Agostino Picicco, il Cavaliere galantuomo
Ieri sera, 20 dicembre, il tributo in Consiglio comunale
sabato 21 dicembre 2024
11.14
È lui l'uomo in più di Giovinazzo in Lombardia, è lui uno dei più forti collanti dell'Associazione Pugliesi a Milano. Scrittore, giornalista, saggista, ma soprattutto un ruolo centrale nella comunicazione dell'Università Cattolica del capoluogo meneghino, Agostino Picicco è stato insignito del titolo di Cavaliere della Repubblica.
Dopo la cerimonia del 28 novembre fa a Milano, Picicco è tornato tra la sua gente, accolto ieri sera, 20 dicembre, nell'Aula consiliare di Palazzo di Città, intitolata a Luciano Pignatelli.
Il sindaco di Giovinazzo, Michele Sollecito, lo ha accolto alla presenza delle autorità cittadine, dei rappresentanti delle associazioni e degli amici, nonché del Vescovo della diocesi di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi, S.E. Mons. Domenico Cornacchia. A lui sono giunti anche i messaggi di vive congratulazioni dell'Onorevole Alessandro Colucci, Segretario di Presidenza della Camera dei Deputati (in allegato a questo articolo in formato pdf la sua lettera di saluto), e del sindaco di Milano, Beppe Sala. Presente alla serata giovinazzese anche il delegato metropolitano all'IVE, Nicola De Matteo. A Picicco il dolce omaggio del Maestro pasticcere Nicola Giotti, che gli ha donato un violino aerografato, e la Fontana dei Tritoni in scala, riconoscimento ufficiale del Comune di Giovinazzo.
ALLA RICERCA DELL'ARMONIA CIVICA
'Cittadinanza attiva e partecipazione politica: ritrovare gli spazi della socialità al servizio della comunità' è stato il titolo della relazione che lo stesso Picicco ha quindi tenuto davanti ai suoi concittadini, tema da lui studiato negli ultimi anni e di grandissima attualità.
Tutti, secondo lo scrittore e giornalista, in un contesto come quello cittadino devono fare la loro parte, dalla gente comune alle associazioni, dalla politica al clero.
La concordia cittadina - ha ricordato nella relazione che proponiamo sotto il nostro articolo - si basa sull'essere persone "di cuore" e l'appartenenza ad una città genera legami che si rafforzano se ciascuno fa la propria parte. Nei grandi contesti urbani il senso di comunità si è - secondo Picicco - andato perdendo per via di una società globalizzata, che divora specificità e fagocita rapporti e sentimenti. Nei borghi, nei paesi, nelle centinaia di cittadine italiane invece quel senso di comunità è vivo, perché vivi sono i rapporti tra individui, nonostante il tempo cambi taluni luoghi e veda scomparire persone per ragioni anagrafiche. Ma quei contesti riescono ancora oggi ad esaltare le radici, collante tra tante persone e filo diretto col passato. Ecco, il passato per Picicco deve sopravvivere attraverso il ricordo, che se fosse solo nostalgia sarebbe vano esercizio mnemonico. Diviene invece carburante per costruire un futuro migliore, in cui associazionismo, politica, cittadini comuni e stampa (sì anche la stampa, troppo sottovalutata in contesti locali o addirittura di prossimità) devono ciascuno apporre un frammento di un puzzle complesso che si chiamerà "armonia civica" e da cui scaturiranno società inclini al dialogo, alla crescita senza scontri, all'accoglienza del diverso e votate al bene comune, termine ad oggi talvolta troppo abusato.
Un piccolo saggio scritto da un uomo saggio, ma non per questo vecchio ed anzi modernissimo nel pensiero, autentico come l'emozione che lo ha travolto quando ha raccontato il suo esser fieramente giovinazzese. Un uomo che costituisce vanto per una cittadina che a lui guarda come ad un figlio prediletto che ha saputo annientare col suo garbo, col suo sapere, col suo intelletto stereotipi duri a morire sui meridionali. La gente della città con la Fontana dei Tritoni e della penisola protesa verso il mare è fiera del suo percorso e dei risultati da lui conseguiti lontano da casa, da una casa che ha sempre porte spalancate per il ragazzo di ieri e l'uomo perbene di oggi.
Agostino Picicco resta un galantuomo d'altri tempi che brilla di luce propria in tempi feroci.
IL MESSAGGIO DEL SINDACO DI MILANO BEPPE SALA
«Care e cari amici di Giovinazzo,
la conferenza che tenete oggi nella sala consiliare della vostra città è una bella occasione per rafforzare i rapporti di amicizia che ci legano. Una amicizia resa ancora più salda dalla partecipazione attiva e quotidiana alla vita delle nostre città di cittadini come Agostino Picicco. Il suo esempio, come quello di tanti altri cittadini virtuosi, ci ricorda il valore insostituibile dell'impegno individuale nel lavoro, nell'associazionismo, nelle istituzioni, per il progresso sociale e civile delle nostre comunità. Le stesse onorificenze come quelle attribuite al nostro amico Agostino - da quelle cittadine, come la Medaglia d'oro di civica benemerenza del Comune di Milano, a quelle nazionali come il Cavalierato - sarebbero solo un prestigioso ma freddo atto formale se non fossero accompagnate dalla genuina volontà di contribuire con le proprie competenze e il proprio entusiasmo al bene comune, fungendo da esempio e modello, soprattutto per le nuove generazioni. A nome mio e della nostra comunità cittadina saluto i rappresentanti delle istituzioni e gli intervenuti a questa bella iniziativa che sottolinea i migliori valori di partecipazione e di cittadinanza attiva che ci uniscono e che cementano l'unità del Paese da Nord a Sud. Grazie a tutti voi e buon lavoro».
