretta di un giovane e bravo professionista della nostra città : il dottor Nicola Cortese, classe 1988, specializzato in chirurgia generale.
La missione umanitaria, effettuata ad Afagnan in Togo, è stata organizzata dall'AICPE Onlus - Associazione Italiana Chirurgia Plastica Estetica. Con una equipe di chirurghi Paola Emiliozzi, Enzo Facciuto, Ernesto Marziano, Angela Grasso e l'ingegnere Valerio Santarelli, il medico, nostro concittadino, è partito per l'Africa lo scorso mese di febbraio ed è rientrato con quella chiara sensazione che è nota come "mal d'Africa", ricca di emozioni e ricordi indelebili. Nella nostra intervista il dottor Nicola Cortese ci ha raccontato intensi momenti vissuti ad Afagnan.
La nostra intervista
Come è nata la tua partecipazione alla missione umanitaria?
Dallo scorso anno sono diventato membro dell' Aicpe-Associazione italiana chirurgia plastica estetica dove sono coinvolti ed impegnati chirurghi italiani di fama nel campo della chirurgia estetica, tendenzialmente privata, chirurghi dei quali una parte si occupa anche dell'Aicpe onlus e organizza missioni in giro per il mondo tra cui nell'ospedale che si trova in Togo nel villaggio Afagnan nell'ospedale Fatebenefratelli gestito da suore. I colleghi ci tornano a cadenza annuale, anche due volte l'anno. Durante l'emergenza sanitaria da covid hanno dovuto bloccare tutto e questa è stata la missione di ripresa dopo quel periodo di stop a causa del covid. La mia volontà a partecipare è nata durante la cena di gala svoltasi a Sorrento l'anno scorso; hanno fatto vedere dei video della missione da loro svolta, degli interventi chirurgici effettuati gratis li in Africa e sono rimasto incantato. La capo missione organizzatrice della onlus mi ha visto molto partecipe, nell'ammirare i video ero letteralmente "imbambolato" e mi ha chiesto di partire con loro: non ho saputo rinunciare. Sapevo che sarebbe stato bello da un punto di vista professionale e chirurgico perché avrei lavorato con chirurghi di fama nazionale, importanti. Loro sono tutti più grandi di me, io il più piccolo, sono stato il braccio motore della missione, mi hanno lasciato molto fare, hanno constatato che si potevano fidare.
Ho eseguito svariati interventi di chirurgia plastica, il capo chirurgo ha subito compreso quello che sapevo fare e che potevo dare e mi ha dato carta bianca, mi ha lasciato fare tutti gli interventi che io sentivo di poter fare.
Immaginiamo forte la sensazione di essere stato utile ad una causa...
No, mi sono sentito indispensabile, una via di mezzo tra Padre Pio e una rockstar. Camminavo nei corridoi dell'ospedale e tutti mi salutavano con partecipazione perché capivano che io e tutto lo staff eravamo realmente partecipi delle loro sofferenze, cosa a cui loro non sono abituati; andare a controllare il paziente dopo l'intervento, seguire le medicazioni, per loro è stata una cosa bella e strana e mi coinvolgevano per qualsiasi tipo di aiuto medico anche per i loro familiari. È stato bello da un punto di vista umano, mi sono dato al cento per cento, loro hanno preso tutto quello che io avevo da dare a loro, ringraziandomi. Ho portato strumenti di lavoro medico chirurgico che abbiamo donato all'ospedale perché ce n'era davvero bisogno.
I valori che puoi estrapolare da questa esperienza?
Ha tantissimi valori, ho capito l'importanza della chirurgia salvavita, ho compreso che se non andiamo noi con progetti importanti come è stata questa missione, non va nessuno a fare la chirurgia plastica perché la non esiste. In Africa solo se stai morendo ti operano, se hai un tumore a crescita lenta del naso te lo puoi tenere, purtroppo è così.
È stato molto bello tutto, sia la parte chirurgica che quella umanitaria, perché oltre ad aver conosciuto una cultura e tradizioni che francamente ignoravo, ci siamo inseriti bene all'interno dell'ospedale; è stato tutto molto coinvolgente, mi sono trovato bene. L'unica cosa se si può dire "brutta" della missione è aver dovuto fare una preparazione, tante vaccinazioni: febbre gialla, tifo, salmonella, colera, epatite e la profilassi anti malarica. Per alcuni colleghi sono stati fastidiosi gli effetti collaterali, io sono stato benissimo, se ci penso, quindici giorni sono volati. Non mi sono reso conto di quello che stavo facendo finché non mi sono fermato.
