Anni di pizzo, poi la denuncia: «Ora sono una persona felice»
La storia di una commerciante di Bari testimonia che solo la denuncia libera dal racket
martedì 22 marzo 2016
13.41
Il pizzo lo ha pagato per sei lunghi anni. Ed anche stavolta la violenza e i danneggiamenti non sono stati necessari, è bastata la classica richiesta di fare un «regalo di Natale» o di versare un «contributo per i carcerati» perché anche lei, una commerciante di Bari, mettesse mano alla tasca e pagasse.
«All'inizio - ha raccontato la donna, ieri sera, nel corso di un un convegno sulla lotta al racket, organizzato presso la sala San Felice - si trattava di piccole somme mensili, 1.000, 2.000 euro al mese». Ma la cifra richiesta dai tre estorsori, organici al clan Parisi di Bari, è cresciuta sempre più, fino ad arrivare a 10.000 euro al mese. «Non avevamo più i soldi per acquistare la merce e neanche per mangiare», ha ricordato la donna.
Poi la svolta, la decisione di denunciare i suoi aguzzini all'associazione Antiracket e Antimafia di Molfetta diretta da Renato de Scisciolo: «Ho denunciato ciò che stavo subendo nel momento in cui ho capito che l'obiettivo era prendersi tutta la mia attività. Eravamo stanchi - ha continuato - e ad un certo punto mi sono rivolta all'associazione Antiracket perché non ce la facevo più a reggere tutto quello che stavamo subendo».
La sua nuova vita è iniziata allora. Prima il confronto e l'aiuto dell'associazione Antiracket. Poi la denuncia, i processi, le sentenze. E, dopo un anno di lavori preparatori, la costituzione dell'associazione barese appena nata e che lei presiede: «Avevo paura, soprattutto per i miei figli. Adesso, però, sono una persona felice: i Parisi, i miei estorsori, sono in carcere e la mia è una vera attività. È vero, anche io ho pagato, ma spero che non lo facciano tanti altri».
Accanto a lei, riservato e molto discreto, Renato De Scisciolo che dal 1996 ha deciso di dedicare la sua quotidianità alla lotta al racket, diventando il punto di riferimento pugliese per gli operatori economici del settore che decidono di opporsi alle estorsioni, sostenendoli anche nelle aule di Tribunale: «Dal momento in cui incontriamo una persona e la accompagniamo fino alla fine del percorso, - ha detto - partecipiamo personalmente alla sua storia».
Un appello agli imprenditori del territorio a denunciare minacce e richieste estorsive (quasi nulle, se consideriamo l'assenza di veri insediamenti produttivi e la fase di declino che da qualche anno attanaglia il settore del commercio e dell'edilizia) è arrivato anche dal comandante provinciale dei Carabinieri, il colonnello Vincenzo Molinese: «La mafia è un organo criminale potente, una sorta di anti-Stato, che nasce proprio con le estorsioni. Bisogna rivolgersi allo Stato anche perché pagare una volta vuol dire pagare per sempre».
Ma per avviare indagini sono necessarie le denunce che riducono l'effetto estorsivo facendo aumentare quello dei cosiddetti reati spia, ovvero gli ordigni che danneggiano le saracinesche dei negozi e gli incendi dolosi delle auto dei commercianti che collaborano con la giustizia. «La collaborazione dei cittadini è fondamentale - ha detto Molinese - e le associazioni Antiracket esistono per rivelare le vittime nascoste e consentire loro di trovare il coraggio di denunciare e aiutarle ad interloquire con le istituzioni».
Ma l'incontro di ieri, inserito nella XXI Giornata della Memoria e dell'Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, «è nato - secondo il vice sindaco Michele Sollecito - dopo aver sorto dei segnali su un traffico di sostanze stupefacenti». Secondo Molinese «le piazze di spaccio, nell'intera provincia di Bari, sono molto fiorenti. A Giovinazzo, però, che in determinate situazioni ha dimostrato vicinanza alle forze dell'ordine, evidentemente, sotto il profilo sociale, qualcosa non sta funzionando».