Dopo la cerimonia del 28 novembre fa a Milano, Picicco è tornato tra la sua gente, accolto ieri sera, 20 dicembre, nell'Aula consiliare di Palazzo di Città, intitolata a Luciano Pignatelli.
Il sindaco di Giovinazzo, Michele Sollecito, lo ha accolto alla presenza delle autorità cittadine, dei rappresentanti delle associazioni e degli amici, nonché del Vescovo della diocesi di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi, S.E. Mons. Domenico Cornacchia. A lui sono giunti anche i messaggi di vive congratulazioni dell'Onorevole Alessandro Colucci, Segretario di Presidenza della Camera dei Deputati (in allegato a questo articolo in formato pdf la sua lettera di saluto), e del sindaco di Milano, Beppe Sala. Presente alla serata giovinazzese anche il delegato metropolitano all'IVE, Nicola De Matteo. A Picicco il dolce omaggio del Maestro pasticcere Nicola Giotti, che gli ha donato un violino aerografato, e la Fontana dei Tritoni in scala, riconoscimento ufficiale del Comune di Giovinazzo.
ALLA RICERCA DELL'ARMONIA CIVICA
'Cittadinanza attiva e partecipazione politica: ritrovare gli spazi della socialità al servizio della comunità' è stato il titolo della relazione che lo stesso Picicco ha quindi tenuto davanti ai suoi concittadini, tema da lui studiato negli ultimi anni e di grandissima attualità.
Tutti, secondo lo scrittore e giornalista, in un contesto come quello cittadino devono fare la loro parte, dalla gente comune alle associazioni, dalla politica al clero.
La concordia cittadina - ha ricordato nella relazione che proponiamo sotto il nostro articolo - si basa sull'essere persone "di cuore" e l'appartenenza ad una città genera legami che si rafforzano se ciascuno fa la propria parte. Nei grandi contesti urbani il senso di comunità si è - secondo Picicco - andato perdendo per via di una società globalizzata, che divora specificità e fagocita rapporti e sentimenti. Nei borghi, nei paesi, nelle centinaia di cittadine italiane invece quel senso di comunità è vivo, perché vivi sono i rapporti tra individui, nonostante il tempo cambi taluni luoghi e veda scomparire persone per ragioni anagrafiche. Ma quei contesti riescono ancora oggi ad esaltare le radici, collante tra tante persone e filo diretto col passato. Ecco, il passato per Picicco deve sopravvivere attraverso il ricordo, che se fosse solo nostalgia sarebbe vano esercizio mnemonico. Diviene invece carburante per costruire un futuro migliore, in cui associazionismo, politica, cittadini comuni e stampa (sì anche la stampa, troppo sottovalutata in contesti locali o addirittura di prossimità) devono ciascuno apporre un frammento di un puzzle complesso che si chiamerà "armonia civica" e da cui scaturiranno società inclini al dialogo, alla crescita senza scontri, all'accoglienza del diverso e votate al bene comune, termine ad oggi talvolta troppo abusato.
Un piccolo saggio scritto da un uomo saggio, ma non per questo vecchio ed anzi modernissimo nel pensiero, autentico come l'emozione che lo ha travolto quando ha raccontato il suo esser fieramente giovinazzese. Un uomo che costituisce vanto per una cittadina che a lui guarda come ad un figlio prediletto che ha saputo annientare col suo garbo, col suo sapere, col suo intelletto stereotipi duri a morire sui meridionali. La gente della città con la Fontana dei Tritoni e della penisola protesa verso il mare è fiera del suo percorso e dei risultati da lui conseguiti lontano da casa, da una casa che ha sempre porte spalancate per il ragazzo di ieri e l'uomo perbene di oggi.
Agostino Picicco resta un galantuomo d'altri tempi che brilla di luce propria in tempi feroci.
IL MESSAGGIO DEL SINDACO DI MILANO BEPPE SALA
«Care e cari amici di Giovinazzo,
la conferenza che tenete oggi nella sala consiliare della vostra città è una bella occasione per rafforzare i rapporti di amicizia che ci legano. Una amicizia resa ancora più salda dalla partecipazione attiva e quotidiana alla vita delle nostre città di cittadini come Agostino Picicco. Il suo esempio, come quello di tanti altri cittadini virtuosi, ci ricorda il valore insostituibile dell'impegno individuale nel lavoro, nell'associazionismo, nelle istituzioni, per il progresso sociale e civile delle nostre comunità. Le stesse onorificenze come quelle attribuite al nostro amico Agostino - da quelle cittadine, come la Medaglia d'oro di civica benemerenza del Comune di Milano, a quelle nazionali come il Cavalierato - sarebbero solo un prestigioso ma freddo atto formale se non fossero accompagnate dalla genuina volontà di contribuire con le proprie competenze e il proprio entusiasmo al bene comune, fungendo da esempio e modello, soprattutto per le nuove generazioni. A nome mio e della nostra comunità cittadina saluto i rappresentanti delle istituzioni e gli intervenuti a questa bella iniziativa che sottolinea i migliori valori di partecipazione e di cittadinanza attiva che ci uniscono e che cementano l'unità del Paese da Nord a Sud. Grazie a tutti voi e buon lavoro».
LA RELAZIONE COMPLETA DI AGOSTINO PICICCO
Giovinazzo, 20 dicembre 2024 – Sala Consiliare
Cittadinanza attiva e partecipazione politica: ritrovare gli spazi della socialità al servizio della comunità
Per ricambiare l'onore del riconoscimento ricevuto dal Presidente della Repubblica e l'attenzione che oggi l'Amministrazione dedica alla mia persona ho pensato di condividere con voi alcune riflessioni che mi porto dentro e che possono essere utili a suscitare altre considerazioni e a ripensare comportamenti o modi di essere.