Le tue osservazioni e il ricordo più forte e triste che porterai con te
Noi non abbiamo una visione oggettiva dell'Africa, viviamo in una bolla di vetro, pensiamo di essere lontani da tutto quello che io e i miei colleghi abbiamo visto li, nell'ospedale l'ambiente è tutelato, chiunque ti vede sa che sei un medico che sei lì per far del bene e si rivolgono a te con rispetto. Appena fuori dall'ospedale la sensazione cambia perché sei visto come il bianco, come qualcuno che ha tolto loro quello che di prezioso avevano e ci guardano con diffidenza, ho colto quegli sguardi particolari al mercato, un pizzico di ansia l'ho avuta, posti in cui esiste il wodoo, posti dove ti invitano a pranzo e mangi con le mani adeguandoti.
Il posto che mi ha spezzato il cuore non è stata la scuola che, seppur povera, ti fa pensare a bambini che hanno i genitori, ma la cosa più brutta è stato l'orfanotrofio, brutto umanamente, bambini che sono sfortunati perché nati nella metà sbagliata del mondo senza nessuno che copre loro le spalle. Vedere il ragazzo più grande che proteggeva il più piccolo, anche non essendo fratelli, ti fa capire che nel loro vissuto quotidiano tra loro si tutelano: orfanelli tutti fratelli tra di loro, uniti come se fossero stati fratelli davvero, una ferita al petto. Andare lì due giorni è stato unico, umanamente, intendo; ci hanno fatto trovare i bambini puliti e profumati. La mia idea è che le suore avevano un attimo falsato la realtà, fanno quello che possono, una suora italiana che da sola segue ventotto bambini, fa quello che può; io ho osservato i bambini e mi sono fatto un'idea della situazione, però giocare con loro, farmi tirare i capelli, farmi abbracciare è stata un'emozione indimenticabile.
Abbiamo portato vestiti e donato soldi, avrei portato più vestiti per i bambini, lo farò la prossima volta.
Cosa pensi di fare per loro?
Vorrei renderli autonomi, cercare di organizzare giornate di seduta operatoria in combinazione con studenti africani di chirurgia, questo serve da tutorial per far vedere loro come fare un intervento, lì non c'è una scuola di chirurgia plastica, c' è conoscenza della chirurgia di guerra, stomie, occlusioni intestinali, fibromi uterini, cose basiche. Come associazione Aicpe ci piacerebbe lasciare il nostro sapere vissuto con loro concretamente, insegnare loro come gestire situazioni e interventi che al momento non sanno gestire, cercare anche di instradarli al nostro concetto di sterilizzazione che è qualcosa che, purtroppo, lì non esiste, non ci si può imporre, lo faremo notare e al contempo, rispetteremo il loro stile di vita; inserirsi in punta di piedi per non farsi considerare come il saccente europeo della situazione che va lì a dire come vivere. Per esempio, quando sono arrivato ho fatto mettere in ordine l'armadio della sala operatoria ma quell'ordine è durato tre giorni, il tentativo di portare queste piccole cose va a fatica, il loro stile di vita è diverso, va così.
L'Aicpe farà partire sicuramente il cinque per mille, oltre ad una raccolta fondi che io metterò in atto nel mio studio a Giovinazzo.
Prima della partenza ho in mente di organizzare un evento atto alla raccolta fondi da portare lì per finanziare la chirurgia effettuata lì a titolo gratuito per i pazienti africani perché la sanità in quella terra è tutta a pagamento.
Progetto futuro?
Innanzitutto, l'associazione mi sta immaginando come il volto delle missioni, perché sta provando a coinvolgere le nuove leve della chirurgia in quanto c'è bisogno di essere instancabili, vogliono puntare a coinvolgere quanto più è possibile la mia generazione di età di chirurghi, cercare di arruolare quanti più chirurghi giovani è possibile, esperti in chirurgia generale ed estetica. Io mi sono occupato un po' di tutto: ho fatto innesti, lembi per ulcere croniche, curato ustioni, patologia oncologica, tumori melanomi, mammelle ho addirittura assistito ad un parto cesareo di una ragazzina di quattordici anni.
Tornerai in Africa? Con la stessa equipe di chirurghi?
L'anno prossimo a febbraio, ma non so se la squadra dei medici sarà la stessa di quest'anno. Professionalmente è stato meraviglioso, esperienza unica, sento i colleghi della missione ogni giorno, abbiamo condiviso una esperienza ricca di contenuti nella stessa casa lì in Africa. Li rivedrò al prossimo congresso a Firenze indetto dall' Aicpe, esporrò una relazione sulla mia prima missione in Togo, l'associazione mi vuole come immagine delle future missioni.
