D1.1, tra lacrime e speranze
Ieri sera il primo incontro dell'Osservatorio per la Legalità
sabato 10 ottobre 2015
05.30
Rabbia, qualche lacrima, ma una buona iniezione di speranza.
Quella di ieri può essere definita la serata zero, come un numero di un giornale. La serata da cui riparte tutto, da cui ricomincia un percorso comune in cerca di soluzioni praticabili sulla ormai annosa questione legata alla zona D1.1.
L'auditorium "Don Tonino Bello" della Parrocchia dell'Immacolata ha ospitato la prima affollata serata del ciclo di incontri, organizzati dall'Osservatorio per la Legalità ed il Bene Comune, intotalati "Lottizzazione D1.1: problematiche attuali e scenari futuri". Relatori efficaci sono stati l'avvocato Daniele de Gennaro e l'ingegnere Francesco Rotondo, del Dipartimento di Scienza dell'Ingegneria Civile e dell'Architettura del Politecnico di Bari. L'incontro è stato moderato dal Direttore del mensile "in Città", Filippo D'Attolico.
Dopo un saluto davvero sentito del padrone di casa, Don Gianni Fiorentino, il quale ha ricordato l'idea di solidarietà tra le persone che Don Tonino Bello ha insegnato a tutta la comunità giovinazzese, è stata la volta del Coordinatore dell'Osservatorio, Vincenzo Castrignano, che ha precisato come «nessuno si può sentire fuori da questa vicenda. Nessuno - ha sottolineato - può girare la testa dall'altra parte. Le colpe - ha poi proseguito Castrignano -, quelle vere, devono essere individuate e perseguite nelle aule giudiziarie. Noi siamo qui per iniziare un percorso insieme, affinché tutti, persone coinvolte, amministratori, maggioranza e minoranza in Consiglio Comunale, trovino una soluzione comune».
Particolarmente toccante il momento in cui Antonella Siracusa, artigiana, ha letto una sua lettera alla cittadinanza, alle istituzioni, alla comunità giovinazzese tutta. Una lettera amara, in cui ha raccontato cinque anni di umiliazioni, di silenzi, di interrogativi e di beffe giudiziarie subite. Comun denominatore con altre persone presenti in sala, la "vergogna" per essersi ritrovati in una situazione che, persone oneste come loro, non avrebbero mai immaginato di vivere.
Ed è forse questo il dato più inquietante di tutta l'inchiesta ed il processo sulla zona artigianale D1.1: il senso di impotenza e di beffa di chi aveva ricevuto regolari autorizzazioni dagli Enti preposti e poi si è ritrovato invischiato nel pantano della giustizia. Su questo ha calcato la mano la lucida ricostruzione dell'avvocato Daniele de Gennaro, che ben conosce tutti gli atti di questo processo. Per il legale «questa è una vicenda sui generis, in cui vi è stata un'accelerazione processuale che non si vede nemmeno nei processi per associazione di stampo mafioso. Ed è inquietante, sinistramente inquietante - ha poi aggiunto - che un intero quartiere, caso unico in Italia, sia stato posto sotto sequestro».
Per de Gennaro è importante «scrostare i pregiudizi verso la gente coinvolta. Pregiudizi di chi non conosce i fatti». Ha poi ricostruito l'iter, partendo dalle cinque delibere comunali e «dalle centinaia di permessi rilasciati», con un Piano Urbanistico Generale che prevedeva quella maglia come zona mista e non come spesso erroneamente detto e scritto, come zona esclusivamente artigianale. Le date scolpite nella memoria dell'avvocato sono essenzialmente tre: «L'approvazione del Piano, arrivata nel 2000, all'epoca del Commissario prefettizio, Giuliana Perrotta, e le delibere del Consiglio Comunale del 2006 e del 2008» in cui si autorizzava quella maglia.
Il legale giovinazzese ha anche ricordato come «bisogna sfatare il mito per cui in quell'area hanno acquistato lotti i furbetti di turno o addirittura falsi artigiani. Si trattava - ha spiegato con un eloquio lineare ed assolutamente appropriato per l'uditorio - di un Piano che non nasce con un nesso pertinenziale inscindibile. Si tratta, cioè, di una zona di espansione mista. Chiunque poteva comprare lì, non solo artigiani, e poi eventualmente rivendere».
Tornando sulla rabbia dei proprietari, espressi da Antonella Siracusa, de Gennaro ha voluto mettere una pietra tombale su alcuni aspetti di carattere giuridico che hanno fatto molto discutere: «Non sono stati chiamati a rispondere - ha evidenziato anche incalzato dalle domande di Filippo D'Attolico - né i Consiglieri Comunali dell'epoca né l'allora Commissario prefettizio. E preciso - ha aggiunto - che i dirigenti comunali non avevano alcun potere su quegli atti». Poi ha rimarcato come il rimpallo di responsabilità tra Amministrazioni comunali abbia portato all'assurda situazione per cui «il Comune di Giovinazzo è lottizzante, ma al contempo non entra nella vicenda ed anzi, si costituisce parte civile, chiedendo anche un risarcimento».
