Dentro la buca!
Gli studenti giovinazzesi hanno ricordato ieri le vittime delle foibe in un incontro con il giornalista Michele De Feudis
sabato 9 febbraio 2019
06.00
«Dentro la buca!» canta Simone Cristicchi nel suo meraviglioso "Magazzino 18", lo spettacolo teatrale a metà strada tra prosa, musical e story telling che racconta la triste vicenda degli infoibamenti degli italiani di Istria, Dalmazia e Giulia ad opera dei partigiani comunisti slavi.
Attraverso il teatro, come già era accaduto con l'eccellente Colletivo PolArtis qualche anno fa, la città di Giovinazzo ha voluto ricordare quegli eventi tragici, tra il 1943 ed il 1947, che segnarono il destino di migliaia di persone, tra morti e profughi.
Nell'Auditorium della scuola secondaria inferiore "Guglielmo Marconi", ieri mattina è stato celebrato il "Giorno del Ricordo", ed è stata raccontata quella storia anche grazie all'intervento del giornalista della Gazzetta del Mezzogiorno, Michele De Feudis, membro del Comitato 10 febbraio che da alcuni anni si occupa di recuperare la memoria sulle foibe a Bari e nella ex provincia.
Ad introdurlo ci ha pensato la Consigliera comunale Antonella Marzella, mentre la giornata è stata resa possibile grazie all'impegno degli Assessorati alle Politiche Educative ed alla Cultura guidati da Anna Vacca e Michele Sollecito.
Dopo la proiezione, e prima del dibattito affatto banale con gli studenti del Liceo Classico e Scientifico "Spinelli", Michele De Feudis si è soffermato con le decine di ragazzi presenti sul termine "foiba", per troppo tempo in Italia colpevolmente associato dagli intellettuali alla cavità carsica tipica di quelle zone ad Est della nostra penisola. Foibe, dal dopoguerra in poi, avrebbe invece dovuto essere sinonimo di atrocità, di morte, di genocidio.
Le responsabilità politiche del silenzio ultracinquantennale su quelle vicende sono ormai sotto gli occhi di tutti, ha ricordato lo stesso De Feudis, e sono ascrivibili a due spinte solo apparentemente contrapposte. Da una parte il PCI, che non poteva e non voleva prendere le distanze da Tito, che a sua volta aveva mostrato come ci potesse essere uno stato socialista nel cuore dei Balcani che non fosse sottomesso a Mosca; dall'altra la Democrazia Cristiana, che con lo stesso Tito aveva l'obbligo di dialogare per mantenere saldi i confini nazionali, in un vecchio continente a lungo diviso tra Stati fedeli al Patto Atlantico e nazioni del blocco sovietico.
Ne è emerso un quadro sintetico, ma schietto, che il giornalista barese ha ben fotografato al giovanissimo pubblico presente. Il ricordo dei 350.000 profughi, poi, è stato un gancio perfetto per parlare di attualità, della necessità di accogliere chi scappa da fame e guerra. Cose che non furono concesse agli italiani di Istria, Dalmazia e Giulia, scacciati dalle loro terre dal disegno di slavizzazione e comunistizzazione di quell'area geografica, dopo che per secoli la stessa era stata simbolo di multiculturalismo. Dopo le altre atrocità della fascistizzazione, arrivò questo tentativo, solo in parte riuscito, di de-italianizzare forzatamente la regione. Un tentativo che si tradusse in un numero imprecisato di morti infoibati ed in decine di migliaia di profughi.
De Feudis si è quindi soffermato sull'episodio del treno carico di profughi istriano-dalmati, a cui i militanti comunisti impedirono a Bologna di ricevere aiuto e soccorsi dalla Croce Rossa, come riportato in rare cronache dell'epoca. «È incredibile - ha detto De Feudis amaro - come la situazione attuale abbia in qualche misura capovolto quanto accadde 70 anni fa».
Stimolato da una serie di domande e considerazioni calzanti degli studenti del Liceo, dalle posizioni dell'ANPI alla mappatura dei genocidi del XX secolo, De Feudis ha quindi voluto fissare un concetto: «I totalitarismi sono bestie feroci che annullano le identità dei popoli». Quei fatti, così come altri, non vanno «pesati sulla bilancia della storia col misurino dell'orrore», ma vanno capiti, studiati, analizzati e combattuti.