La missione umanitaria, effettuata ad Afagnan in Togo, è stata organizzata dall'AICPE Onlus - Associazione Italiana Chirurgia Plastica Estetica. Con una equipe di chirurghi Paola Emiliozzi, Enzo Facciuto, Ernesto Marziano, Angela Grasso e l'ingegnere Valerio Santarelli, il medico, nostro concittadino, è partito per l'Africa lo scorso mese di febbraio ed è rientrato con quella chiara sensazione che è nota come "mal d'Africa", ricca di emozioni e ricordi indelebili. Nella nostra intervista il dottor Nicola Cortese ci ha raccontato intensi momenti vissuti ad Afagnan.
La nostra intervista
Come è nata la tua partecipazione alla missione umanitaria?
Dallo scorso anno sono diventato membro dell' Aicpe-Associazione italiana chirurgia plastica estetica dove sono coinvolti ed impegnati chirurghi italiani di fama nel campo della chirurgia estetica, tendenzialmente privata, chirurghi dei quali una parte si occupa anche dell'Aicpe onlus e organizza missioni in giro per il mondo tra cui nell'ospedale che si trova in Togo nel villaggio Afagnan nell'ospedale Fatebenefratelli gestito da suore. I colleghi ci tornano a cadenza annuale, anche due volte l'anno. Durante l'emergenza sanitaria da covid hanno dovuto bloccare tutto e questa è stata la missione di ripresa dopo quel periodo di stop a causa del covid. La mia volontà a partecipare è nata durante la cena di gala svoltasi a Sorrento l'anno scorso; hanno fatto vedere dei video della missione da loro svolta, degli interventi chirurgici effettuati gratis li in Africa e sono rimasto incantato. La capo missione organizzatrice della onlus mi ha visto molto partecipe, nell'ammirare i video ero letteralmente "imbambolato" e mi ha chiesto di partire con loro: non ho saputo rinunciare. Sapevo che sarebbe stato bello da un punto di vista professionale e chirurgico perché avrei lavorato con chirurghi di fama nazionale, importanti. Loro sono tutti più grandi di me, io il più piccolo, sono stato il braccio motore della missione, mi hanno lasciato molto fare, hanno constatato che si potevano fidare.
Ho eseguito svariati interventi di chirurgia plastica, il capo chirurgo ha subito compreso quello che sapevo fare e che potevo dare e mi ha dato carta bianca, mi ha lasciato fare tutti gli interventi che io sentivo di poter fare.
Immaginiamo forte la sensazione di essere stato utile ad una causa...
No, mi sono sentito indispensabile, una via di mezzo tra Padre Pio e una rockstar. Camminavo nei corridoi dell'ospedale e tutti mi salutavano con partecipazione perché capivano che io e tutto lo staff eravamo realmente partecipi delle loro sofferenze, cosa a cui loro non sono abituati; andare a controllare il paziente dopo l'intervento, seguire le medicazioni, per loro è stata una cosa bella e strana e mi coinvolgevano per qualsiasi tipo di aiuto medico anche per i loro familiari. È stato bello da un punto di vista umano, mi sono dato al cento per cento, loro hanno preso tutto quello che io avevo da dare a loro, ringraziandomi. Ho portato strumenti di lavoro medico chirurgico che abbiamo donato all'ospedale perché ce n'era davvero bisogno.
I valori che puoi estrapolare da questa esperienza?
Ha tantissimi valori, ho capito l'importanza della chirurgia salvavita, ho compreso che se non andiamo noi con progetti importanti come è stata questa missione, non va nessuno a fare la chirurgia plastica perché la non esiste. In Africa solo se stai morendo ti operano, se hai un tumore a crescita lenta del naso te lo puoi tenere, purtroppo è così.
È stato molto bello tutto, sia la parte chirurgica che quella umanitaria, perché oltre ad aver conosciuto una cultura e tradizioni che francamente ignoravo, ci siamo inseriti bene all'interno dell'ospedale; è stato tutto molto coinvolgente, mi sono trovato bene. L'unica cosa se si può dire "brutta" della missione è aver dovuto fare una preparazione, tante vaccinazioni: febbre gialla, tifo, salmonella, colera, epatite e la profilassi anti malarica. Per alcuni colleghi sono stati fastidiosi gli effetti collaterali, io sono stato benissimo, se ci penso, quindici giorni sono volati. Non mi sono reso conto di quello che stavo facendo finché non mi sono fermato.
