“Di un bel tacer non fu mai scritto” 2
Le precisazioni di Enrico Tedeschi dopo l'intervista ospitata sulle nostre pagine a Michele Bonserio sul mistero giovinazzese legato al Nome della Rosa di Umberto Eco
mercoledì 13 marzo 2019
19.02
Continuano a giungerci lettere aperte, considerazioni e messaggi scaturiti dalla messa in onda della fiction "Il Nome della Rosa", tratto dal celeberrimo romanzo di Umberto Eco e che vede protagonista l'attore di origini giovinazzesi, John Turturro. Avevamo ospitato lunedì scorso una intervista a Michele Bonserio, storico locale, in cui si ripercorreva l'origine del mistero sulla coincidenza della figura di Guglielmo da Baskerville con quella di William of Alnwick, già Vescovo di Giovinazzo.
Oggi ospitiamo una lettera-risposta di un altro collega, Enrico Tedeschi, che già aveva scritto sulle nostre pagine una decina di giorni fa. Tedeschi contesta il tono dell'intervista e cerca di spronare gli storici locali a maggior coraggio sulle fonti. Per lui sarebbe importante per Giovinazzo portare avanti con fermezza questa battaglia, perché vi sarebbero ormai pochissimi dubbi sulla coincidenza delle due figure. Quella che leggerete è la sua lettera integrale che tira qualche frecciatina alla redazione, "rea" di aver ospitato una collega e la sua intervista non condivisa nei toni più che nella sostanza e non lesina stoccate, peraltro sempre garbate, a Bonserio ed all'autrice stessa. Un dibattito vivo su quanto sta accadendo attorno a questa vicenda, che vede Giovinazzo come ombelico del mondo, ci sembra il miglior modo per fare una corretta e completa informazione, ferma restando la prerogativa incontestabile della nostra testata di ospitare chicchessia in casa propria. (La redazione)
«Congratulandomi per la sensibilità assoluta della vostra testata verso i temi culturali, permettetemi però di esprimere alcune mie riserve circa l'oceanica intervista, da voi pubblicata lo scorso lunedì, al dr. Michele Bonserio sul "giallo di Giovinazzo" ed in cui lui addirittura «… dà i natali a William of Alnwick… »?! Un articolo dalla lunghezza inusitata, in realtà, ma che, forse e paradossalmente, rischia di ottenere effetti esattamente opposti rispetto ai nobili propositi che l'avranno ispirato. Di qui la necessità di alcune precisazioni.
Trattandosi, a mio avviso, di un pezzo non certo esente da un dubbio di narcisismo intellettuale di maniera, quantomeno un primo appunto su una svista, giusto ad evitare che, a fronte di tanto eloquio e sfoggio di cultura, anche un eventuale alunno delle primarie (che dovesse per caso leggerlo) possa esserne fuorviato: la terza persona dell'indicativo presente del verbo dare è sempre accentata (si fa riferimento al testo, ndr), e dunque dà e no da, anche quando non in grassetto in un titolo.
Assolutamente necessaria, invece, un'altra, ancora più importante puntualizzazione ad evitare, stavolta, che i cultori del cinema si facciano grasse risate nel leggere che nientemeno Jean-Jacques Annaud si sia dato alla televisione ripetendo addirittura se stesso: la fiction in onda, ed in questione, è per la regia di Giacomo Battiato e non del famoso regista "premio Oscar" che ha invece firmato l'omonimo film cult del 1986 con Sean Connery.
Passiamo ora al vero nocciolo della questione, ossia la coincidenza o meno tra il personaggio di Eco, Guglielmo di Baskerville, ed il colto Guglielmo di Alnwick, vescovo a Giovinazzo dal 1330 al 1333 . Certamente non posso che plaudire all'appello dell'«esperto di storia locale» Michele Bonserio a fare ulteriori ricerche sulla fine di quest'ultimo e, nondimeno, congratularmi pure con lui per l'occasione colta anche per appuntare l'attenzione sullo stato della cultura nella nostra realtà, nonché per aver denunciato la sciatteria con cui si sta abbandonando a se stesso l'Archivio Storico Diocesano, prezioso patrimonio identitario di Giovinazzo ed appannaggio della sua intera collettività.