Ho intitolato questo intervento Cittadinanza attiva e partecipazione politica: ritrovare gli spazi della socialità al servizio della comunità e lo declinerò sul passaggio, a me tanto caro, della città che diventa comunità, sullo spirito di servizio di chi – a vario titolo – si occupa della comunità e sulla proattività che deve caratterizzare tutti i cittadini, per chiudere con una riflessione personale sulla nostra città.
Dalla città alla comunità
In ogni tempo e in ogni civiltà la città ha rappresentato un luogo privilegiato di aggregazione e di attività della vita sociale, laboratorio in cui sperimentare forme inedite di protagonismo civile.
La città, soprattutto nel secolo scorso, ha rappresentato nell'immaginario giovanile sinonimo di cambiamento e di miglioramento sociale per più favorevoli condizioni di esistenza a livello materiale e sul piano relazionale e culturale.
La città è il luogo della prossimità, concezione non sempre facile in contesti dove spesso non si conoscono le persone e dove nei luoghi di socialità, come i mezzi pubblici, nessuno dialoga più, immerso nello schermo digitale, amplificando paure e solitudini. E pensare che la città è fatta di volti, storie, luoghi dell'anima e attività dove si esprime la ricchezza umana tramite persone, tradizioni, riti.
Lungi dal configurarsi come incubatrici di comunità, le città – soprattutto le più grandi - assumono spesso i tratti della frenesia e dell'anonimato, con ritmi di vita scanditi dal consumismo e dall'omologazione dove predomina un paesaggio di luci e cemento, di alveari umani e centri commerciali, di strade trafficate in cui non c'è più posto per i mestieri antichi, per le botteghe e i piccoli negozi di quartiere, e soprattutto per relazioni autentiche e solidali. E così i giovani attraversano distrattamente gli spazi urbani, senza radicarsi nel tessuto connettivo della città, caratterizzato dall'assenza di tempo e dall'esplosione della mobilità.
Il tempo si consuma troppo in fretta: non avere mai tempo e farlo costantemente notare (non si sa se come alibi) è un ripiegamento sul presente, mentre passato e futuro si appiattiscono fino a scomparire.
Ma, nonostante tutto, siamo ancora bisognosi di comunità. Avvertiamo il desiderio di recuperare una dimensione di socialità che si nutra della condivisione di idee, progetti, speranze. Avvertiamo il bisogno di radici e di una casa, un luogo al quale appartenere, in cui trovare calore e accoglienza, senza rinunciare alla dimensione del globale in equilibrio tra localismo e universalismo.
E' questa "la grande fame di comunità" di cui parlava il sindaco di Milano Giuseppe Sala nel discorso alla città del 7 dicembre in occasione della festa patronale ambrosiana, e che ringrazio, insieme all'arcivescovo Mario Delpini, per i messaggi che ci hanno fatto pervenire.
Oggi solo grazie alla logica dell'essere-con e dell'essere-per possiamo sperare di restituire alla città una qualità di vita e una funzione di generatività sociale, nella consapevolezza che una comunità non la si trova preconfezionata, ma la si costruisce pazientemente, insieme, con il contributo di ognuno, secondo le proprie capacità e possibilità per edificare una società più umana e all'altezza dei nostri sogni.
Non è una operazione facile: praticare da parte di tutti, cittadini e amministratori, il valore della cittadinanza vuol dire operare con responsabilità, capacità di discernimento critico dei fenomeni sociali e politici, disponibilità a farsi carico delle difficoltà, a rimuovere possibili ingiustizie, a riconoscere la dignità di ciascuno.
L'armonia civica
Non è bello constatare come il senso di comunità talora si sbricioli: cinismo, rassegnazione, insensibilità, spregiudicatezza e maldicenza diventano i volti dell'individualismo.
Oggi la vita comunitaria si confronta con tante sfide: il tempo sempre più accelerato, il rarefarsi di valori e certezze universalmente condivisi, il prevalere dell'"io" sul "noi".
Da qui la necessità di rafforzare il senso di comunità, il dovere di tutelare e accogliere chi è fragile, povero, solo. Il tutto riassumibile nell'impegno a rimettere al centro la persona inserita in una città dove si ha cura del bene comune senza abbandonare o lasciare indietro nessuno.
Così si promuove un vivere civile in cui ognuno ha un proprio ruolo, tutele adeguate – entro un preciso quadro di diritti e di doveri –, opportunità per un futuro possibile.
In tale direzione ognuno è chiamato a fare la sua parte. Quell'"ognuno" chiama in causa i diversi soggetti di una società: oltre ai singoli, la famiglia, la scuola e l'università, la politica, le istituzioni pubbliche, il mondo dell'economia, le realtà del volontariato, le comunità di fede. Perché il bene ha bisogno di fautori di bene e di chi si assuma – ad ogni livello – la responsabilità per il futuro della polis. Perché la speranza non può restare una vaga promessa, ma ha bisogno di essere "organizzata", come aveva esortato monsignor Tonino Bello, del cui incisivo magistero faccio memoria.
Quando penso all'armonia civica mi viene in mente una canzone del repertorio della nostra infanzia, faceva riferimento ad un ambiente cittadino e umano in cui, recandosi al lavoro o a scuola, ci si imbatteva "nel lattaio, il postino e la guardia comunale" - gente che fa parte del nostro vissuto sociale - e poi invitava a guardare con favore a queste persone perché così "avremo meno gente difficile e più gente di cuore", diceva sempre la canzone.