Le tue osservazioni e il ricordo più forte e triste che porterai con te
Noi non abbiamo una visione oggettiva dell'Africa, viviamo in una bolla di vetro, pensiamo di essere lontani da tutto quello che io e i miei colleghi abbiamo visto li, nell'ospedale l'ambiente è tutelato, chiunque ti vede sa che sei un medico che sei lì per far del bene e si rivolgono a te con rispetto. Appena fuori dall'ospedale la sensazione cambia perché sei visto come il bianco, come qualcuno che ha tolto loro quello che di prezioso avevano e ci guardano con diffidenza, ho colto quegli sguardi particolari al mercato, un pizzico di ansia l'ho avuta, posti in cui esiste il wodoo, posti dove ti invitano a pranzo e mangi con le mani adeguandoti.
Il posto che mi ha spezzato il cuore non è stata la scuola che, seppur povera, ti fa pensare a bambini che hanno i genitori, ma la cosa più brutta è stato l'orfanotrofio, brutto umanamente, bambini che sono sfortunati perché nati nella metà sbagliata del mondo senza nessuno che copre loro le spalle. Vedere il ragazzo più grande che proteggeva il più piccolo, anche non essendo fratelli, ti fa capire che nel loro vissuto quotidiano tra loro si tutelano: orfanelli tutti fratelli tra di loro, uniti come se fossero stati fratelli davvero, una ferita al petto. Andare lì due giorni è stato unico, umanamente, intendo; ci hanno fatto trovare i bambini puliti e profumati. La mia idea è che le suore avevano un attimo falsato la realtà, fanno quello che possono, una suora italiana che da sola segue ventotto bambini, fa quello che può; io ho osservato i bambini e mi sono fatto un'idea della situazione, però giocare con loro, farmi tirare i capelli, farmi abbracciare è stata un'emozione indimenticabile.
Abbiamo portato vestiti e donato soldi, avrei portato più vestiti per i bambini, lo farò la prossima volta.
Cosa pensi di fare per loro?
Vorrei renderli autonomi, cercare di organizzare giornate di seduta operatoria in combinazione con studenti africani di chirurgia, questo serve da tutorial per far vedere loro come fare un intervento, lì non c'è una scuola di chirurgia plastica, c' è conoscenza della chirurgia di guerra, stomie, occlusioni intestinali, fibromi uterini, cose basiche. Come associazione Aicpe ci piacerebbe lasciare il nostro sapere vissuto con loro concretamente, insegnare loro come gestire situazioni e interventi che al momento non sanno gestire, cercare anche di instradarli al nostro concetto di sterilizzazione che è qualcosa che, purtroppo, lì non esiste, non ci si può imporre, lo faremo notare e al contempo, rispetteremo il loro stile di vita; inserirsi in punta di piedi per non farsi considerare come il saccente europeo della situazione che va lì a dire come vivere. Per esempio, quando sono arrivato ho fatto mettere in ordine l'armadio della sala operatoria ma quell'ordine è durato tre giorni, il tentativo di portare queste piccole cose va a fatica, il loro stile di vita è diverso, va così.
L'Aicpe farà partire sicuramente il cinque per mille, oltre ad una raccolta fondi che io metterò in atto nel mio studio a Giovinazzo.
Prima della partenza ho in mente di organizzare un evento atto alla raccolta fondi da portare lì per finanziare la chirurgia effettuata lì a titolo gratuito per i pazienti africani perché la sanità in quella terra è tutta a pagamento.
Progetto futuro?
Innanzitutto, l'associazione mi sta immaginando come il volto delle missioni, perché sta provando a coinvolgere le nuove leve della chirurgia in quanto c'è bisogno di essere instancabili, vogliono puntare a coinvolgere quanto più è possibile la mia generazione di età di chirurghi, cercare di arruolare quanti più chirurghi giovani è possibile, esperti in chirurgia generale ed estetica. Io mi sono occupato un po' di tutto: ho fatto innesti, lembi per ulcere croniche, curato ustioni, patologia oncologica, tumori melanomi, mammelle ho addirittura assistito ad un parto cesareo di una ragazzina di quattordici anni.
Tornerai in Africa? Con la stessa equipe di chirurghi?
L'anno prossimo a febbraio, ma non so se la squadra dei medici sarà la stessa di quest'anno. Professionalmente è stato meraviglioso, esperienza unica, sento i colleghi della missione ogni giorno, abbiamo condiviso una esperienza ricca di contenuti nella stessa casa lì in Africa. Li rivedrò al prossimo congresso a Firenze indetto dall' Aicpe, esporrò una relazione sulla mia prima missione in Togo, l'associazione mi vuole come immagine delle future missioni.