Infine la speranza: «Questa vicenda giudiziaria - ha spiegato ancora de Gennaro in chiusura del suo intervento - è un mostro giuridico, perché il reato sarà probabilmente estinto per prescrizione, ma le conseguenze di questa sentenza ci sono già. La risoluzione - ha sottolineato con forza - è stragiudiziale, come vado dicendo da tempo. Lottizzanti, Comune di Giovinazzo e Procura della Repubblica di Bari devono trovare soluzioni condivise e rispondere alla domanda su cosa sia quel Piano di lottizzazione».
A fargli quasi da eco l'ingegnere Francesco Rotondo, urbanista, che ha spiegato che i capi di imputazione erano essenzialmente tre: «Variazione del Piano urbanistico, mancanza della distanza dalla linea ferroviaria e mancata firma di tutti i lottizzanti sul programma». Oggi, ha spiegato il docente, abbiamo una situazione ibrida, non diversa da quella di altri comuni del barese, ed ha prospettato gli scenari possibili: «Abbiamo lotti edificati, lotti parzialmente edificati ed altri non edificati affatto. Se finirà con la confisca dei beni - ha messo in evidenza - o il Comune dovrà usarli per fini pubblici, o quei lotti edificati andranno demoliti».
Ed in piena sintonia con quanto detto dall'avvocato de Gennaro, Rotondo ha rimarcato alla platea come «bisogna lavorare per una soluzione che coinvolga Comune di Giovinazzo, Regione Puglia, lottizzanti e Procura della Repubblica di Bari. Non è possibile agire da soli - ha detto -, ma bisogna coinvolgere tutti i soggetti in causa. Va necessariamente avviato un tavolo tecnico».
Quanto ai tempi, il professor Rotondo si è detto scettico su quelli dell'urbanistica: trascorreranno, cioè, almeno 2 o 3 anni prima che si possa iniziare ad agire concretamente sull'area. Presenti tra il pubblico molti uomini politici, il Vice-Sindaco, Michele Sollecito e diversi esponenti dei partiti.
Nel frattempo resta il dolore di chi è stato coinvolto senza avere colpe e le domande di chi, come Antonella, aspetta invano di vedere i propri figli giocare e crescere in un quartiere immaginato come modello e divenuto ferita aperta e cruccio di un'intera comunità. Da ieri sera, almeno, questa gente si sentirà meno sola e saprà che c'è una parte della politica locale e della società civile giovinazzese che non intende abbandonarli ad un destino amaro.
Il tempo dirà se la ferita sarà rimarginata e se il sorriso tornerà sui loro volti, in attesa che la giustizia faccia il suo corso.
Quella di ieri può essere definita la serata zero, come un numero di un giornale. La serata da cui riparte tutto, da cui ricomincia un percorso comune in cerca di soluzioni praticabili sulla ormai annosa questione legata alla zona D1.1.
L'auditorium "Don Tonino Bello" della Parrocchia dell'Immacolata ha ospitato la prima affollata serata del ciclo di incontri, organizzati dall'Osservatorio per la Legalità ed il Bene Comune, intotalati "Lottizzazione D1.1: problematiche attuali e scenari futuri". Relatori efficaci sono stati l'avvocato Daniele de Gennaro e l'ingegnere Francesco Rotondo, del Dipartimento di Scienza dell'Ingegneria Civile e dell'Architettura del Politecnico di Bari. L'incontro è stato moderato dal Direttore del mensile "in Città", Filippo D'Attolico.
Dopo un saluto davvero sentito del padrone di casa, Don Gianni Fiorentino, il quale ha ricordato l'idea di solidarietà tra le persone che Don Tonino Bello ha insegnato a tutta la comunità giovinazzese, è stata la volta del Coordinatore dell'Osservatorio, Vincenzo Castrignano, che ha precisato come «nessuno si può sentire fuori da questa vicenda. Nessuno - ha sottolineato - può girare la testa dall'altra parte. Le colpe - ha poi proseguito Castrignano -, quelle vere, devono essere individuate e perseguite nelle aule giudiziarie. Noi siamo qui per iniziare un percorso insieme, affinché tutti, persone coinvolte, amministratori, maggioranza e minoranza in Consiglio Comunale, trovino una soluzione comune».
Particolarmente toccante il momento in cui Antonella Siracusa, artigiana, ha letto una sua lettera alla cittadinanza, alle istituzioni, alla comunità giovinazzese tutta. Una lettera amara, in cui ha raccontato cinque anni di umiliazioni, di silenzi, di interrogativi e di beffe giudiziarie subite. Comun denominatore con altre persone presenti in sala, la "vergogna" per essersi ritrovati in una situazione che, persone oneste come loro, non avrebbero mai immaginato di vivere.