Ecco: per me la concordia cittadina si basa sull'essere gente di cuore, cioè persone che sanno condividere la felicità con chi fa parte del proprio contesto, che mirano ad unire e non a dividere, a promuovere benessere e non a fare pettegolezzo e prevaricazione, ad amare la città anche nella bellezza dei suoi scorci che è un sacrilegio deturpare.
L'appartenenza cittadina crea necessariamente dei legami che si rafforzano quando ciascuno è valorizzato, perché ogni persona porta un suo valore e quindi ogni persona è importante ed è tenuta a dare il meglio di sé.
Ognuno, quindi, è utile se è inserito in un progetto di comunità.
Gli spazi e gli stili della politica
Qui si colloca l'opera meritoria ed importante degli amministratori pubblici con l'obiettivo di servire il bene comune, prioritario su ogni attività finalizzata a sottolineare l'etichetta di appartenenza con strumentalizzazioni che immiseriscono la vita politica e non aiutano i cittadini a capire a e ad affrontare le sfide perché disamorati dalla palese manifestazione di piccolezze, dall'uso di accuse personali, dall'attivazione della macchina del fango.
Evitare l'esibizionismo, non mettersi sempre davanti, non essere preoccupati di comparire in tutti i luoghi di visibilità, social in primis, sono i cardini dello stile comunicativo del buon amministratore.
La comunicazione corretta e leale si, l'appariscenza no, perché è silente e fattivo l'impegno posto nel costruire, studiare, pensare e avere cura delle istituzioni. "Avere cura" è un termine che abbiamo ereditato dall'esperienza del Covid ma ci offre una dimensione operativa molto concreta per una appartenenza che non diventa dipendenza, per una sobrietà che ama più i fatti che i post, più l'impegno operoso e costante che la risonanza mediatica, più la soluzione concreta dei problemi (con il bilanciamento degli interessi in causa) che la soddisfazione degli interessi di pochi.
Insomma, come direbbe papa Francesco, non bisogna prendere spazi ma avviare processi perché il tempo è superiore allo spazio e avviare processi è più saggio di occupare spazi.
A tal fine è necessario promuovere un dialogo tra la comunità civile e le istituzioni politiche. Serve, cioè, una nuova grammatica della collaborazione per costruire la partecipazione intervenendo su temi come il coinvolgimento giovanile, la sostenibilità energetica, la città a misura d'uomo, l'accoglienza.
La scelta di essere amministratori sia una scelta consapevole, disinteressata, motivata. Si tenga conto del cammino percorso, dell'esperienza maturata, della competenza acquisita. Non ci si improvvisa amministratori. L'entusiasmo non basta, e neppure i voti.
Chi assume un ruolo pubblico deve custodire i cittadini, cioè vigilare, assistere, proteggere, ma anche affidare e far crescere opportunità, cultura, formazione, valori. Impegnarsi su questo piano significa avere cura degli altri, della loro vita e così si può rendere migliore il luogo in cui si vive, favorire lo sviluppo di potenzialità, accrescere le relazioni.
Un'istituzione è davvero all'altezza del suo ruolo se conserva l'umiltà che la porta ad essere a servizio del bene comune. Una vera guida sa di non poter risolvere tutti i problemi, non per questo si sottrae o rinuncia ad offrire il meglio di sé (secondo il pensiero di papa Francesco).
Se il fine è quello del bene comune non ci potranno essere scontri personali tra maggioranza e opposizione al di là di un proficuo dibattito dialettico. Un clima armonico e costruttivo favorirà l'attenzione della gente verso la sfera pubblica e la stima verso gli amministratori a qualunque schieramento appartengano.
Mi piace sognare una politica in cui il confronto tra le forze partitiche sia concentrato sul miglioramento dei servizi ai cittadini nella loro globalità: è bello sfidarsi sulle idee e sulle soluzioni per rispondere meglio ai bisogni delle persone, abbandonando la logica del rinfacciarsi le colpe o delle polemiche sterili e ostruzionistiche. Passare, insomma, dal senso cinico al senso civico.
Non è utopico mettere sul tavolo i problemi e sfidarsi (da avversari e non da nemici) in modo rispettoso, leale e trasparente per trovare le migliori risposte con il contributo di tutti gli schieramenti.
Le persone, infatti, hanno bisogno di istituzioni affidabili, hanno bisogno di sentire che il sindaco, l'assessore, il consigliere (di maggioranza e di opposizione), il parroco, l'insegnante, i dirigenti delle associazioni, ognuno per la propria parte, si prendono cura di loro, si preoccupano, cercano di capire cosa è meglio.
Così matureranno altre partecipazioni perché in molti avvertiranno il desiderio di coinvolgersi per il bene e per la crescita della comunità.
Tanti piccoli gesti sono un segnale concreto di questi principi: l'abbigliamento adeguato (soprattutto nei contesti istituzionali quale segno di rispetto per il ruolo ricoperto, per i presenti e perché lo stile passa pure dall'abito), il riscontro (anche negativo) verso gli interlocutori e chi pone domande o inviti, la partecipazione agli eventi pubblici dall'inizio alla fine, l'esprimere sempre un ringraziamento per i supporti o le attenzioni ricevute non dando nulla per scontato.
Il protagonismo attivo dei cittadini
Ma anche i cittadini devono fare la loro parte con creatività e dedizione.
Ecco qualche piccolo spunto concreto che, per mia sensibilità personale, tocca per lo più il campo del volontariato culturale.