Non posso non esprimere, comunque, serie perplessità sulla sin troppo eccessiva prudenza storica – almeno per come riportata - con cui lui ha poi sintetizzato un suo personale giudizio finale a compendio del motivo stesso dell'intervista.
Quasi un ossimoro tra contenuti e titolo dell'articolo, è per esempio a dir poco incredibile che, nel sommario, una persona seria come il Bonserio si sia potuto definire «il primo a svelare il mistero legato alla figura raccontata ne "Il Nome della Rosa"»: deve trattarsi tutt'al più di una probabile, ennesima svista della intervistatrice o, al massimo, del frutto del pressapochismo del titolista. L'unico, infatti, a poter vantare primogeniture e crediti nella scoperta (e a crederci) fu l'attentissimo e puntuale storico don Gaetano Valente, tanto da comunicarla ad Umberto Eco pur in assenza di quella prova definitiva apparsa solo nel 2002. Entusiasmo, quello del Valente, confermatomi anche nell'intervista concessami a caldo, all'indomani del riscontro ricevuto a suo tempo da Eco, ed in previsione, oltretutto, di una possibile pubblicazione su una prestigiosa rivista nazionale con tanto di reportage fotografico da me realizzato durante il nostro incontro. Né si può oggi ritenere che padre Valente potesse, all'epoca, voler mettere superficialmente a repentaglio, da studioso insignito addirittura di un Premio Quirinale per la Cultura, la sua credibilità solo sulla base di una fantasiosa ricostruzione basata semplicemente su evanescenti indizi.
Circa l'evolversi dei fatti successivi, inutile annoiare il lettore con cose dette e ridette, o meglio scritte e riscritte. Ringraziando per l'attenzione e la subitanea pubblicazione che invoco di queste mie note, ora non mi resta che concludere con lo stesso titolo dato ad un mio articolo di risposta, per un'altra infelice uscita sul medesimo argomento, pubblicato sul mensile locale La Piazza: "Di un bel tacer non fu mai scritto" (ecco il perché del numero 2 al termine del titolo da noi ripreso, ndr). Intelligenti pauca, dunque, speriamo ora che questa apparente querelle si spenga da sola, così come i fuochi fatui in un cimitero».
Enrico Tedeschi
Oggi ospitiamo una lettera-risposta di un altro collega, Enrico Tedeschi, che già aveva scritto sulle nostre pagine una decina di giorni fa. Tedeschi contesta il tono dell'intervista e cerca di spronare gli storici locali a maggior coraggio sulle fonti. Per lui sarebbe importante per Giovinazzo portare avanti con fermezza questa battaglia, perché vi sarebbero ormai pochissimi dubbi sulla coincidenza delle due figure. Quella che leggerete è la sua lettera integrale che tira qualche frecciatina alla redazione, "rea" di aver ospitato una collega e la sua intervista non condivisa nei toni più che nella sostanza e non lesina stoccate, peraltro sempre garbate, a Bonserio ed all'autrice stessa. Un dibattito vivo su quanto sta accadendo attorno a questa vicenda, che vede Giovinazzo come ombelico del mondo, ci sembra il miglior modo per fare una corretta e completa informazione, ferma restando la prerogativa incontestabile della nostra testata di ospitare chicchessia in casa propria. (La redazione)
«Congratulandomi per la sensibilità assoluta della vostra testata verso i temi culturali, permettetemi però di esprimere alcune mie riserve circa l'oceanica intervista, da voi pubblicata lo scorso lunedì, al dr. Michele Bonserio sul "giallo di Giovinazzo" ed in cui lui addirittura «… dà i natali a William of Alnwick… »?! Un articolo dalla lunghezza inusitata, in realtà, ma che, forse e paradossalmente, rischia di ottenere effetti esattamente opposti rispetto ai nobili propositi che l'avranno ispirato. Di qui la necessità di alcune precisazioni.
