Al candidato Mariella i voti del clan Di Cosola
I fatti contestati commessi anche a Giovinazzo: il politico non è tuttavia indagato
venerdì 23 settembre 2016
06.00
Un clan barese sarebbe sceso in campo nelle scorse elezioni regionali pugliesi del 2015 per sostenere con minacce e intimidazioni un candidato della lista Popolari che faceva parte della coalizione di centrosinistra a sostegno dell'attuale governatore, Michele Emiliano.
Il candidato, Natale Mariella, imprenditore del settore dei trasporti impegnato anche nel sociale che poi non è stato eletto, non risulta essere indagato poiché non avrebbe direttamente chiesto nulla, mentre lo è un suo collaboratore, Armando Giove, che secondo la Procura della Repubblica di Bari avrebbe stretto l'accordo con il clan Di Cosola perché i suoi esponenti "convincessero" il maggior numero di elettori a votare per Mariella.
Secondo la ricostruzione degli inquirenti, in cambio di 70.000 euro (di cui 28.000 sono stati pagati, altri promessi), gli affiliati, avvalendosi della forza intimidatrice del noto gruppo criminale, avrebbero fermato gli elettori per strada invitandoli, con minacce velate e intimidazioni, a votare per il loro candidato. Per l'accusa, agli elettori veniva anche detto che il gruppo aveva la capacità di verificare il voto impedendo così «il libero esercizio del diritto di voto ed alterando il risultato delle votazioni».
A far leva sugli elettori era sicuramente, secondo la magistratura barese, la nota forza intimidatrice dei Di Cosola, la capacità di controllo del territorio e la «possibilità di contare sull'omertà delle vittime e dell'ambiente in genere». Le accuse sono a vario titolo di associazione mafiosa, voto di scambio e coercizione elettorale.
La procura nei giorni scorsi ha notificato l'avviso di conclusione delle indagini a cinque dei pregiudicati coinvolti, il 48enne Teodoro Frappampina, il 34enne Luigi Guglielmi, il 49enne Giovanni Martinelli, il 30enne Alfredo Sibilla e il 32enne Carlo Giurano (l'ultimo risponde soltanto di associazione mafiosa e non dei reati legati alle elezioni).
L'indagine, però, è molto più ampia: degli stessi reati, infatti, rispondono altre 39 persone, fra le quali il boss pentito Antonio Di Cosola, suo figlio Michele e lo stesso Giove (ritenuto collettore di voti per il candidato), nei confronti dei quali si procede separatamente. L'operazione, ribattezzata "Attila", è stata condotta dai Carabinieri del Nucleo Investigativo di Bari e coordinata dai pm Carmelo Rizzo e Federico Perrone Capano ed è scaturita da dichiarazioni di pentiti.
Per l'accusa, Giove avrebbe accettato «la promessa di procurare voti mediante le modalità tipiche di un'associazione mafiosa» avanzata dai pregiudicati del clan «in cambio dell'erogazione di una somma di denaro di circa 70mila euro, una parte della quale, pari a 28.000 euro, consegnata ad uno degli indagati che provvedeva a dividerla tra i correi».
I fatti contestati sarebbero stati commessi nel maggio 2015 a Ceglie del Campo, quartiere alla periferia di Bari, Giovinazzo (dove Mariella conquistò 512 voti) e Bitritto.
Il candidato, Natale Mariella, imprenditore del settore dei trasporti impegnato anche nel sociale che poi non è stato eletto, non risulta essere indagato poiché non avrebbe direttamente chiesto nulla, mentre lo è un suo collaboratore, Armando Giove, che secondo la Procura della Repubblica di Bari avrebbe stretto l'accordo con il clan Di Cosola perché i suoi esponenti "convincessero" il maggior numero di elettori a votare per Mariella.
Secondo la ricostruzione degli inquirenti, in cambio di 70.000 euro (di cui 28.000 sono stati pagati, altri promessi), gli affiliati, avvalendosi della forza intimidatrice del noto gruppo criminale, avrebbero fermato gli elettori per strada invitandoli, con minacce velate e intimidazioni, a votare per il loro candidato. Per l'accusa, agli elettori veniva anche detto che il gruppo aveva la capacità di verificare il voto impedendo così «il libero esercizio del diritto di voto ed alterando il risultato delle votazioni».
A far leva sugli elettori era sicuramente, secondo la magistratura barese, la nota forza intimidatrice dei Di Cosola, la capacità di controllo del territorio e la «possibilità di contare sull'omertà delle vittime e dell'ambiente in genere». Le accuse sono a vario titolo di associazione mafiosa, voto di scambio e coercizione elettorale.
La procura nei giorni scorsi ha notificato l'avviso di conclusione delle indagini a cinque dei pregiudicati coinvolti, il 48enne Teodoro Frappampina, il 34enne Luigi Guglielmi, il 49enne Giovanni Martinelli, il 30enne Alfredo Sibilla e il 32enne Carlo Giurano (l'ultimo risponde soltanto di associazione mafiosa e non dei reati legati alle elezioni).
L'indagine, però, è molto più ampia: degli stessi reati, infatti, rispondono altre 39 persone, fra le quali il boss pentito Antonio Di Cosola, suo figlio Michele e lo stesso Giove (ritenuto collettore di voti per il candidato), nei confronti dei quali si procede separatamente. L'operazione, ribattezzata "Attila", è stata condotta dai Carabinieri del Nucleo Investigativo di Bari e coordinata dai pm Carmelo Rizzo e Federico Perrone Capano ed è scaturita da dichiarazioni di pentiti.
Per l'accusa, Giove avrebbe accettato «la promessa di procurare voti mediante le modalità tipiche di un'associazione mafiosa» avanzata dai pregiudicati del clan «in cambio dell'erogazione di una somma di denaro di circa 70mila euro, una parte della quale, pari a 28.000 euro, consegnata ad uno degli indagati che provvedeva a dividerla tra i correi».
I fatti contestati sarebbero stati commessi nel maggio 2015 a Ceglie del Campo, quartiere alla periferia di Bari, Giovinazzo (dove Mariella conquistò 512 voti) e Bitritto.