Penso all'importanza dei media locali tra carta stampata e web. Che errore essere indifferenti o trattare con sufficienza tale ambito! L'informazione è un bisogno primario che ha il compito e la responsabilità di sviluppare riferimenti culturali. Quanto è importante e utile utilizzare questi strumenti, oggi di facile accesso, che consentono di aggiornarsi, informarsi, pensare criticamente, approfondire, intervenire, divulgare, magari anche motivatamente contestare. E poi parlano della nostra città: il dovere dell'informazione vale per tutti i cittadini e a maggior ragione per chi ricopre ruoli significativi nella comunità.
Segnalo, poi, il mondo dell'associazionismo e della società civile. Il male che può colpire una comunità è il tirarsi fuori dalla partecipazione. Ci sono tante associazioni con varie mission ugualmente valide e per tutte le sensibilità. Oltre alla realizzazione degli scopi statutari, le associazioni arricchiscono la città, contribuiscono all'amicizia tra i soci, hanno funzione aggregativa, sono complementari alle attività pubbliche, promuovono solidarietà. Il tutto a condizione che non si pongano in antitesi tra di loro, che favoriscano l'unità, che non siano subalterne ai piccoli potentati a vantaggio della smania di visibilità di qualcuno o come suo serbatoio di voti. Insomma, che si dimostrino collaborative e sinergiche tra di loro e con gli enti pubblici, creando ponti e partecipando le une agli eventi degli altri, senza maldicenze, senza prevaricazioni, senza scavalcamenti, senza chiedersi "perché devo farlo io?", senza necessariamente nutrire aspettative di natura personale. Allora sì che sono una ricchezza per la città e lo si nota attraverso le numerose attività di conferenze, presentazioni di libri, dibattiti, mostre, concerti, spettacoli, attività sportive organizzate durante tutto l'anno e che ne denotano la vivacità.
Attraverso le associazioni si sviluppa il bisogno di attenzione alla cosa pubblica e si manifesta il sano appassionarsi alla vita della comunità. E' anche un modo per capire che i rapporti con gli altri offrono un senso e un significato alla vita.
Per concludere: la città luogo della fraternità
Avviandomi verso la conclusione, permettetemi una considerazione di natura personale partendo dall'importanza della città legata al ricordo del passato. Con il paese in cui si sono vissuti appieno gli anni della prima formazione si crea un legame inscindibile che non può venire meno a causa di distanze, nuovi impegni, nuove conoscenze e attività. L'appartenenza ai luoghi crea una grande sedimentazione nella memoria e segna una identità profonda.
Quando si è giovani si vuole essere più grandi. Poi, una volta cresciuti si desidera tornare indietro, nel passato, per assaporare i momenti lieti di quel periodo. Mentre li viviamo non ce ne accorgiamo perché ci stiamo dentro e siamo occupati a guardare verso il futuro. Ma poi passiamo una parte della vita a ripensarli, a riviverli, a risentire quelle emozioni, ma ormai sono tanto lontani e resta solo una dolce malinconia. E, anche se si prova a ripetere gesti e azioni del passato, ormai non hanno più la stessa valenza, lo stesso contesto, e soprattutto le stesse emozioni (già ritrovare intatti i luoghi dell'infanzia è ormai molto difficile e poi spesso mancano le persone che rendevano speciali quei luoghi).
Ecco l'importanza della relazione tra il presente e il passato, in cui ritorna il valore dei bei momenti, soprattutto quando sono stati – e lo sono ancora – pieni d'amore.
La bellezza di essere una piccola comunità comporta vari piaceri intesi come riti "laici" del quotidiano mai venuti meno: il caffè con gli amici, il giro al mercato, la passeggiata sul lungomare o in piazza, la festa patronale della Madonna di Corsignano, i giorni di vacanza. Si tratta di tradizioni che resistono alle più radicali innovazioni tecnologiche e ai cambiamenti del tempo perché sono connaturate alla stessa vicenda umana. Un copione che si ripete ciclicamente ma non è scontato perché suscita emozioni sempre nuove. In ciò che consideriamo ordinario cogliamo la straordinarietà di una storia, della sua ricchezza e di quanto ci può insegnare, il piacere di crescere con il territorio e per il territorio.
Non è un cammino in solitaria perché è illuminato dall'insegnamento di maestri capaci nostri concittadini, i cui nomi non sono nei libri di storia ma devono essere nelle pagine locali e nei cuori di quanti li abbiamo avvicinati, non permettendo mai alla polvere del tempo di avere il sopravvento. Ricordiamo questi maestri di vita! Penso ad amministratori locali, docenti, presidi, sacerdoti, presidenti di associazioni e comitati, maestre, catechiste, impiegati pubblici, gente semplice ma incisiva che ha forgiato le nostre vite e ha trasmesso un insegnamento di rigore morale, di fermezza nel bene e di amore e impegno verso la comunità.
Ebbene, questi loro insegnamenti continuiamo a tradurli in comportamenti positivi, considerando che il tempo della fraternità, come il tempo dell'amicizia, è la storia. Dentro una storia, dentro un cammino condiviso, dentro ogni incontro prende forma e sostanza la fraternità. E, in un modo individualista e narcisista, sappiamo quanto bisogno ci sia oggi di fraternità e quanto il contesto cittadino ci possa aiutare.
Con questo spirito e con tali sentimenti intendo considerare l'onorificenza ricevuta: prima ancora che una gratifica (del cui titolo non potrò fregiarmi perché i biglietti da visita non si usano più), sia il riconoscimento di un impegno che continua, un privilegio che la vita mi ha dato e che rafforza l'orgoglio dell'appartenenza alla comunità.
Grazie!