E sul clan Strisciuglio, che da anni si sta delocalizzando nell'hinterland e che, secondo l'ultima relazione semestrale della Direzione Investigativa Antimafia, è stabilmente in città? «Quello dell'Antimafia è un riferimento predittivo anche se - ammette Molinese - abbiamo rilevato una stretta contiguità tra alcuni soggetti recentemente inseriti nelle nostre inchieste giudiziarie e personaggi di spicco dei clan baresi».
«All'inizio - ha raccontato la donna, ieri sera, nel corso di un un convegno sulla lotta al racket, organizzato presso la sala San Felice - si trattava di piccole somme mensili, 1.000, 2.000 euro al mese». Ma la cifra richiesta dai tre estorsori, organici al clan Parisi di Bari, è cresciuta sempre più, fino ad arrivare a 10.000 euro al mese. «Non avevamo più i soldi per acquistare la merce e neanche per mangiare», ha ricordato la donna.
Poi la svolta, la decisione di denunciare i suoi aguzzini all'associazione Antiracket e Antimafia di Molfetta diretta da Renato de Scisciolo: «Ho denunciato ciò che stavo subendo nel momento in cui ho capito che l'obiettivo era prendersi tutta la mia attività. Eravamo stanchi - ha continuato - e ad un certo punto mi sono rivolta all'associazione Antiracket perché non ce la facevo più a reggere tutto quello che stavamo subendo».
La sua nuova vita è iniziata allora. Prima il confronto e l'aiuto dell'associazione Antiracket. Poi la denuncia, i processi, le sentenze. E, dopo un anno di lavori preparatori, la costituzione dell'associazione barese appena nata e che lei presiede: «Avevo paura, soprattutto per i miei figli. Adesso, però, sono una persona felice: i Parisi, i miei estorsori, sono in carcere e la mia è una vera attività. È vero, anche io ho pagato, ma spero che non lo facciano tanti altri».
Accanto a lei, riservato e molto discreto, Renato De Scisciolo che dal 1996 ha deciso di dedicare la sua quotidianità alla lotta al racket, diventando il punto di riferimento pugliese per gli operatori economici del settore che decidono di opporsi alle estorsioni, sostenendoli anche nelle aule di Tribunale: «Dal momento in cui incontriamo una persona e la accompagniamo fino alla fine del percorso, - ha detto - partecipiamo personalmente alla sua storia».
Un appello agli imprenditori del territorio a denunciare minacce e richieste estorsive (quasi nulle, se consideriamo l'assenza di veri insediamenti produttivi e la fase di declino che da qualche anno attanaglia il settore del commercio e dell'edilizia) è arrivato anche dal comandante provinciale dei Carabinieri, il colonnello Vincenzo Molinese: «La mafia è un organo criminale potente, una sorta di anti-Stato, che nasce proprio con le estorsioni. Bisogna rivolgersi allo Stato anche perché pagare una volta vuol dire pagare per sempre».
Ma per avviare indagini sono necessarie le denunce che riducono l'effetto estorsivo facendo aumentare quello dei cosiddetti reati spia, ovvero gli ordigni che danneggiano le saracinesche dei negozi e gli incendi dolosi delle auto dei commercianti che collaborano con la giustizia. «La collaborazione dei cittadini è fondamentale - ha detto Molinese - e le associazioni Antiracket esistono per rivelare le vittime nascoste e consentire loro di trovare il coraggio di denunciare e aiutarle ad interloquire con le istituzioni».
Ma l'incontro di ieri, inserito nella XXI Giornata della Memoria e dell'Impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie, «è nato - secondo il vice sindaco Michele Sollecito - dopo aver sorto dei segnali su un traffico di sostanze stupefacenti». Secondo Molinese «le piazze di spaccio, nell'intera provincia di Bari, sono molto fiorenti. A Giovinazzo, però, che in determinate situazioni ha dimostrato vicinanza alle forze dell'ordine, evidentemente, sotto il profilo sociale, qualcosa non sta funzionando».
E sul clan Strisciuglio, che da anni si sta delocalizzando nell'hinterland e che, secondo l'ultima relazione semestrale della Direzione Investigativa Antimafia, è stabilmente in città? «Quello dell'Antimafia è un riferimento predittivo anche se - ammette Molinese - abbiamo rilevato una stretta contiguità tra alcuni soggetti recentemente inseriti nelle nostre inchieste giudiziarie e personaggi di spicco dei clan baresi».