Foibe, Giovinazzo non dimentica le stragi del confine orientale
Ieri sera conferenza in Sala San Felice tenuta da Michele Fiorentino
venerdì 11 febbraio 2022
9.42
Giovinazzo ha celebrato ieri sera, 10 febbraio, il "Giorno del ricordo" che tramanda la memoria dei massacri perpetrati sul confine orientale italiano e l'esodo delle popolazioni istriano-giuliano-dalmate.
La serata della Sala San Felice è stata aperta dall'introduzione dell'avvocato Giosafatte Mezzina, il quale ha ricordato quanto colpevole ritardo ci sia stato nella storiografia italiana per portare alla luce quanto accaduto ad est della nostra penisola dopo la fine della seconda guerra mondiale. Foibe è stato sino a fine anni '80 solo un termine per indicare inghiottitoi carsici.
Relatore è stato Michele Fiorentino, Primo Luogotenente della Marina Militare, studioso e scrittore appassionato di storia del Novecento italiano. Una relazione, la sua, totalmente scevra da intenti di strumentalizzazioni politiche ed anzi lontanissima dai ripetuti tentativi di parte di appropriarsi di un frammento delicatissimo della storia nazionale italiana.
Fiorentino è partito quindi dalla situazione al termine della prima guerra mondiale, quando quei territori compresi tra Giulia, Istria e Dalmazia furono concessi all'Italia. Tra alterne vicende di carattere amministrativo, ritornarono nel pieno possesso italiano sotto il fascismo che impose autarchia linguistica e soprattutto tentò ripetutamente di mutare gli equilibri etnici nella regione. Fatti gravissimi, tutti documentati, non accolti bene da una popolazione composita sin dai tempi dell'Impero austroungarico.
Ma è con l'armistizio dell'8 settembre 1943 e la scalata al potere di Josip Broz, conosciuto poi come il Maresciallo Tito, che per gl'italiani quelle terre divennero una trappola. Paradigmatico l'arresto e la multipla violenza sessuale, in seguito a cui morì Norma Cossetto, prima vittima riconosciuta della furia comunista.
Tra quell'anno ed il 1947, ha ricordato Fiorentino, furono oltre 20mila i nostri connazionali trucidati solo per motivazioni etniche ed ideologiche. L'OZNA, i Comitati Popolari di Liberazione voluti dallo stesso Tito, rastrellarono, imprigionarono e torturarono migliaia di italiani, molti dei quali trovarono la morte dopo essere stati sparati alle spalle e scaraventati nelle foibe, legati con fil di ferro. Vi perirono appartenenti alle nostre forze dell'ordine, sacerdoti, donne, partigiani bianchi, socialisti in aperto dissenso verso il progetto criminale degli jugoslavi.
Tanti i campi di concentramento sorti in quel periodo, in cui le truppe comuniste slave si resero protagoniste di crimini inenarrabili. 13mila furono i prigionieri e 7mila gli italiani trucidati nei campi di Fiume, Mamula, soprattutto a Borovnica, a Bovar ed a Molat. Terribile la pratica della "crocifissione", ovvero del lasciare il prigioniero legato ad un palo, senza cibo e acqua per giornate intere, a memoria di cosa sarebbe accaduto a chi avesse scelto di non collaborare.
Fiorentino si è anche soffermato su Goli-Otok, l'isola Calva, luogo per eccellenza del dramma che si visse a quelle latitudini in quegli anni successivi alle vicende belliche.
L'esodo di almeno 285mila persone fu la diretta conseguenza di quei massacri. Partirono col piroscafo Toscana da quelle terre e non vi fecero più ritorno, lasciando tutto quello che avevano ed il Magazzino 18, nel porto di Trieste, è oggi un museo che ricorda attraverso masserizie lo sterminio e la fuga dei sopravvissuti. Tra di essi anche ebrei, che appartenevano all'organizzazione Aliyah Beth, decisiva poi in chiave sionista.
Fu pulizia etnica operata dai comunisti slavi, tanto da creare imbarazzo nelle gerarchie del PCI per troppi anni. E fu pulizia etnica taciuta per convenienza dalla Democrazia Cristiana nei decenni della distensione verso l'ingombrante dirimpettaio Tito, cuscinetto essenziale per tenere lontana la nostra nazione dagli appetiti sovietici.
Il "Giorno del Ricordo", fuor di retorica, istituito solo nel 2004, deve ancora essere percepito come momento di autentica unità nazionale. Troppi i distinguo, troppi i tentativi di strumentalizzazione politica, troppi i negazionisti incapaci di fare i conti con la propria coscienza sporca per aver creduto in un'idea che la storia ha bocciato.