Giovinazzo, 20 dicembre 2024 – Sala Consiliare
Cittadinanza attiva e partecipazione politica: ritrovare gli spazi della socialità al servizio della comunità
Per ricambiare l'onore del riconoscimento ricevuto dal Presidente della Repubblica e l'attenzione che oggi l'Amministrazione dedica alla mia persona ho pensato di condividere con voi alcune riflessioni che mi porto dentro e che possono essere utili a suscitare altre considerazioni e a ripensare comportamenti o modi di essere.
Ho intitolato questo intervento Cittadinanza attiva e partecipazione politica: ritrovare gli spazi della socialità al servizio della comunità e lo declinerò sul passaggio, a me tanto caro, della città che diventa comunità, sullo spirito di servizio di chi – a vario titolo – si occupa della comunità e sulla proattività che deve caratterizzare tutti i cittadini, per chiudere con una riflessione personale sulla nostra città.
Dalla città alla comunità
In ogni tempo e in ogni civiltà la città ha rappresentato un luogo privilegiato di aggregazione e di attività della vita sociale, laboratorio in cui sperimentare forme inedite di protagonismo civile.
La città, soprattutto nel secolo scorso, ha rappresentato nell'immaginario giovanile sinonimo di cambiamento e di miglioramento sociale per più favorevoli condizioni di esistenza a livello materiale e sul piano relazionale e culturale.
La città è il luogo della prossimità, concezione non sempre facile in contesti dove spesso non si conoscono le persone e dove nei luoghi di socialità, come i mezzi pubblici, nessuno dialoga più, immerso nello schermo digitale, amplificando paure e solitudini. E pensare che la città è fatta di volti, storie, luoghi dell'anima e attività dove si esprime la ricchezza umana tramite persone, tradizioni, riti.
Lungi dal configurarsi come incubatrici di comunità, le città – soprattutto le più grandi - assumono spesso i tratti della frenesia e dell'anonimato, con ritmi di vita scanditi dal consumismo e dall'omologazione dove predomina un paesaggio di luci e cemento, di alveari umani e centri commerciali, di strade trafficate in cui non c'è più posto per i mestieri antichi, per le botteghe e i piccoli negozi di quartiere, e soprattutto per relazioni autentiche e solidali. E così i giovani attraversano distrattamente gli spazi urbani, senza radicarsi nel tessuto connettivo della città, caratterizzato dall'assenza di tempo e dall'esplosione della mobilità.
Il tempo si consuma troppo in fretta: non avere mai tempo e farlo costantemente notare (non si sa se come alibi) è un ripiegamento sul presente, mentre passato e futuro si appiattiscono fino a scomparire.
Ma, nonostante tutto, siamo ancora bisognosi di comunità. Avvertiamo il desiderio di recuperare una dimensione di socialità che si nutra della condivisione di idee, progetti, speranze. Avvertiamo il bisogno di radici e di una casa, un luogo al quale appartenere, in cui trovare calore e accoglienza, senza rinunciare alla dimensione del globale in equilibrio tra localismo e universalismo.
E' questa "la grande fame di comunità" di cui parlava il sindaco di Milano Giuseppe Sala nel discorso alla città del 7 dicembre in occasione della festa patronale ambrosiana, e che ringrazio, insieme all'arcivescovo Mario Delpini, per i messaggi che ci hanno fatto pervenire.
Oggi solo grazie alla logica dell'essere-con e dell'essere-per possiamo sperare di restituire alla città una qualità di vita e una funzione di generatività sociale, nella consapevolezza che una comunità non la si trova preconfezionata, ma la si costruisce pazientemente, insieme, con il contributo di ognuno, secondo le proprie capacità e possibilità per edificare una società più umana e all'altezza dei nostri sogni.
Non è una operazione facile: praticare da parte di tutti, cittadini e amministratori, il valore della cittadinanza vuol dire operare con responsabilità, capacità di discernimento critico dei fenomeni sociali e politici, disponibilità a farsi carico delle difficoltà, a rimuovere possibili ingiustizie, a riconoscere la dignità di ciascuno.
L'armonia civica
Non è bello constatare come il senso di comunità talora si sbricioli: cinismo, rassegnazione, insensibilità, spregiudicatezza e maldicenza diventano i volti dell'individualismo.
Oggi la vita comunitaria si confronta con tante sfide: il tempo sempre più accelerato, il rarefarsi di valori e certezze universalmente condivisi, il prevalere dell'"io" sul "noi".
Da qui la necessità di rafforzare il senso di comunità, il dovere di tutelare e accogliere chi è fragile, povero, solo. Il tutto riassumibile nell'impegno a rimettere al centro la persona inserita in una città dove si ha cura del bene comune senza abbandonare o lasciare indietro nessuno.
Così si promuove un vivere civile in cui ognuno ha un proprio ruolo, tutele adeguate – entro un preciso quadro di diritti e di doveri –, opportunità per un futuro possibile.
In tale direzione ognuno è chiamato a fare la sua parte. Quell'"ognuno" chiama in causa i diversi soggetti di una società: oltre ai singoli, la famiglia, la scuola e l'università, la politica, le istituzioni pubbliche, il mondo dell'economia, le realtà del volontariato, le comunità di fede. Perché il bene ha bisogno di fautori di bene e di chi si assuma – ad ogni livello – la responsabilità per il futuro della polis. Perché la speranza non può restare una vaga promessa, ma ha bisogno di essere "organizzata", come aveva esortato monsignor Tonino Bello, del cui incisivo magistero faccio memoria.
Quando penso all'armonia civica mi viene in mente una canzone del repertorio della nostra infanzia, faceva riferimento ad un ambiente cittadino e umano in cui, recandosi al lavoro o a scuola, ci si imbatteva "nel lattaio, il postino e la guardia comunale" - gente che fa parte del nostro vissuto sociale - e poi invitava a guardare con favore a queste persone perché così "avremo meno gente difficile e più gente di cuore", diceva sempre la canzone.