Ed è forse questo il dato più inquietante di tutta l'inchiesta ed il processo sulla zona artigianale D1.1: il senso di impotenza e di beffa di chi aveva ricevuto regolari autorizzazioni dagli Enti preposti e poi si è ritrovato invischiato nel pantano della giustizia. Su questo ha calcato la mano la lucida ricostruzione dell'avvocato Daniele de Gennaro, che ben conosce tutti gli atti di questo processo. Per il legale «questa è una vicenda sui generis, in cui vi è stata un'accelerazione processuale che non si vede nemmeno nei processi per associazione di stampo mafioso. Ed è inquietante, sinistramente inquietante - ha poi aggiunto - che un intero quartiere, caso unico in Italia, sia stato posto sotto sequestro».
Per de Gennaro è importante «scrostare i pregiudizi verso la gente coinvolta. Pregiudizi di chi non conosce i fatti». Ha poi ricostruito l'iter, partendo dalle cinque delibere comunali e «dalle centinaia di permessi rilasciati», con un Piano Urbanistico Generale che prevedeva quella maglia come zona mista e non come spesso erroneamente detto e scritto, come zona esclusivamente artigianale. Le date scolpite nella memoria dell'avvocato sono essenzialmente tre: «L'approvazione del Piano, arrivata nel 2000, all'epoca del Commissario prefettizio, Giuliana Perrotta, e le delibere del Consiglio Comunale del 2006 e del 2008» in cui si autorizzava quella maglia.
Il legale giovinazzese ha anche ricordato come «bisogna sfatare il mito per cui in quell'area hanno acquistato lotti i furbetti di turno o addirittura falsi artigiani. Si trattava - ha spiegato con un eloquio lineare ed assolutamente appropriato per l'uditorio - di un Piano che non nasce con un nesso pertinenziale inscindibile. Si tratta, cioè, di una zona di espansione mista. Chiunque poteva comprare lì, non solo artigiani, e poi eventualmente rivendere».
Tornando sulla rabbia dei proprietari, espressi da Antonella Siracusa, de Gennaro ha voluto mettere una pietra tombale su alcuni aspetti di carattere giuridico che hanno fatto molto discutere: «Non sono stati chiamati a rispondere - ha evidenziato anche incalzato dalle domande di Filippo D'Attolico - né i Consiglieri Comunali dell'epoca né l'allora Commissario prefettizio. E preciso - ha aggiunto - che i dirigenti comunali non avevano alcun potere su quegli atti». Poi ha rimarcato come il rimpallo di responsabilità tra Amministrazioni comunali abbia portato all'assurda situazione per cui «il Comune di Giovinazzo è lottizzante, ma al contempo non entra nella vicenda ed anzi, si costituisce parte civile, chiedendo anche un risarcimento».
Infine la speranza: «Questa vicenda giudiziaria - ha spiegato ancora de Gennaro in chiusura del suo intervento - è un mostro giuridico, perché il reato sarà probabilmente estinto per prescrizione, ma le conseguenze di questa sentenza ci sono già. La risoluzione - ha sottolineato con forza - è stragiudiziale, come vado dicendo da tempo. Lottizzanti, Comune di Giovinazzo e Procura della Repubblica di Bari devono trovare soluzioni condivise e rispondere alla domanda su cosa sia quel Piano di lottizzazione».
A fargli quasi da eco l'ingegnere Francesco Rotondo, urbanista, che ha spiegato che i capi di imputazione erano essenzialmente tre: «Variazione del Piano urbanistico, mancanza della distanza dalla linea ferroviaria e mancata firma di tutti i lottizzanti sul programma». Oggi, ha spiegato il docente, abbiamo una situazione ibrida, non diversa da quella di altri comuni del barese, ed ha prospettato gli scenari possibili: «Abbiamo lotti edificati, lotti parzialmente edificati ed altri non edificati affatto. Se finirà con la confisca dei beni - ha messo in evidenza - o il Comune dovrà usarli per fini pubblici, o quei lotti edificati andranno demoliti».
Ed in piena sintonia con quanto detto dall'avvocato de Gennaro, Rotondo ha rimarcato alla platea come «bisogna lavorare per una soluzione che coinvolga Comune di Giovinazzo, Regione Puglia, lottizzanti e Procura della Repubblica di Bari. Non è possibile agire da soli - ha detto -, ma bisogna coinvolgere tutti i soggetti in causa. Va necessariamente avviato un tavolo tecnico».
Quanto ai tempi, il professor Rotondo si è detto scettico su quelli dell'urbanistica: trascorreranno, cioè, almeno 2 o 3 anni prima che si possa iniziare ad agire concretamente sull'area. Presenti tra il pubblico molti uomini politici, il Vice-Sindaco, Michele Sollecito e diversi esponenti dei partiti.
Nel frattempo resta il dolore di chi è stato coinvolto senza avere colpe e le domande di chi, come Antonella, aspetta invano di vedere i propri figli giocare e crescere in un quartiere immaginato come modello e divenuto ferita aperta e cruccio di un'intera comunità. Da ieri sera, almeno, questa gente si sentirà meno sola e saprà che c'è una parte della politica locale e della società civile giovinazzese che non intende abbandonarli ad un destino amaro.
Il tempo dirà se la ferita sarà rimarginata e se il sorriso tornerà sui loro volti, in attesa che la giustizia faccia il suo corso.