Chiarina Genchi, una giovinazzese tra i Garibaldi
Una pagina di storia dimenticata
lunedì 26 gennaio 2015
10.06
Come insegna il Manzoni nel suo "I Promessi sposi", primo romanzo storico italiano, a volte ci sono vicende di "umili" troppo gustose per non essere raccontate.
Il dovere dello storico, o del semplice curioso, è quello di ridar voce, per un momento, alle anime che vagano nel girone dei dimenticati dalla Storia. Ambizione legittima e tanto più, se vogliamo, etica, nel caso in cui si tratti di una popolana, "donna e serva fedele", liquidata con due spiccioli dopo anni di devozione e con un erede scomodo portato in grembo. La donna di cui parliamo è Chiara Genchi, detta Chiarina, giovinazzese, governante e poi segreta compagna di Felice Garibaldi.
Quest'ultimo, fratello del più celebre Giuseppe, approdò sulle rive pugliesi, nel XIX secolo, come emissario della famiglia nizzarda degli Avigdor, che tanto lustro diede, assieme a Pierre Ravanas, a quella che poi sarebbe diventata la florida industria olearia della Terra di Bari. Di Chiarina si sa poco, quasi nulla. Sappiamo che nacque a Giovinazzo il 28 giugno 1815 da Michele e Rosa Bonserio e che fu di casa in via dei Cappuccini al numero 132. La donna, a 25 anni, di bella presenza, e che sapeva leggere e scrivere, come ricorda il giornalista Riccardo Riccardi nel suo libro "L'impresa di Felice Garibaldi e il Risorgimento in Puglia (1835 – 1861)" scritto per la "Congedo Editore" nel 2010, venne scelta come domestica dal giovane e rampante Felice, forse troppo preso da affari e commerci per badare a se stesso.
La totale devozione della Genchi, donna premurosa e attenta, di certo affascinò Felice e tra i due nacque una timida relazione che poi, come in tutte le storie leggendarie, divenne focosa e tormentata passione. Chiarina, che in cuor suo sperava, un giorno, di sposare il bel nizzardo, fu la sua fedele compagna e confidente, lo sostenne nella malattia e lo accompagnò nei ripetuti viaggi tra il Regno delle due Sicilie, Nizza e Parigi, in cerca di un rimedio a quel male che gravava come un macigno sul loro sogno d'amore. Intorno al 1840, Chiarina parte per la dolce Francia. Lascia il suo paese natio, Giovinazzo, per seguire Felice, dal quale ebbe un figlio, venuto alla luce a Nizza nel maggio 1855. Di questa nascita o di un ipotetico matrimonio tra i due la Storia non conserva tracce. Forse era questa una relazione da nascondere, come era da cancellare il loro frutto, questo erede dei Garibaldi per metà giovinazzese.
Presso lo stato civile di Nizza e Giovinazzo, non sono presenti documenti che attestino tale discendenza; tutto sembra essere avvolto dalla sottile nebbia della "damnatio memoriae" che sembra abbattersi sugli umili e suoi loro discendenti. Ma non basta, diversamente dalla Provvidenza manzoniana, il destino pare accanirsi con ancora maggior violenza su Chiarina. Felice, giovanissimo, come ricordato, si ammala ed è costretto a recarsi ripetutamente a Parigi per degli interventi chirurgici. La sua compagna, quando non lo segue, è sola, vive nella storica residenza dei Garibaldi a Nizza, in via Abudharam e qui lo aspetta pazientemente, schermendosi dai pregiudizi delle malelingue e di una morale implacabile con una bella donna lontana da casa, in un paese straniero e per di più non sposata.
Alla prematura morte di Felice, che non fece testamento, Chiarina venne liquidata dai Garibaldi con la misera somma di "Lire 182,50" a cui si aggiunsero le spese di viaggio, verso quella terra che sicuramente doveva mancarle. La sua colpa, forse, era quella d'essere troppo "piccola" per gli ormai "grandi" della storia. La Genchi, a 40 anni, ritorna a Giovinazzo. E qui, torna nell'ombra. Dei suoi ultimi giorni non si sa nulla, non siamo nemmeno in misura d'affermare che Chiarina sia sepolta nel cimitero di Giovinazzo o altrove. Di suo figlio, nessuna notizia. Forse, dopo Felice, anche lui fu strappato dalle sue braccia, o magari con quel bambino fece ritorno in Puglia.