Ecco: per me la concordia cittadina si basa sull'essere gente di cuore, cioè persone che sanno condividere la felicità con chi fa parte del proprio contesto, che mirano ad unire e non a dividere, a promuovere benessere e non a fare pettegolezzo e prevaricazione, ad amare la città anche nella bellezza dei suoi scorci che è un sacrilegio deturpare.
L'appartenenza cittadina crea necessariamente dei legami che si rafforzano quando ciascuno è valorizzato, perché ogni persona porta un suo valore e quindi ogni persona è importante ed è tenuta a dare il meglio di sé.
Ognuno, quindi, è utile se è inserito in un progetto di comunità.
Gli spazi e gli stili della politica
Qui si colloca l'opera meritoria ed importante degli amministratori pubblici con l'obiettivo di servire il bene comune, prioritario su ogni attività finalizzata a sottolineare l'etichetta di appartenenza con strumentalizzazioni che immiseriscono la vita politica e non aiutano i cittadini a capire a e ad affrontare le sfide perché disamorati dalla palese manifestazione di piccolezze, dall'uso di accuse personali, dall'attivazione della macchina del fango.
Evitare l'esibizionismo, non mettersi sempre davanti, non essere preoccupati di comparire in tutti i luoghi di visibilità, social in primis, sono i cardini dello stile comunicativo del buon amministratore.
La comunicazione corretta e leale si, l'appariscenza no, perché è silente e fattivo l'impegno posto nel costruire, studiare, pensare e avere cura delle istituzioni. "Avere cura" è un termine che abbiamo ereditato dall'esperienza del Covid ma ci offre una dimensione operativa molto concreta per una appartenenza che non diventa dipendenza, per una sobrietà che ama più i fatti che i post, più l'impegno operoso e costante che la risonanza mediatica, più la soluzione concreta dei problemi (con il bilanciamento degli interessi in causa) che la soddisfazione degli interessi di pochi.
Insomma, come direbbe papa Francesco, non bisogna prendere spazi ma avviare processi perché il tempo è superiore allo spazio e avviare processi è più saggio di occupare spazi.
A tal fine è necessario promuovere un dialogo tra la comunità civile e le istituzioni politiche. Serve, cioè, una nuova grammatica della collaborazione per costruire la partecipazione intervenendo su temi come il coinvolgimento giovanile, la sostenibilità energetica, la città a misura d'uomo, l'accoglienza.
La scelta di essere amministratori sia una scelta consapevole, disinteressata, motivata. Si tenga conto del cammino percorso, dell'esperienza maturata, della competenza acquisita. Non ci si improvvisa amministratori. L'entusiasmo non basta, e neppure i voti.
Chi assume un ruolo pubblico deve custodire i cittadini, cioè vigilare, assistere, proteggere, ma anche affidare e far crescere opportunità, cultura, formazione, valori. Impegnarsi su questo piano significa avere cura degli altri, della loro vita e così si può rendere migliore il luogo in cui si vive, favorire lo sviluppo di potenzialità, accrescere le relazioni.
Un'istituzione è davvero all'altezza del suo ruolo se conserva l'umiltà che la porta ad essere a servizio del bene comune. Una vera guida sa di non poter risolvere tutti i problemi, non per questo si sottrae o rinuncia ad offrire il meglio di sé (secondo il pensiero di papa Francesco).
Se il fine è quello del bene comune non ci potranno essere scontri personali tra maggioranza e opposizione al di là di un proficuo dibattito dialettico. Un clima armonico e costruttivo favorirà l'attenzione della gente verso la sfera pubblica e la stima verso gli amministratori a qualunque schieramento appartengano.
Mi piace sognare una politica in cui il confronto tra le forze partitiche sia concentrato sul miglioramento dei servizi ai cittadini nella loro globalità: è bello sfidarsi sulle idee e sulle soluzioni per rispondere meglio ai bisogni delle persone, abbandonando la logica del rinfacciarsi le colpe o delle polemiche sterili e ostruzionistiche. Passare, insomma, dal senso cinico al senso civico.
Non è utopico mettere sul tavolo i problemi e sfidarsi (da avversari e non da nemici) in modo rispettoso, leale e trasparente per trovare le migliori risposte con il contributo di tutti gli schieramenti.
Le persone, infatti, hanno bisogno di istituzioni affidabili, hanno bisogno di sentire che il sindaco, l'assessore, il consigliere (di maggioranza e di opposizione), il parroco, l'insegnante, i dirigenti delle associazioni, ognuno per la propria parte, si prendono cura di loro, si preoccupano, cercano di capire cosa è meglio.
Così matureranno altre partecipazioni perché in molti avvertiranno il desiderio di coinvolgersi per il bene e per la crescita della comunità.
Tanti piccoli gesti sono un segnale concreto di questi principi: l'abbigliamento adeguato (soprattutto nei contesti istituzionali quale segno di rispetto per il ruolo ricoperto, per i presenti e perché lo stile passa pure dall'abito), il riscontro (anche negativo) verso gli interlocutori e chi pone domande o inviti, la partecipazione agli eventi pubblici dall'inizio alla fine, l'esprimere sempre un ringraziamento per i supporti o le attenzioni ricevute non dando nulla per scontato.
Il protagonismo attivo dei cittadini
Ma anche i cittadini devono fare la loro parte con creatività e dedizione.
Ecco qualche piccolo spunto concreto che, per mia sensibilità personale, tocca per lo più il campo del volontariato culturale.
