Clan Capriati, bocche cucite davanti al Gip

I 13 presunti affiliati si sono avvalsi della facoltà di non rispondere

mercoledì 25 aprile 2018 12.57
Si sono avvalsi della facoltà di non rispondere i 13 presunti boss e gregari del clan Capriati della città vecchia arrestati e condotti in carcere dalla Polizia di Stato nel corso di un blitz notturno scattato il 19 aprile scorso tra Bari e provincia.

Filippo Capriati, Pietro Capriati, Paolo Emanuele Anaclerio, Michele Arciuli, Michele Arciuli, (il primo di 38 anni, il secondo di 46 anni), Matteo Borgia, Francesco Colasuonno, Salvatore D'Alterio, Gaetano Lorusso, Pasquale Panza, Giuseppe Pappagallo, Saverio Pappagallo e Carmelo Recchia hanno preferito fare scena muta piuttosto che difendersi dinanzi al giudice per le indagini preliminari Francesco Pellecchia.

Il gruppo criminale è accusato di associazione per delinquere di stampo mafioso, associazione per delinquere finalizzata al traffico ed allo spaccio di sostanze stupefacenti, aggravata dal metodo mafioso e dall'uso delle armi, porto e detenzione di armi da guerra, estorsioni aggravate dal metodo mafioso e continuate, associazione per delinquere, aggravata, finalizzata alla realizzazione di furti.

E proprio quello delle estorsioni, oltre al traffico di droga che ha rivelato collegamento con altri gruppi, in base alle indagini della Squadra Mobile, coordinate dal pubblico ministero Isabella Ginefra della Direzione Distrettuale Antimafia di Bari che ha chiesto e ottenuto le 20 misure cautelari (13 in carcere, 4 ai domiciliari e 3 obblighi di dimora), è un particolare capitolo oggetto di indagine a conferma della capacità di penetrazione del gruppo criminale.

Le indagini si sono avvalse di intercettazioni telefoniche e ambientali e della collaborazione di alcuni pentiti, consentendo anche di sventare un omicidio che il clan stava progettando. Le attività illecite del clan interessavano la città vecchia, i quartieri Murat e Carrassi e alcuni comuni del nord barese, tra cui Giovinazzo.