Speriamo, quanto prima, di poter aggiungere ulteriori tasselli a questa storia, di poter strappare alla polvere dei secoli il sorriso di Chiarina, le sue lacrime di donna, i suoi sogni, e di poter così restituire alla Storia, e a Giovinazzo, la memoria di questi suoi leggendari concittadini.
Il dovere dello storico, o del semplice curioso, è quello di ridar voce, per un momento, alle anime che vagano nel girone dei dimenticati dalla Storia. Ambizione legittima e tanto più, se vogliamo, etica, nel caso in cui si tratti di una popolana, "donna e serva fedele", liquidata con due spiccioli dopo anni di devozione e con un erede scomodo portato in grembo. La donna di cui parliamo è Chiara Genchi, detta Chiarina, giovinazzese, governante e poi segreta compagna di Felice Garibaldi.
Quest'ultimo, fratello del più celebre Giuseppe, approdò sulle rive pugliesi, nel XIX secolo, come emissario della famiglia nizzarda degli Avigdor, che tanto lustro diede, assieme a Pierre Ravanas, a quella che poi sarebbe diventata la florida industria olearia della Terra di Bari. Di Chiarina si sa poco, quasi nulla. Sappiamo che nacque a Giovinazzo il 28 giugno 1815 da Michele e Rosa Bonserio e che fu di casa in via dei Cappuccini al numero 132. La donna, a 25 anni, di bella presenza, e che sapeva leggere e scrivere, come ricorda il giornalista Riccardo Riccardi nel suo libro "L'impresa di Felice Garibaldi e il Risorgimento in Puglia (1835 – 1861)" scritto per la "Congedo Editore" nel 2010, venne scelta come domestica dal giovane e rampante Felice, forse troppo preso da affari e commerci per badare a se stesso.
La totale devozione della Genchi, donna premurosa e attenta, di certo affascinò Felice e tra i due nacque una timida relazione che poi, come in tutte le storie leggendarie, divenne focosa e tormentata passione. Chiarina, che in cuor suo sperava, un giorno, di sposare il bel nizzardo, fu la sua fedele compagna e confidente, lo sostenne nella malattia e lo accompagnò nei ripetuti viaggi tra il Regno delle due Sicilie, Nizza e Parigi, in cerca di un rimedio a quel male che gravava come un macigno sul loro sogno d'amore. Intorno al 1840, Chiarina parte per la dolce Francia. Lascia il suo paese natio, Giovinazzo, per seguire Felice, dal quale ebbe un figlio, venuto alla luce a Nizza nel maggio 1855. Di questa nascita o di un ipotetico matrimonio tra i due la Storia non conserva tracce. Forse era questa una relazione da nascondere, come era da cancellare il loro frutto, questo erede dei Garibaldi per metà giovinazzese.
Presso lo stato civile di Nizza e Giovinazzo, non sono presenti documenti che attestino tale discendenza; tutto sembra essere avvolto dalla sottile nebbia della "damnatio memoriae" che sembra abbattersi sugli umili e suoi loro discendenti. Ma non basta, diversamente dalla Provvidenza manzoniana, il destino pare accanirsi con ancora maggior violenza su Chiarina. Felice, giovanissimo, come ricordato, si ammala ed è costretto a recarsi ripetutamente a Parigi per degli interventi chirurgici. La sua compagna, quando non lo segue, è sola, vive nella storica residenza dei Garibaldi a Nizza, in via Abudharam e qui lo aspetta pazientemente, schermendosi dai pregiudizi delle malelingue e di una morale implacabile con una bella donna lontana da casa, in un paese straniero e per di più non sposata.
Alla prematura morte di Felice, che non fece testamento, Chiarina venne liquidata dai Garibaldi con la misera somma di "Lire 182,50" a cui si aggiunsero le spese di viaggio, verso quella terra che sicuramente doveva mancarle. La sua colpa, forse, era quella d'essere troppo "piccola" per gli ormai "grandi" della storia. La Genchi, a 40 anni, ritorna a Giovinazzo. E qui, torna nell'ombra. Dei suoi ultimi giorni non si sa nulla, non siamo nemmeno in misura d'affermare che Chiarina sia sepolta nel cimitero di Giovinazzo o altrove. Di suo figlio, nessuna notizia. Forse, dopo Felice, anche lui fu strappato dalle sue braccia, o magari con quel bambino fece ritorno in Puglia.
Speriamo, quanto prima, di poter aggiungere ulteriori tasselli a questa storia, di poter strappare alla polvere dei secoli il sorriso di Chiarina, le sue lacrime di donna, i suoi sogni, e di poter così restituire alla Storia, e a Giovinazzo, la memoria di questi suoi leggendari concittadini.