Penso all'importanza dei media locali tra carta stampata e web. Che errore essere indifferenti o trattare con sufficienza tale ambito! L'informazione è un bisogno primario che ha il compito e la responsabilità di sviluppare riferimenti culturali. Quanto è importante e utile utilizzare questi strumenti, oggi di facile accesso, che consentono di aggiornarsi, informarsi, pensare criticamente, approfondire, intervenire, divulgare, magari anche motivatamente contestare. E poi parlano della nostra città: il dovere dell'informazione vale per tutti i cittadini e a maggior ragione per chi ricopre ruoli significativi nella comunità.
Segnalo, poi, il mondo dell'associazionismo e della società civile. Il male che può colpire una comunità è il tirarsi fuori dalla partecipazione. Ci sono tante associazioni con varie mission ugualmente valide e per tutte le sensibilità. Oltre alla realizzazione degli scopi statutari, le associazioni arricchiscono la città, contribuiscono all'amicizia tra i soci, hanno funzione aggregativa, sono complementari alle attività pubbliche, promuovono solidarietà. Il tutto a condizione che non si pongano in antitesi tra di loro, che favoriscano l'unità, che non siano subalterne ai piccoli potentati a vantaggio della smania di visibilità di qualcuno o come suo serbatoio di voti. Insomma, che si dimostrino collaborative e sinergiche tra di loro e con gli enti pubblici, creando ponti e partecipando le une agli eventi degli altri, senza maldicenze, senza prevaricazioni, senza scavalcamenti, senza chiedersi "perché devo farlo io?", senza necessariamente nutrire aspettative di natura personale. Allora sì che sono una ricchezza per la città e lo si nota attraverso le numerose attività di conferenze, presentazioni di libri, dibattiti, mostre, concerti, spettacoli, attività sportive organizzate durante tutto l'anno e che ne denotano la vivacità.
Attraverso le associazioni si sviluppa il bisogno di attenzione alla cosa pubblica e si manifesta il sano appassionarsi alla vita della comunità. E' anche un modo per capire che i rapporti con gli altri offrono un senso e un significato alla vita.
Per concludere: la città luogo della fraternità
Avviandomi verso la conclusione, permettetemi una considerazione di natura personale partendo dall'importanza della città legata al ricordo del passato. Con il paese in cui si sono vissuti appieno gli anni della prima formazione si crea un legame inscindibile che non può venire meno a causa di distanze, nuovi impegni, nuove conoscenze e attività. L'appartenenza ai luoghi crea una grande sedimentazione nella memoria e segna una identità profonda.
Quando si è giovani si vuole essere più grandi. Poi, una volta cresciuti si desidera tornare indietro, nel passato, per assaporare i momenti lieti di quel periodo. Mentre li viviamo non ce ne accorgiamo perché ci stiamo dentro e siamo occupati a guardare verso il futuro. Ma poi passiamo una parte della vita a ripensarli, a riviverli, a risentire quelle emozioni, ma ormai sono tanto lontani e resta solo una dolce malinconia. E, anche se si prova a ripetere gesti e azioni del passato, ormai non hanno più la stessa valenza, lo stesso contesto, e soprattutto le stesse emozioni (già ritrovare intatti i luoghi dell'infanzia è ormai molto difficile e poi spesso mancano le persone che rendevano speciali quei luoghi).
Ecco l'importanza della relazione tra il presente e il passato, in cui ritorna il valore dei bei momenti, soprattutto quando sono stati – e lo sono ancora – pieni d'amore.
La bellezza di essere una piccola comunità comporta vari piaceri intesi come riti "laici" del quotidiano mai venuti meno: il caffè con gli amici, il giro al mercato, la passeggiata sul lungomare o in piazza, la festa patronale della Madonna di Corsignano, i giorni di vacanza. Si tratta di tradizioni che resistono alle più radicali innovazioni tecnologiche e ai cambiamenti del tempo perché sono connaturate alla stessa vicenda umana. Un copione che si ripete ciclicamente ma non è scontato perché suscita emozioni sempre nuove. In ciò che consideriamo ordinario cogliamo la straordinarietà di una storia, della sua ricchezza e di quanto ci può insegnare, il piacere di crescere con il territorio e per il territorio.
Non è un cammino in solitaria perché è illuminato dall'insegnamento di maestri capaci nostri concittadini, i cui nomi non sono nei libri di storia ma devono essere nelle pagine locali e nei cuori di quanti li abbiamo avvicinati, non permettendo mai alla polvere del tempo di avere il sopravvento. Ricordiamo questi maestri di vita! Penso ad amministratori locali, docenti, presidi, sacerdoti, presidenti di associazioni e comitati, maestre, catechiste, impiegati pubblici, gente semplice ma incisiva che ha forgiato le nostre vite e ha trasmesso un insegnamento di rigore morale, di fermezza nel bene e di amore e impegno verso la comunità.
Ebbene, questi loro insegnamenti continuiamo a tradurli in comportamenti positivi, considerando che il tempo della fraternità, come il tempo dell'amicizia, è la storia. Dentro una storia, dentro un cammino condiviso, dentro ogni incontro prende forma e sostanza la fraternità. E, in un modo individualista e narcisista, sappiamo quanto bisogno ci sia oggi di fraternità e quanto il contesto cittadino ci possa aiutare.
Con questo spirito e con tali sentimenti intendo considerare l'onorificenza ricevuta: prima ancora che una gratifica (del cui titolo non potrò fregiarmi perché i biglietti da visita non si usano più), sia il riconoscimento di un impegno che continua, un privilegio che la vita mi ha dato e che rafforza l'orgoglio dell'appartenenza alla comunità.
Grazie!