Ne è convinta l'Assessore alla Cultura Anna Vacca, che ha sottolineato a più riprese il totale suo distacco da ogni forma di strumentalizzazione politica di vicende così gravi. «Le atrocità - ha detto - non possono essere ricordate solo da una parte politica ed un'analisi di fatti così gravi non deve mai sfociare nella politicizzazione della storia a proprio piacimento». Anna Vacca ha quindi ricordato agli studenti la vicinanza tra il popolo triestino e quello pugliese, barese in particolare. Levantini forse più di noi, i giuliani sono orgogliosi di una identità composita, esattamente come la nostra. Una identità che è nata in terre di confine in cui si fa fatica a trovare famiglie con origini etniche comuni. La Venezia-Giulia, la Dalmazia e l'Istria erano anche e soprattutto questo prima che fascismo e comunismo le ferissero così profondamente.
Il Sindaco Tommaso Depalma ha quindi affidato ai ragazzi le chiavi del futuro della nostra società, perché essi, fuor di retorica, sono già «parte della Storia» e possono attraverso lo studio e la conoscenza, evitare che ancora una volta l'oblio scenda su fatti simili a quelli raccontati ieri, fatti che tutt'oggi caratterizzano conflitti su scala etnica in diverse aree del pianeta.
Un oblio che i negazionisti hanno operato nel nostro Paese scientificamente, forti dell'appoggio di molti settori della politica e della cultura, scaraventando "dentro la buca" memoria e coscienza.
«La grande storia dell'Italia non può avere pagine strappate», ha giustamente rimarcato De Feudis.
Alle nuove generazioni il compito di fare molto meglio dei loro padri e nonni, di non dividersi più aprioristicamente in rossi e neri, di concretizzare il sogno di un sentimento nazionale condiviso che travalichi gli steccati ideologici e riporti al centro l'unica cosa che conta: la Verità sui morti innocenti di ogni epoca. Come quella sui postini, sui funzionari comunali, sugli insegnanti, sui sacerdoti, sulle Norma Cossetto, sui fascisti ed antifascisti uccisi perchè italiani e scaraventati in quegli inghiottitoi.
Si scriverà sempre foiba, certamente, ma d'ora in poi si leggerà anche orrore.
Attraverso il teatro, come già era accaduto con l'eccellente Colletivo PolArtis qualche anno fa, la città di Giovinazzo ha voluto ricordare quegli eventi tragici, tra il 1943 ed il 1947, che segnarono il destino di migliaia di persone, tra morti e profughi.
Nell'Auditorium della scuola secondaria inferiore "Guglielmo Marconi", ieri mattina è stato celebrato il "Giorno del Ricordo", ed è stata raccontata quella storia anche grazie all'intervento del giornalista della Gazzetta del Mezzogiorno, Michele De Feudis, membro del Comitato 10 febbraio che da alcuni anni si occupa di recuperare la memoria sulle foibe a Bari e nella ex provincia.
Ad introdurlo ci ha pensato la Consigliera comunale Antonella Marzella, mentre la giornata è stata resa possibile grazie all'impegno degli Assessorati alle Politiche Educative ed alla Cultura guidati da Anna Vacca e Michele Sollecito.
Dopo la proiezione, e prima del dibattito affatto banale con gli studenti del Liceo Classico e Scientifico "Spinelli", Michele De Feudis si è soffermato con le decine di ragazzi presenti sul termine "foiba", per troppo tempo in Italia colpevolmente associato dagli intellettuali alla cavità carsica tipica di quelle zone ad Est della nostra penisola. Foibe, dal dopoguerra in poi, avrebbe invece dovuto essere sinonimo di atrocità, di morte, di genocidio.
Le responsabilità politiche del silenzio ultracinquantennale su quelle vicende sono ormai sotto gli occhi di tutti, ha ricordato lo stesso De Feudis, e sono ascrivibili a due spinte solo apparentemente contrapposte. Da una parte il PCI, che non poteva e non voleva prendere le distanze da Tito, che a sua volta aveva mostrato come ci potesse essere uno stato socialista nel cuore dei Balcani che non fosse sottomesso a Mosca; dall'altra la Democrazia Cristiana, che con lo stesso Tito aveva l'obbligo di dialogare per mantenere saldi i confini nazionali, in un vecchio continente a lungo diviso tra Stati fedeli al Patto Atlantico e nazioni del blocco sovietico.