Ci vorrà tempo, forse molto tempo, perché si raggiunga l'obiettivo che quella legge si prefiggeva, ma studiosi come Michele Fiorentino potranno forse aprire una breccia fondamentale per cavare dagli inghiottitoi dell'oblio frammenti di storia scritti col sangue di nostri connazionali.
La serata della Sala San Felice è stata aperta dall'introduzione dell'avvocato Giosafatte Mezzina, il quale ha ricordato quanto colpevole ritardo ci sia stato nella storiografia italiana per portare alla luce quanto accaduto ad est della nostra penisola dopo la fine della seconda guerra mondiale. Foibe è stato sino a fine anni '80 solo un termine per indicare inghiottitoi carsici.
Relatore è stato Michele Fiorentino, Primo Luogotenente della Marina Militare, studioso e scrittore appassionato di storia del Novecento italiano. Una relazione, la sua, totalmente scevra da intenti di strumentalizzazioni politiche ed anzi lontanissima dai ripetuti tentativi di parte di appropriarsi di un frammento delicatissimo della storia nazionale italiana.
Fiorentino è partito quindi dalla situazione al termine della prima guerra mondiale, quando quei territori compresi tra Giulia, Istria e Dalmazia furono concessi all'Italia. Tra alterne vicende di carattere amministrativo, ritornarono nel pieno possesso italiano sotto il fascismo che impose autarchia linguistica e soprattutto tentò ripetutamente di mutare gli equilibri etnici nella regione. Fatti gravissimi, tutti documentati, non accolti bene da una popolazione composita sin dai tempi dell'Impero austroungarico.
Ma è con l'armistizio dell'8 settembre 1943 e la scalata al potere di Josip Broz, conosciuto poi come il Maresciallo Tito, che per gl'italiani quelle terre divennero una trappola. Paradigmatico l'arresto e la multipla violenza sessuale, in seguito a cui morì Norma Cossetto, prima vittima riconosciuta della furia comunista.
Tra quell'anno ed il 1947, ha ricordato Fiorentino, furono oltre 20mila i nostri connazionali trucidati solo per motivazioni etniche ed ideologiche. L'OZNA, i Comitati Popolari di Liberazione voluti dallo stesso Tito, rastrellarono, imprigionarono e torturarono migliaia di italiani, molti dei quali trovarono la morte dopo essere stati sparati alle spalle e scaraventati nelle foibe, legati con fil di ferro. Vi perirono appartenenti alle nostre forze dell'ordine, sacerdoti, donne, partigiani bianchi, socialisti in aperto dissenso verso il progetto criminale degli jugoslavi.
Tanti i campi di concentramento sorti in quel periodo, in cui le truppe comuniste slave si resero protagoniste di crimini inenarrabili. 13mila furono i prigionieri e 7mila gli italiani trucidati nei campi di Fiume, Mamula, soprattutto a Borovnica, a Bovar ed a Molat. Terribile la pratica della "crocifissione", ovvero del lasciare il prigioniero legato ad un palo, senza cibo e acqua per giornate intere, a memoria di cosa sarebbe accaduto a chi avesse scelto di non collaborare.
Fiorentino si è anche soffermato su Goli-Otok, l'isola Calva, luogo per eccellenza del dramma che si visse a quelle latitudini in quegli anni successivi alle vicende belliche.
L'esodo di almeno 285mila persone fu la diretta conseguenza di quei massacri. Partirono col piroscafo Toscana da quelle terre e non vi fecero più ritorno, lasciando tutto quello che avevano ed il Magazzino 18, nel porto di Trieste, è oggi un museo che ricorda attraverso masserizie lo sterminio e la fuga dei sopravvissuti. Tra di essi anche ebrei, che appartenevano all'organizzazione Aliyah Beth, decisiva poi in chiave sionista.
Fu pulizia etnica operata dai comunisti slavi, tanto da creare imbarazzo nelle gerarchie del PCI per troppi anni. E fu pulizia etnica taciuta per convenienza dalla Democrazia Cristiana nei decenni della distensione verso l'ingombrante dirimpettaio Tito, cuscinetto essenziale per tenere lontana la nostra nazione dagli appetiti sovietici.
Il "Giorno del Ricordo", fuor di retorica, istituito solo nel 2004, deve ancora essere percepito come momento di autentica unità nazionale. Troppi i distinguo, troppi i tentativi di strumentalizzazione politica, troppi i negazionisti incapaci di fare i conti con la propria coscienza sporca per aver creduto in un'idea che la storia ha bocciato.
Ci vorrà tempo, forse molto tempo, perché si raggiunga l'obiettivo che quella legge si prefiggeva, ma studiosi come Michele Fiorentino potranno forse aprire una breccia fondamentale per cavare dagli inghiottitoi dell'oblio frammenti di storia scritti col sangue di nostri connazionali.