Trattandosi, a mio avviso, di un pezzo non certo esente da un dubbio di narcisismo intellettuale di maniera, quantomeno un primo appunto su una svista, giusto ad evitare che, a fronte di tanto eloquio e sfoggio di cultura, anche un eventuale alunno delle primarie (che dovesse per caso leggerlo) possa esserne fuorviato: la terza persona dell'indicativo presente del verbo dare è sempre accentata (si fa riferimento al testo, ndr), e dunque dà e no da, anche quando non in grassetto in un titolo.
Assolutamente necessaria, invece, un'altra, ancora più importante puntualizzazione ad evitare, stavolta, che i cultori del cinema si facciano grasse risate nel leggere che nientemeno Jean-Jacques Annaud si sia dato alla televisione ripetendo addirittura se stesso: la fiction in onda, ed in questione, è per la regia di Giacomo Battiato e non del famoso regista "premio Oscar" che ha invece firmato l'omonimo film cult del 1986 con Sean Connery.
Passiamo ora al vero nocciolo della questione, ossia la coincidenza o meno tra il personaggio di Eco, Guglielmo di Baskerville, ed il colto Guglielmo di Alnwick, vescovo a Giovinazzo dal 1330 al 1333 . Certamente non posso che plaudire all'appello dell'«esperto di storia locale» Michele Bonserio a fare ulteriori ricerche sulla fine di quest'ultimo e, nondimeno, congratularmi pure con lui per l'occasione colta anche per appuntare l'attenzione sullo stato della cultura nella nostra realtà, nonché per aver denunciato la sciatteria con cui si sta abbandonando a se stesso l'Archivio Storico Diocesano, prezioso patrimonio identitario di Giovinazzo ed appannaggio della sua intera collettività.
Non posso non esprimere, comunque, serie perplessità sulla sin troppo eccessiva prudenza storica – almeno per come riportata - con cui lui ha poi sintetizzato un suo personale giudizio finale a compendio del motivo stesso dell'intervista.
Quasi un ossimoro tra contenuti e titolo dell'articolo, è per esempio a dir poco incredibile che, nel sommario, una persona seria come il Bonserio si sia potuto definire «il primo a svelare il mistero legato alla figura raccontata ne "Il Nome della Rosa"»: deve trattarsi tutt'al più di una probabile, ennesima svista della intervistatrice o, al massimo, del frutto del pressapochismo del titolista. L'unico, infatti, a poter vantare primogeniture e crediti nella scoperta (e a crederci) fu l'attentissimo e puntuale storico don Gaetano Valente, tanto da comunicarla ad Umberto Eco pur in assenza di quella prova definitiva apparsa solo nel 2002. Entusiasmo, quello del Valente, confermatomi anche nell'intervista concessami a caldo, all'indomani del riscontro ricevuto a suo tempo da Eco, ed in previsione, oltretutto, di una possibile pubblicazione su una prestigiosa rivista nazionale con tanto di reportage fotografico da me realizzato durante il nostro incontro. Né si può oggi ritenere che padre Valente potesse, all'epoca, voler mettere superficialmente a repentaglio, da studioso insignito addirittura di un Premio Quirinale per la Cultura, la sua credibilità solo sulla base di una fantasiosa ricostruzione basata semplicemente su evanescenti indizi.
Circa l'evolversi dei fatti successivi, inutile annoiare il lettore con cose dette e ridette, o meglio scritte e riscritte. Ringraziando per l'attenzione e la subitanea pubblicazione che invoco di queste mie note, ora non mi resta che concludere con lo stesso titolo dato ad un mio articolo di risposta, per un'altra infelice uscita sul medesimo argomento, pubblicato sul mensile locale La Piazza: "Di un bel tacer non fu mai scritto" (ecco il perché del numero 2 al termine del titolo da noi ripreso, ndr). Intelligenti pauca, dunque, speriamo ora che questa apparente querelle si spenga da sola, così come i fuochi fatui in un cimitero».
Enrico Tedeschi