Ne è emerso un quadro sintetico, ma schietto, che il giornalista barese ha ben fotografato al giovanissimo pubblico presente. Il ricordo dei 350.000 profughi, poi, è stato un gancio perfetto per parlare di attualità, della necessità di accogliere chi scappa da fame e guerra. Cose che non furono concesse agli italiani di Istria, Dalmazia e Giulia, scacciati dalle loro terre dal disegno di slavizzazione e comunistizzazione di quell'area geografica, dopo che per secoli la stessa era stata simbolo di multiculturalismo. Dopo le altre atrocità della fascistizzazione, arrivò questo tentativo, solo in parte riuscito, di de-italianizzare forzatamente la regione. Un tentativo che si tradusse in un numero imprecisato di morti infoibati ed in decine di migliaia di profughi.
De Feudis si è quindi soffermato sull'episodio del treno carico di profughi istriano-dalmati, a cui i militanti comunisti impedirono a Bologna di ricevere aiuto e soccorsi dalla Croce Rossa, come riportato in rare cronache dell'epoca. «È incredibile - ha detto De Feudis amaro - come la situazione attuale abbia in qualche misura capovolto quanto accadde 70 anni fa».
Stimolato da una serie di domande e considerazioni calzanti degli studenti del Liceo, dalle posizioni dell'ANPI alla mappatura dei genocidi del XX secolo, De Feudis ha quindi voluto fissare un concetto: «I totalitarismi sono bestie feroci che annullano le identità dei popoli». Quei fatti, così come altri, non vanno «pesati sulla bilancia della storia col misurino dell'orrore», ma vanno capiti, studiati, analizzati e combattuti.
Ne è convinta l'Assessore alla Cultura Anna Vacca, che ha sottolineato a più riprese il totale suo distacco da ogni forma di strumentalizzazione politica di vicende così gravi. «Le atrocità - ha detto - non possono essere ricordate solo da una parte politica ed un'analisi di fatti così gravi non deve mai sfociare nella politicizzazione della storia a proprio piacimento». Anna Vacca ha quindi ricordato agli studenti la vicinanza tra il popolo triestino e quello pugliese, barese in particolare. Levantini forse più di noi, i giuliani sono orgogliosi di una identità composita, esattamente come la nostra. Una identità che è nata in terre di confine in cui si fa fatica a trovare famiglie con origini etniche comuni. La Venezia-Giulia, la Dalmazia e l'Istria erano anche e soprattutto questo prima che fascismo e comunismo le ferissero così profondamente.
Il Sindaco Tommaso Depalma ha quindi affidato ai ragazzi le chiavi del futuro della nostra società, perché essi, fuor di retorica, sono già «parte della Storia» e possono attraverso lo studio e la conoscenza, evitare che ancora una volta l'oblio scenda su fatti simili a quelli raccontati ieri, fatti che tutt'oggi caratterizzano conflitti su scala etnica in diverse aree del pianeta.
Un oblio che i negazionisti hanno operato nel nostro Paese scientificamente, forti dell'appoggio di molti settori della politica e della cultura, scaraventando "dentro la buca" memoria e coscienza.
«La grande storia dell'Italia non può avere pagine strappate», ha giustamente rimarcato De Feudis.
Alle nuove generazioni il compito di fare molto meglio dei loro padri e nonni, di non dividersi più aprioristicamente in rossi e neri, di concretizzare il sogno di un sentimento nazionale condiviso che travalichi gli steccati ideologici e riporti al centro l'unica cosa che conta: la Verità sui morti innocenti di ogni epoca. Come quella sui postini, sui funzionari comunali, sugli insegnanti, sui sacerdoti, sulle Norma Cossetto, sui fascisti ed antifascisti uccisi perchè italiani e scaraventati in quegli inghiottitoi.
Si scriverà sempre foiba, certamente, ma d'ora in poi si leggerà anche orrore.