Diffusione Covid: la nostra intervista all'esperta

La prof.ssa Chironna ammette: «Preoccupa la variante inglese»

sabato 20 febbraio 2021
A cura di Elga Montani
La variante inglese comincia a fare paura, e anche le altre varianti che stanno iniziando a diffondersi sul territorio italiano. Una Quick Survey richiesta dal Ministero della Salute e dall'Istituto Superiore di Sanità ha fatto emergere una presenza della variante inglese in Puglia nel 38,6% dei campioni esaminati. La presenza è capillare in regione e in alcune zone è più ampia in quanto legata ad alcuni focolai. Ne abbiamo parlato con la professoressa Maria Chironna, coordinatore della rete regionale dei laboratori SARS Cov-2 U.O.C. Igiene – laboratorio di epidemiologia molecolare e sanità pubblica dell'AOUC Policlinico di Bari .

Professoressa Chironna, i dati comunicati pochi giorni fa dalla Regione Puglia sulla presenza della cosiddetta "variante inglese" in Puglia come vanno letti?
Questo studio è una "sorveglianza veloce" ovvero una specie di fotografia in una giornata per vedere quanto circola la variante inglese in questo momento nella nostra regione. È stato selezionato un campione di tamponi da tutta la regione, e ovviamente si è fatto uno screening veloce per identificare proprio quella variante. Quello che è emerso in questa seconda rilevazione, rispetto a quella fatta in precedenza il 4 e 5 febbraio, è un aumento della circolazione della variante inglese. Le percentuali vanno però interpretate correttamente, essendo anche l'espressione della presenza di focolai epidemici in alcune aree, alcune province e alcuni comuni in particolare. Per quanto il campione fosse rappresentativo dell'intero territorio regionale, in alcune aree sono in atto focolai in Rsa piuttosto che in altri setting, e tutti quei nuovi positivi legati ai focolai possono aver falsato il dato di prevalenza. La sintesi, però, è che c'è un netto aumento della circolazione della variante inglese. Abbiamo documentato la presenza di focolai legati a questa variante, e questo è importante perché testimonia come tale variante sia particolarmente contagiosa al punto da innestare anche focolai molto vasti. Un singolo caso può generarne molti altri, se non fosse stata così contagiosa il numero di casi secondari sarebbe stato più limitato. Ed è questa la nostra preoccupazione, che non riguarda solo la Puglia, ma il territorio nazionale.

In Puglia, i focolai di cui parla si sono sviluppati in alcune aree precise o in tutto il territorio regionale?
Noi abbiamo un numero di casi più significativo nell'Area Metropolitana di Bari, con molti comuni coinvolti. La variante è abbastanza diffusa in provincia di Taranto, e anche in provincia di Brindisi, dove abbiamo trovato una circolazione sostenuta. Ovviamente, il dato come detto può essere stato falsato dall'aver indagato alcuni focolai, però anche questo è un dato importante. Più che guardare alla percentuale, bisognerebbe quindi guardare alla situazione generale e alla evoluzione che si è avuta, se consideriamo la prima indagine.

Nella BAT, su 50 campioni esaminati si sono trovati solo 6 casi di "variante inglese". Come può essere letto questo dato?
La BAT sembrerebbe la zona meno colpita, probabilmente in quel momento non c'erano focolai in atto. Anche se questi 6 casi rilevati sono un po' dovunque nel territorio. I campioni sono stati processati dal laboratorio di riferimento della provincia, ma provengono da tutti i comuni.

La preoccupazione maggiore allo stato attuale quindi è la maggiore contagiosità?
Le stime sono molto diverse, in quanto dipende dai contesti. Ma per quanto riguarda la contagiosità, il famoso Rt potrebbe essere aumentato a causa di questa variante dal 30 al 70%. Un dato molto significativo. Questo si traduce poi nella vita di tutti i giorni, con la necessità di adottare determinati comportamenti. Uno su tutti l'uso costante di mascherine di buona qualità. La contagiosità infatti può essere legata non solo alla maggiore carica virale dei soggetti in questione, ma anche al fatto che il virus può riuscire a superare le barriere che si sono rivelate efficaci. In alcuni contesti, può essere utile la doppia mascherina, dove magari per questioni anche lavorative o altro si dovesse venire in contatto. Non vogliamo creare allarmismi, ma è necessario essere consapevoli di quello che sta succedendo. Non è una catastrofe, ovvio, anzi noi ce lo aspettavamo, la variante inglese ormai si è diffusa in altri paesi europei (Germania, Francia, ecc...) come anche in Israele o negli Stati Uniti dove ha ormai soppiantato gli altri ceppi circolanti.

Il vostro lavoro di monitoraggio proseguirà in questa direzione, con queste Quick Survey?
Assolutamente sì, ciò che ci viene chiesto inoltre è di cercare anche le altre varianti, perché non c'è solo quella inglese. Quelle che preoccupano sono più di una, le più note sono la sudafricana e la brasiliana che sono già state segnalate nel nostro Paese, anche se non ancora in Puglia. Se non si cerca però non si può avere la ragionevole certezza che non circolino. Stiamo verificando che non ci sia altro, oltre a quella inglese. Nel centro Italia è stata documentata la variante brasiliana, Perugia è in zona rossa proprio perché ci sono focolai di questa variante. Così come in altre regioni del centro-nord è stata trovata la sudafricana. I virus non conoscono barriere, per cui non possiamo vietare l'accesso alle varianti. Dobbiamo alzare il livello di sorveglianza, essere prudenti e monitorare. Non dobbiamo inseguire il virus, ma dobbiamo fare in modo di anticiparlo.

I vaccini che al momento sono stati approvati sono efficaci contro queste varianti?
I dati di letteratura, le prove di laboratorio e sul campo ci dicono che la variante inglese è neutralizzata dagli anticorpi prodotti dai vaccini attualmente approvati per l'uso, per cui non abbiamo grossi problemi. Non siamo altrettanto certi che funzionino al massimo nei confronti delle altre varianti. Questo non vuol dire che non funzionino, ma che potrebbero funzionare un po' meno. Perché il potere neutralizzante potrebbe essere diminuito in virtù di queste mutazioni del virus. Potremo avere maggiore sicurezza quando avremo maggiori dati, laddove stanno vaccinando e ci dovesse essere una maggiore circolazione delle varianti potremmo verificare meglio il funzionamento dei vaccini stessi. Se i vaccinati dovessero infettarsi allora sarebbe una prova del fatto che non funziona. Ci vuole tempo, la pandemia è in evoluzione, dobbiamo leggere i dati, la letteratura. Per il momento l'efficacia sembra che potrebbe essere limitata, funzionano non al massimo, ma funzionano.